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Le celebrazioni per i sessant’anni dei trattati d’Europa

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Carlo Paganessi

Al termine della seconda guerra mondiale, il continente europeo era quello che, fuor da ogni dubbio, aveva subito le maggiori devastazioni. La volontà di tutte le élite politiche era quella di tenere lo spettro di un nuovo conflitto (che all’epoca sembrava pericolosamente vicino, date le tensioni tra Unione Sovietica e Stati Uniti) il più lontano possibile. Il maggior timore era che si riproponesse un conflitto civile europeo: un conflitto come quello – avvenuto tra 1915 e 1945 – che aveva fatto perdere la primazia mondiale al vecchio mondo per consegnarla al nuovo. L’idea di Europa nasce già durante la seconda guerra mondiale: i dissidenti italiani Altiero Spinelli, Ernesto Rossi e Ursula Hirschmann, mandati dal regime fascista al confino a Ventotene, elaborano un manifesto europeo nel quale è contenuta l’idea di un’Europa con competenze reali in tema di economia e politica estera, con un vero e proprio parlamento eletto a suffragio universale.

Pace per il nostro tempo

Per garantire una pace duratura in Europa le questioni da affrontare erano diverse: la prima era, naturalmente, l’assenza di conflitti. Si decise pertanto per la sottrazione delle risorse necessarie allo sviluppo indipendente degli armamenti, ma questo non attraverso la requisizione (come era invece avvenuto, al termine della prima guerra mondiale, con la demilitarizzazione della Renania e con la riduzione dell’esercito tedesco), bensì attraverso la messa in comune delle risorse stesse. Ecco che nacque l’idea della CECA (Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio), istituita con il Trattato di Parigi del 18 Aprile 1951. Il controllo delle risorse siderurgiche presenti nella zona aveva dato motivi di conflitto tra Franchi dell’est e Franchi dell’ovest sin dal medioevo; Alsazia, Lorena e bacino della Ruhr sono luoghi dove le culture e le lingue di entrambi i paesi si mescolano, dando vita a rivendicazioni reciproche che hanno scatenato diversi conflitti e provocato uno stato di costante tensione tra Francia e Germania, con una particolare recrudescenza nei due secoli precedenti.

La firma dei trattati nel 1957, con la cerimonia presso la sala degli Orazi e Curiazi al Campidoglio di Roma.

Per unificare e pacificare l’Europa, pertanto, si scelse l’elemento economico: la messa in comune delle risorse, l’apertura delle frontiere e la progressiva integrazione delle economie si sono rivelati degli strumenti quanto mai vincenti, dato che la parte occidentale del continente sta vivendo uno dei più lunghi periodi di pace della sua storia. La predisposizione della CECA è stata solo il preludio a questo processo: la svolta si ebbe il 25 marzo del 1957, quando, con i trattati di Roma, vennero costituite CEE (Comunità Economica Europea) ed EURATOM (Agenzia Europea per l’Energia Nucleare). La firma di questi trattati rappresenta un evento storico, perché ha predisposto le fondamenta per la creazione della Comunità Europea prima e dell’Unione Europea in un secondo momento. I paesi fondatori furono Francia e Germania (entrambe desiderose di pace, dopo gli enormi danni subiti nel conflitto), i paesi del Benelux (Belgio, Olanda e Lussemburgo, desiderosi di giocare un ruolo maggiore nel contesto europeo) e l’Italia (decisa a staccarsi dall’isolamento diplomatico e a favorire il boom della propria economia).

Le celebrazioni

La scorsa settimana i capi di stato e di governo di diversi paesi dell’Unione Europea si sono riuniti a Roma per celebrare i sessant’anni dalla firma dei trattati. La cerimonia è iniziata alle dieci in Campidoglio con i saluti delle autorità: il discorso del Presidente del Consiglio italiano Gentiloni ha toccato diversi punti, il principale dei quali ha riguardato il voler ritrovare il coraggio dei padri fondatori della Comunità Europea, la cui perdita avrebbe causato l’ascesa dei nazionalismi a cui stiamo assistendo negli ultimi tempi. Sono seguiti i discorsi del presidente del Consiglio europeo Tusk, del presidente della Commissione Europea Juncker e del presidente del Parlamento Tajani. Al termine i Ventisette (uno in meno rispetto all’usuale ventotto, data l’assenza del Regno Unito in seguito all’avvio dei procedimenti per l’uscita dall’Unione) hanno firmato una dichiarazione programmatica congiunta che si propone i seguenti punti: la sicurezza europea (con un accenno alla sicurezza delle frontiere, alla lotta al terrorismo e alla politica migratoria), la prosperità del continente attraverso l’implementazione di nuove tecnologie nel rispetto dell’ambiente, la tutela delle fasce sociali più deboli attraverso il progresso economico e sociale e un’Europa maggiormente attiva sulla scena internazionale.

Al di fuori delle celebrazioni si sono svolte ben sei manifestazioni, sia pro che contro le celebrazioni: da un lato vi erano Fratelli d’Italia, il movimento Eurostop e il sit-in del movimento per la sovranità nazionale, mentre dall’altro erano presenti diversi movimenti europeisti (come il Movimento Federalista Europeo e altre sigle dell’associazionismo europeista giovanile e studentesco). I cortei si sono svolti senza incidenti, sebbene durante la bonifica gli agenti (oltre 5.000 schierati per l’occasione) abbiano rinvenuto caschi, scudi improvvisati e bastoni presso alcuni militanti di Eurostop, con perquisizioni che sono risultate in 120 persone fermate.

Durante la giornata si sono svolti diversi cortei, avvenuti per la maggior parte senza incidenti.

Per un giorno non ci si è fermati a pensare al momento di profonda crisi che sta attraversando l’Unione Europea. Non è il primo periodo di stallo che il processo di integrazione europea sta attraversando: gli anni ’70 furono da più parti definiti come la decada perdida di questo processo, dovuta al sostanziale immobilismo delle élite, alla scarsa capacità di trovare accordi tra Francia e Germania (i periodi in cui questi due paesi hanno avuto matrici politiche diverse al governo si sono sempre rivelati difficili per l’Europa) e alla crisi economica dovuta al blocco petrolifero imposto dall’OPEC.

La dichiarazione programmatica è di notevole importanza, considerando che quella precedente a Berlino nel 2007 venne firmata solo dalle istituzioni e non dai paesi. La firma della Polonia era data come dubbia, alla vigilia, in quanto il governo di Varsavia, al momento, era in mano al partito populista Diritto e Giustizia, che ha richiesto di cambiare alcune parole – come i riferimenti alla politica di genere – per renderlo maggiormente consono al suo programma di governo. Questa si è dimostrata una forte prova di coesione, ora che l’Unione Europea dovrà affrontare i negoziati con il Regno Unito per la sua uscita dall’Unione. I tempi si preannunciano piuttosto duri per Londra, considerando che per gestire il negoziato è stato scelto il leader di ALDE Guy Verhofstadt, da più parti considerato come un falco europeista, il che significa che non farà sconti eccessivi al Regno Unito.

Quale Europa

Il dato che emerge da queste celebrazioni è che le attuali leadership sembrano aver capito che minacciare la dissoluzione dolosa dell’Unione sembra non essere troppo conveniente; i primi ad averlo capito sembrano essere proprio i paesi dell’Europa Orientale, parte dei quali sono riuniti nel gruppo di Visegrad. L’ascesa di partiti come quello dell’Ingegner Kotleba in Slovacchia, l’estrema destra cattolica al governo in Polonia e il partito nazionalista Jobbik di Orban in Ungheria non lascerebbero ben sperare per la coesione europea (specie considerando la loro vulnerabilità a pressioni esterne), ma la comprensione del valore del progetto europeo rappresenta un notevole traguardo che dà fiducia nel futuro.

Anche in Europa Occidentale varie forze politiche hanno conquistato consensi proponendo soluzioni semplici e individuali a problemi complessi e collettivi, imputando all’Europa la responsabilità di tutti i problemi del proprio paese. È il caso della Lega Nord in Italia, di Front National in Francia (prossimo alle elezioni, che si terranno a cavallo della fine di questo mese), del Partij Voor de Vrijheid (Partito della libertà, che ha appena affrontato una tornata elettorale guadagnando notevole terreno sugli avversari) olandese e via dicendo. Il ritorno dei nazionalismi sembra essere arginato dalle ampie coalizioni politiche e dalla loro stessa incapacità, nella maggior parte dei casi, di costruire alleanze politiche. Talvolta il rifiuto avviene su basi di convenienza (lo sfruttamento di una rendita di posizione), mentre in altri casi vi è un rifiuto di natura ideologica.

Da sinistra a destra: il Premier maltese Muscat, il Presidente del Consiglio Europeo Tusk, il Presidente francese Hollande e il Presidente del Consiglio Gentiloni.

Le pressioni esterne hanno messo in difficoltà l’Europa in più occasioni, dato che al di fuori di essa la si desidera disunita: Trump si disse contento per quanto accaduto con il referendum britannico sull’uscita dall’Europa, mentre Putin promuove o intrattiene contatti con larga parte delle forze centrifughe che stanno cercando di separare l’Europa. Queste ultime, nel promuovere e assecondare i comportamenti di una modalità di gestione del potere così lontana da quella europea, dimostrano il fallimento nella trasmissione della storia e dei valori europei: i periodi di crisi economica sono tradizionalmente duri per l’integrazione europea, ma negli ultimi anni si è mostrata anche una notevole crisi valoriale, con un numero sempre crescente di forze politiche che propongono misure (e ottengono consensi, sulla base di queste) lontane dalle libertà fondamentali europee, come il diritto all’asilo, la libertà di circolazione e la libertà d’espressione.

L’Europa è il classico vaso di coccio in mezzo ai vasi di ferro? Non proprio. Certo, sta subendo le pressioni esterne; tuttavia, anche senza il Regno Unito, rimane il più importante mercato libero al mondo, un peso politico ed economico non indifferente all’estero (basti pensare all’attività nell’Africa Subsahariana, nel Caucaso e nei Balcani). È la principale donatrice di aiuti per lo sviluppo e, quando negozia collettivamente, è in grado di farlo da una posizione di forza. È promotrice di una politica di vicinato che favorisce l’integrazione dei paesi limitrofi ed evita la creazione di una “fortezza europea” che somigli a una cattedrale nel deserto. Ma il maggior merito del processo di integrazione europea, senza dubbio, sta nella capacità di aver imposto una pace durata settant’anni in un continente che, nella sua storia precedente, non aveva mai vissuto per tanto tempo senza conflitti. L’Unione Europea, ad oggi, si presenta come lontana da un’ideale perfezione, ma è la casa di tutti e a tutti conviene supportarla con le proprie idee e con le proprie azioni.

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Carlo Paganessi

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