La storia dei rapporti tra Cina e Africa risale all’inizio del I secolo a.C., ossia all’epoca dei commerci con la costa orientale del continente, avviati sotto la dinastia Han. Nel corso dei secoli la conoscenza tra le due aree geografiche si è andata via via approfondendo fino ad arrivare al ‘500, periodo in cui, dopo le scoperte e le esplorazioni dell’ammiraglio Zheng He, gli imperatori della dinastia Ming iniziarono a chiudere le frontiere del paese e avviarono una politica isolazionista che chiuse il Celeste Impero all’esterno per i secoli a venire. L’impero riaprì i confini in seguito alle iniziative esterne (in particolar modo quelle inglesi, olandesi e giapponesi) e si riscoprì terribilmente debole: tecnologicamente arretrato, socialmente spezzettato e con una classe dirigente corrotta e sostanzialmente incapace di guidare il paese. La Cina inizia un percorso di rinascita solo alla fine del ventesimo secolo, e solo allora ricomincia a connettersi con il resto del mondo, in particolar modo su basi commerciali. Proprio quest’ultimo punto, prima ancora della potenza militare o politica, sembra infatti essere il vero focus su cui Pechino si è concentrata negli ultimi decenni.
Tale attenzione all’aspetto commerciale ha portato la Cina a modificare il proprio esercito, il proprio sistema produttivo, finanche il proprio rapporto con la popolazione. Naturalmente questo focus ha modificato notevolmente anche la politica estera, e il rapporto con l’Africa – sviluppatosi nel corso degli ultimi venti anni – ne è la migliore testimonianza. Negli ultimi tempi l’interesse cinese è andato crescendo, generando un asse che si muove in due direzioni: verso la Cina vanno le materie prime, mentre verso l’Africa vanno gli investimenti che si concretizzano in infrastrutture, posti di lavoro e crescita economica in generale. Gli interventi cinesi, tuttavia, non sono sempre fatti in modo mirato e con cognizione di causa.
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