Festival di Sanremo: sessantesettesima edizione
Anche quest’anno si è concluso il festival di Sanremo: alla sua sessantasettesima edizione, il festival della canzone italiana non sembra riuscire a raddrizzare la parabola qualitativa discendente che ormai si è abbattuta da lungo tempo sulla cittadina ligure. Sono tre, fondamentalmente, i grossi problemi da risolvere, se si vuole iniziare a vedere uno spettacolo quanto meno decente rispetto alla sarabanda trash di cui è ormai sinonimo il festival: la conduzione, gli ospiti e – ovviamente – le canzoni.
La conduzione
Per la terza volta consecutiva, la conduzione è stata affidata alle mani esperte di Carlo Conti. Ma è lui il vero conduttore? Domanda legittima, perché il presentatore toscano si è fatto affiancare da Maria De Filippi, uno dei volti più noti di Mediaset, finendo per apparire più come un valletto della moglie di Maurizio Costanzo. La quasi totale assenza di carisma da parte della coppia non fa altro che aumentare il sentimento di noia dilagante di cui è già pervaso lo spettatore dopo mezz’ora. Certo, è in ogni caso una conduzione che fila liscia e senza intoppi, ma ciò non significa che riesca ad essere coinvolgente, o quanto meno un minimo intrattenente.
Il morbo sanremese sembra quasi affliggere tutto lo staff di Conti: oltre a un fiacco Crozza, che ripropone la sua copertina di Ballarò, e alle imitazioni riuscite a metà di Ubaldo Pantani, lo stesso Rocco Tanica, uno dei momenti più divertenti degli scorsi due festival targati Conti, pare l’ombra di sé stesso.
Discorso simile per quanto riguarda il DopoFestival, affidato a Nicola Savino e alla Gialappa’s Band: Savino, complice forse l’ora, sembra quasi finito sul palco per caso, mentre il trio formato da Carlo Taranto, Marco Santini e Giorgio Gherarducci è ormai lontano anni luce dagli anni d’oro dei vari Mai dire, con un netto ammorbidimento delle frecciatine avvenuto in contemporanea all’approdo in Rai.
Gli ospiti
Per quanto riguarda gli ospiti nazionali e internazionali presenti a Sanremo, parimenti, non si può essere molto soddisfatti. A cominciare dalle comparsate di personaggi inutili come Anouchka Delon e Annabelle Belmondo, rispettivamente nipote di Alain Delon e figlia di Jean Paul Belmondo e presenti proprio in quanto parenti di queste due leggende del cinema francese, fino agli spenti e poco divertenti intermezzi comici di Enrico Montesano o del terzetto Brignano-Cirilli-Insinna, sul palco dell’Ariston passa una carrellata di celebrità di cui non si riesce a cogliere il senso. Non si poteva fare a meno di gente come Raul Bova, quasi ai livelli del Gabriel Garko dell’anno scorso?
A peggiorare la situazione già di per sé drammatica c’è il classico metodo della pubblicità made in Rai: non solo durante il festival vengono costantemente riproposti (anche giustamente) gli spot delle varie fiction in programma nel palinsesto delle prossime settimane, ma i medesimi attori protagonisti vengono chiamati sul palco per lo stesso fine pubblicitario. Certo ha senso che la Rai sfrutti un evento come il festival di Sanremo per trarne più vantaggio possibile, però vedere sul palco personaggi con ben poco da dire come Sveva Alviti o la allucinata Diana Del Bufalo ha l’unico effetto di spingere lo spettatore a voler cambiare istintivamente canale.
Il culmine, per quanto riguarda le ospitate del festival, è lo scaltro sfruttamento delle categorie più fragili: con il subdolo espediente di voler portare sul palco storie drammatiche, come il gruppo di soccorritori del Rigopiano o il nonno che ha salvato suo nipote dalla strage di Nizza, complice la presenza di Maria De Filippi a dare quel tocco alla C’è posta per te, si cerca di sfruttare l’empatia della gente per procacciarsi una buona fetta di share. Ovviamente è sacrosanto che i protagonisti di queste vicende abbiano il giusto risalto mediatico, ma è davvero Sanremo la passerella corretta?
Le canzoni
Arriviamo al punto cruciale del festival di Sanremo, ovvero la musica. Sì perché, nonostante tutto l’apparato che viene costruito attorno, il festival proprio sulla musica si dovrebbe concentrare, quando in realtà le canzoni paiono più degli intermezzi fra un ospite e l’altro piuttosto che il contrario. Il calderone di artisti che ogni anno partecipano è ormai ben conosciuto: fra vecchie glorie della musica leggera, giovani freschi freschi di talent show, rapper o presunti tali e qualche outsider, il mosaico canoro che viene a comporsi è molto vario. Ma nonostante le enormi differenze fra un cantante e l’altro, i vari brani in gara tendono tutti ad assomigliarsi e a finire piuttosto velocemente nel dimenticatoio.
A vincere quest’anno è Francesco Gabbani con la sua Occidentali’s Karma, una canzonetta pop mediocre che però è riuscita a convincere il pubblico, bissando il successo dell’anno precedente quando era in gara fra le nuove proposte con Amen. Come ha fatto? Semplicemente, proponendo qualcosa fuori dagli schemi sanremesi. Gabbani non ha certo portato in gara un capolavoro, ma rispetto ai brani pseudo-impegnati, fondamentalmente noiosi e soprattutto estremamente ripetitivi degli altri concorrenti il suo tormentone entra immediatamente in testa, grazie anche al testo simil-Battiato che prende bonariamente in giro il finto spiritualismo orientale tipico del mondo occidentale.
Anche gli ospiti musicali non sembrano essere da meno dei colleghi in gara: fra la deludente performance senza voce dei Biffy Clyro, gli inutili passaggi di Alvaro Soler, Ricky Martin e Robbie Williams e la finta presenza di Mina sfruttata dalla Tim come mega spot pubblicitario, sono stati pochi i momenti degni di nota. Fra questi, però, vanno sicuramente citati il medley di Giorgia durante la seconda serata, la cantautrice italo americana LP e inaspettatamente Zucchero, presente alla serata finale con una più che dignitosa prova nonostante le bassissime aspettative.
Con la conclusione di questa edizione viene a cambiare anche il conduttore, dopo i tre anni dell’era Conti. Chi ne prenderà il posto avrà l’oneroso compito di risollevare un festival ormai vittima dei talent e del mercato discografico, vetrina del banale e del già sentito. Missione impossibile? Noi ci crediamo.