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Ivan Graziani: vent’anni dalla scomparsa del chitarrista

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Luigi Buono

Ben vent’anni sono passati da quel primo di gennaio del 1997 in cui, minato da un cancro al colon, ci lasciava a soli cinquantun anni Ivan Graziani. Artista a tutto tondo (oltre ad essere musicista e cantante era infatti un apprezzato vignettista), unico e forse irripetuto esempio di guitar hero nostrano, dietro quegli occhiali dalla montatura rossa ed una perizia tecnica notevole alla sua amata chitarra elettrica, Graziani aveva dalla sua l’irrequietezza tipica di chi ha sempre qualcosa da dire; in bilico com’era tra rock’n’roll e tradizioni folk, non politicizzato e forse anche per questo mai troppo apprezzato dal pubblico tutto preso dall’ondata storica del cantautorato italiano di ispirazione francese o dylaniana, il cantautore teramese ancora oggi si fa apprezzare per la sua eredità fatta di testi accattivanti, taglienti e densi, accompagnati da riff ed assolo di chitarra sanguigni o da arpeggi ben strutturati e mai banali.

Laddove il grande pubblico gli preferisce generalmente i classici portabandiera della canzone italiana, Graziani risulta invece molto apprezzato anche nell’odierno ambiente musicale, che, assieme alla famiglia devota (dal figlio Filippo, anch’esso musicista, alla sempre amata moglie Anna), gli dedica serate (una edizione speciale, la diciannovesima, del Premio Pigro per la musica emergente, a Teramo, sua città natale, il prossimo 27 gennaio), compilation (è del 2012 l’ottima Tributo a Ivan Graziani, che vede partecipi i maggiori esponenti della scena alternative italiana, tra cui spiccano le performance di Marlene Kuntz e Paolo Benvegnù), ed in tempi ben più recenti, persino una credibile cover di Monnalisa nella vetrina generalista per eccellenza di X-Factor, da parte del pupillo di Manuel Agnelli, Andrea Biagioni.

Districarsi nella grande discografia di un autore tanto prolifico ed incatalogabile (Graziani alla sua morte ci lasciò almeno 15 LP; lo stesso, nel 1989 con l’antologia Segni d’amore si è ritrovato a riarrangiare in stile più moderno i suoi classici, a testimonianza dell’urgenza espressiva e dell’attenzione ai dettagli che lo contraddistinguevano) può risultare difficile, ecco perché ci approcciamo al suo lavoro scegliendo, per ripercorrerne la carriera, cinque canzoni simbolo del lavoro di Ivan Graziani.

Lugano addio

Appare presto, ne I lupi (1977), album del successo vero e proprio dopo varie avventure giovanili, uscito per la Numero Uno di Mogol e Battisti, il tema delle storie dalla provincia, che per il cantautore, di natali abruzzesi, resterà fondamentale momento d’ispirazione. Ivan Graziani racconta, dipingendolo delicatamente come un quadro, di un ormai passato amore adolescenziale per la figlia di un partigiano, a cantare di città mai viste con quella Marta “dai capelli fermi come il lago”, mentre una morbida melodia da film romantico avvolge le parole.

Monna Lisa

Lucida e divertita follia, testi sferzanti e un groove irresistibile di basso-batteria in quattro quarti, con tanto di assolo sanguigno di chitarra che non sfigurerebbero oltreoceano per uno dei pezzi più famosi del cantautore abruzzese. Graziani qui veste i panni di un mitomane italiano alle prese col furto della Gioconda di Leonardo che, tra custodi malmenati e pensieri d’infanzia, culmina nello sfregio della stessa opera durante l’assedio da parte delle guardie, in una grottesca vendetta nei confronti dell’opera espropriata. Da Pigro (1978), concept sull’indolenza, per molti vetta massima dei lavori di Graziani.

Agnese

Un delicato giro di chitarra dal sapore classico (ispirato al Rondò della Sonatina op. 36 n°5 di Muzio Clementi, già portato al successo da Phil Collins dei Genesis con la sua versione di A Groovy Kind Of Love) per un pezzo quasi world, title track dell’album del 1979 Agnese dolce Agnese condito da una gustosa citazione-omaggio a While My Guitar Gently Weeps dei Beatles. Qui Graziani ricorda in una serata triste una sua vecchia compagna, un’avventura estiva di confidenze e timida e inesperta gelosia che stride fortemente col presente, fatto per lui di città inquinate e alcolici in solitudine. Ancora una volta delicatezza, sentimento, donne e fotografie del passato la fanno da padrone.

Firenze (canzone triste)

Un altro anno, un altro album: Firenze (da Viaggi e intemperie del 1980) traina inaspettatamente Graziani verso la Hit Parade, in cui raggiunge il quinto posto, restando in classifica per ben trentasette settimane. Una voce mai così suadente, accompagnata da una pulitissima chitarra acustica, rendono questo brano una piccola perla; Firenze è una ballad che racconta di un triangolo amoroso tra studenti fuorisede, in un dialogo tra il cantante e il Barbarossa, suo rivale in amore.  All’abbandono della ragazza e al ritorno del Barbarossa in Irlanda, non resterà nessuno che parli ancora di lei, quasi come se la stessa non fosse mai esistita. Il brano forma un ideale trilogia degli amori passati con Lugano AddioAgnese, ma la solitudine, nei brani precedenti già sedimentata e sperimentata, qui va emergendo piano e proprio mentre la voce di Ivan Graziani ci racconta dell’avventura universitaria, causando un senso di vuoto improvviso e palpabile. Un tema attuale persino nella nostra generazione 2.0.

Signora bionda dei ciliegi

L’album Ivan Graziani (1983), pur rappresentando un primo punto di stop per la carriera dello stesso (si fermerà solo alla trentanovesima posizione nelle classifiche italiane), contiene alcuni pezzi memorabili: oltre alla ben più famosa Il chitarrista, infatti, anche Signora bionda dei ciliegi merita le dovute attenzioni, con le contrapposizioni e la potenza dei suoi arrangiamenti orchestrali a condire la storia di un giovane studente e della sua iniziazione al sesso da parte di una signora molto più grande di lui in una maestosa villa. Questo tema, caro a tutta una tradizione cinematografica italiana degli anni ottanta, viene qui reso benissimo nel racconto dell’ormai adulto protagonista, al ritorno in quella villa per ricordare quel “gioco d’agosto” che “terminò troppo presto”.

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Luigi Buono

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