Che cosa c’è di moderno, che cosa di originale nel pensiero di Machiavelli? Qual è il posto di Machiavelli nella storia delle idee occidentali? La letteratura secondaria che discute sull’argomento ha ormai raggiunto una mole incredibile. Eppure, Machiavelli non sembra aver mai considerato sé stesso un filosofo, anzi. I suoi scritti sono a tratti esasperanti e incredibilmente asistematici, incoerenti, talvolta contraddittori. Egli tende ad appellarsi all’esperienza e agli esempi, piuttosto che a una rigorosa analisi logica. Eppure, nonostante le premesse, i termini ‘machiavellico’ o ‘machiavellismo’ trovano regolare uso tra i filosofi che si occupano di problemi di carattere etico, politico e psicologico, nonostante Machiavelli non abbia mai neanche inventato né cercato di definire il “machiavellismo”; di fatto, potrebbe non essere mai stato un “machiavellico”, o almeno nel senso spesso attribuitogli. Inoltre, nella critica di Machiavelli ai grandi schemi filosofici, troviamo un vero e proprio guanto di sfida lanciato a quella filosofia che intende descrivere la realtà.
Il machiavellismo è entrato nell’uso comune per descrivere una certa abnegazione, una caparbia e una determinazione senza compromessi; un utilitarismo spregiudicato e spietato che si serve di espedienti subdoli o, se necessario, di mezzi violenti. Questo è dovuto però a un’interpretazione parziale e polemica del pensiero di Machiavelli. Manipolazione che ha inizio nella seconda metà del secolo XVI, da parte di autori che indicano con la parola ‘machiavellismo’ l’arte di governare ispirata a un puro utilitarismo, in base al quale il governante, indipendentemente da ogni considerazione di carattere morale, si serve di ogni espediente, anche il più subdolo o spietato, pur di raggiungere il proprio fine.
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