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Ubuntu: la leadership politica in Africa

Published by
Carlo Paganessi

Un detto africano sostiene che «nessuno lascia il governo vivo in Africa». Tale proverbio fa riferimento alla natura, spesso conflittuale, della gestione del potere politico a sud del deserto del Sahara, dove difficilmente i cambi di regime avvengono con una transizione pacifica. Anche un semplice cambio di governo provoca timori e preoccupazioni, nonché ricorsi alla locale Corte costituzionale nel tentativo di far passare una legge, approvata con metodi dubbi, che prolunghi di n mandati la possibilità del presidente attuale di rimanere in carica, grazie ad elezioni altrettanto dubbie. Nel peggiore dei casi (che avviene in modo decisamente frequente) vi è anche il ricorso allo strumento militare. La varietà di strutture tribali, confessionali ed etniche è decisamente varia, ma si possono intravedere dei pattern comportamentali piuttosto consistenti che attraversano tutta l’Africa.

L’amministrazione del potere politico, in un sistema democratico africano, deve ragionare su più livelli: quello etnico, religioso, economico e tribale. Nel corso del XX secolo, tra tutti questi, quello che ha causato il maggior numero di conflitti è quello etnico, che è diretta conseguenza della colonizzazione e di come sono stati divisi i territori durante il processo di occupazione e sfruttamento economico del continente da parte delle potenze europee. Per certi versi è possibile considerare la Conferenza di Berlino del 1884, quella incentrata sulla spartizione dell’Africa, come uno dei cardini dello spostamento dei conflitti dall’Europa al continente nero. I confini tra le colonie delle potenze europee vennero tracciati senza tenere conto del fattore etnico, specie considerando che a quei tempi l’antropologia e l’etnologia erano scienze ancora molto giovani e troppo influenzate dalle scienze positive. Gli europei si spartirono tra loro il continente, tracciando linee che raramente seguivano confini naturali o etnico-politici, ma che seguivano piuttosto logiche di equilibrio di potenza: la miglior testimonianza di tale mentalità si trova guardando la cartina geografica della Namibia. A nord-est è possibile notare una striscia di terra senza alcun senso geografico, che parte dall’angolo nordorientale del paese e connette il paese allo Zambesi e al Lago Livingstone: questa bizzarria geografica è detta il “dito di Caprivi”, dal nome del cancelliere tedesco che nel 1890 negoziò il trattato di Helgoland-Zanzibar e che ottenne il diritto d’accesso alle due importanti vie d’acqua per la propria colonia. Precedentemente il territorio apparteneva alla colonia britannica del Beciuanaland ed era abitato dai Lozi: dopo la spartizione tale etnia si trovò divisa tra lo Zambia meridionale, l’Angola portoghese, la Namibia e il Botswana.

L’articolo completo è disponibile sul nostro magazine alle pagine 10-13.

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Carlo Paganessi

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