Von Moltke, generale tedesco vissuto nella seconda metà del diciannovesimo secolo, ebbe a dire che nessun piano militare sopravvive allo scontro con il nemico. Lo stesso concetto si può applicare alla situazione libica, dove innegabilmente molti attori hanno promosso un cambio di regime al quale non sono stati in grado di dare un seguito apprezzabile, e che ha fatto precipitare il paese nella più completa anarchia. La prima guerra civile libica si conclude de facto il 20 ottobre 2011, con la morte di Muammar Gheddafi e la conseguente fine del suo regime, durato quarantadue anni. Al termine del conflitto, tuttavia, molte domande rimasero irrisolte, e le soluzioni a tali domande fornite dai paesi interessati al futuro della Libia (Francia e Stati Uniti in primis) si dimostrarono profondamente errate.
I prodromi della seconda guerra civile libica originano direttamente nella conclusione della prima. Il Consiglio Nazionale di Transizione, che raccoglieva tutti gli elementi che si opponevano a Gheddafi, si trovò in mano un paese diviso e instabile proprio a causa della scomparsa di una guida che fosse in grado di riunire e gestire le varie anime della Libia, paese che nel frattempo continua ad essere attraversato da conflitti di varia entità e vede crescere il proprio ruolo di porto franco al servizio di diversi traffici illegali: oltre alla tratta degli esseri umani, che vede nelle coste libiche il trampolino di lancio designato per l’approdo sulla costa nord del Mediterraneo, in quei tempi tornò prepotentemente di moda il traffico di armi, che ebbe come principale destinazione il Mali. Tale paese, proprio a causa dell’enorme afflusso di armi e uomini provenienti dal confine libico, fu testimone di un colpo di stato – con conseguente conflitto civile – che infiammò le regioni nel nord del paese, e fu placato solo dopo l’intervento di una coalizione di volenterosi.
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