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Le sette sorelle: alla scoperta di Trappist-1

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Marco Pallavera

È di pochi giorni fa la storica conferenza stampa della NASA che ha annunciato al mondo la scoperta di ben sette pianeti rocciosi attorno ad una stella a 39 anni luce da noi, Trappist-1. Mai prima d’ora eravamo riusciti a individuarne così tanti, tutti nello stesso sistema stellare. Sembra inoltre che tre di questi siano situati nella cosiddetta fascia di abitabilità, ossia che si trovino a una distanza tale da permettere la presenza sulla loro superficie di acqua allo stato liquido. Quest’ultima affermazione pare aver scosso profondamente il grande pubblico, che non ha tardato nel ripresentare la solita domanda: c’è quindi vita al di fuori della Terra? Dove sono gli alieni?

A dire il vero, non sappiamo ancora la risposta a queste domande. Anzi, il sistema Trappist-1 ne ha semmai portate altre in dote. Proviamo però a vedere gli aspetti più importanti di questa scoperta. Prima di tutto, come abbiamo visto questi pianeti? Esistono vari modi per rilevare la presenza di un pianeta attorno a una stella, come si è visto in occasione della scoperta di Proxima b, esopianeta cugino delle nostre sette sorelle. Sappiamo da studi precedenti che le stelle nane rosse, come Trappist-1, emettono una luce molto fioca e stabile. Osservandole per un certo periodo di tempo, se siamo fortunati potremmo vedere delle piccole cadute di luminosità periodiche. Se abbiamo ben interpretato i dati, possiamo associare a questi eventi il passaggio di un pianeta in orbita, che nel momento giusto provoca una piccola eclissi. La grande limitazione di questo metodo è che il piano orbitale del sistema deve essere allineato con la nostra linea di vista. La cosa interessante è che, nonostante questo, siamo riusciti a scoprirne migliaia.

Curve di luminosità di tutti e sette i pianeti: passando davanti alla stella, ne oscurano la luce per qualche minuto. (ESO. Gillon et al.)

Nel corso del tempo si è sempre cercato di capire quanti fossero effettivamente i pianeti presenti nella nostra galassia. Fino ad ora, il Sistema Solare era un modello pressoché unico. Quattro pianeti rocciosi, quattro giganti gassosi.  Ci stiamo invece accorgendo che il nostro sistema non è speciale. Sempre più stelle possiedono un proprio sistema planetario, di complessità sempre crescente. Figuriamoci quando riusciamo a trovarne sette, tutti rocciosi, attorno a una nana rossa. Una stella freddissima, ossia la tipologia di stella più stabile e comune dell’universo. È presto detto, da oggi abbiamo quasi la certezza che un numero indefinito di mondi è lì, pronto per essere scoperto.

Alcuni esempi dei sistemi stellari più complessi conosciuti, aggiornati al 2014.

Cerchiamo adesso di rispondere alle domande iniziali. Dire se ci sono o meno degli omini verdi sulla superficie non è così banale. Innanzitutto, dobbiamo fare alcune premesse. La vita sulla Terra si è sviluppata grazie a una serie di fortunate combinazioni che hanno permesso di creare una condizione confortevole e duratura. Alcune sono conosciute: la Terra si trova nella fascia di abitabilità, ha un campo magnetico che la protegge dai raggi cosmici più intensi e un’atmosfera ideale. Altre sono meno note, ma non meno importanti: la Luna, oltre a stabilizzare fortemente l’asse di rotazione, ha permesso la creazione di “pozze di marea” sulla Terra primordiale, permettendo alla vita di svilupparsi con tranquillità. Oppure la presenza di Giove, che ha “ripulito” il sistema da tantissimi detriti che potevano risultare una minaccia. Condizioni come queste non sembrano verificarsi sui pianeti di Trappist-1, ma non dobbiamo disperare.

Una cosa invece quasi certa è che i pianeti nella fascia di abitabilità di una nana rossa siano bloccati marealmente. Come infatti la Luna rivolge a noi sempre lo stesso lato, così le nostre sette sorelle hanno sempre un lato puntato verso il Sole. Questo fa sì che l’escursione termica tra la parte in ombra e quella alla luce sia di centinaia di gradi. Solo nella zona intermedia, forse, potrebbero esserci delle buone condizioni per la vita. Tutto questo, ovviamente, al netto di tanti fattori che non abbiamo considerato, come la deriva dei continenti e la stabilità dell’atmosfera.

Ipotizziamo però che una misteriosa civiltà sia riuscita a prosperare e a svilupparsi fino al nostro livello tecnologico, nonostante le condizioni infernali. Potremmo mai avere un primo contatto? Forse. Ma, molto probabilmente, solo i futuri nascituri potranno. Infatti Trappist-1 dista 40 anni luce: se mandassimo oggi un segnale verso loro, nella migliore delle ipotesi non potrebbe arrivare una risposta prima del 2097, ossia tra 80 anni. Sempre che quest’ultimo non si disperda prima, considerando che è quasi impossibile mantenere un segnale “pulito” per un tempo così lungo.

Cosa ci riserva il prossimo futuro? Ormai possiamo avere la certezza che scopriremo tanti sistemi simili al nostro, bisogna solo avere pazienza. L’appuntamento più atteso dalla comunità scientifica è sicuramente il lancio del James Webb Space Telescope, un telescopio spaziale a infrarossi erede dell’iconico Hubble Space Telescope. La sua immensa precisione ci potrà dire molto sulle nostre sette sorelle, a tal punto che lo spettrometro di bordo potrebbe rilevare la composizione della loro atmosfera. Se troveremo qualcosa di legato all’ossigeno, potremmo finalmente rispondere con certezza alla prima domanda. Non ci resta che incrociare le dita!

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Marco Pallavera

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