Fin qui – dove con qui si intende più o meno il VI secolo a.C. – si è visto come, de facto, la riflessione filosofica si sia sempre concentrata sullo scoprire quale fosse la sostanza fondamentale e permanente dell’universo. Si è sempre ricercata la legge che regolasse questo divenire che è il cosmo, ma la domanda più naturale è: siamo sicuri che le cose siano già così scontate? E se quest’essere che tanto si cerca non fosse affatto soggetto al divenire? E se, anzi, non fossimo neanche sicuri che questo essere ci sia davvero?
Per Parmenide, fondatore della scuola di Elea (l’attuale Velia, in Campania), è fondamentale innanzitutto fare un distinguo tra opinione (dòxa) e verità (epistème). Questo ci viene detto nel solo lavoro che Parmenide compose in vita: un poema epico tradizionale scritto in esametri. Per il filosofo, dunque, la verità si esprime nel distico: «L’essere esiste e non può non esistere; il non essere non esiste e non può esistere». Questa potrà sembrare una banalità; ecco, niente di più sbagliato. Si tratta, infatti, della sintesi di un processo di speculazione senza precedenti, talmente rigoroso da intimidire persino Platone, il quale definì Parmenide un «padre venerando e terribile». La sua posizione filosofica, infatti, è stata generalmente vista sì come estremamente paradossale, ma tuttavia essenziale per l’evoluzione della filosofia antica. Parmenide ha commentato così aspramente le teorie cosmologiche di chi lo ha preceduto da far sì che i suoi principali successori tra i presocratici sviluppassero teorie fisiche ben più sofisticate in risposta alle sue argomentazioni.
La dòxa si attiene a quel che si vede e si sente, si basa sull’esperienza. Proprio nell’esperienza la realtà pare essere costituita di molteplici esseri particolari (questo o quel cuoco, questo o quel ristorante, questa o quella cotoletta, o ragù o lasagne o risotto), di esseri che nascono, diventano adolescenti, finiscono sotto sei piedi di terra, in continua trasformazione e movimento, in quel divenire che Eraclito esaltava come il vero essere. L’uomo, afferma però Parmenide, non è limitato all’esperire: egli è riflessione critica, è pensiero. All’uomo, il mondo dell’esperienza risulta un mondo assurdo, perché implica questa suprema contraddizione: che il non-essere esiste.
L’articolo completo è disponibile sul nostro magazine alle pagine 19-21.