Giordano Bruno nasce a Nola nel 1548, e in gioventù entra nell’Ordine domenicano nel Convento di Napoli, dove rimane fino al 1576. Già allora sospettato d’eresia, va peregrinando di città in città per tutta Europa. È dunque a Ginevra, poi in Francia. Tra l’83 e l’85 è in Inghilterra, dove scrive e pubblica le sue opere più importanti, tra cui i dialoghi italiani De la causa, Principio et uno, De infinito, universo e mondi, La cena delle ceneri, di contenuto prevalentemente metafisico, e Lo spaccio della bestia trionfante e De gli eroici furori, di contenuto prevalentemente morale. Ritorna quindi a Parigi, dopo un anno si trasferisce in Germania e, tra il 1590 e il 1591, a Francoforte pubblica i suoi poemetti filosofici latini. Nel 1591 accoglie l’invito di un nobile veneziano, Giovanni Mocenigo, desideroso di apprendere da lui l’arte della memoria, a recarsi a Venezia, ma qui è denunciato nel 1592 dal suo discepolo al Tribunale dell’Inquisizione come eretico, imprigionato e processato. Nel processo di Venezia egli riconosce di essere incorso in eresie e si dichiara disposto a farne ammenda. Consegnato poi dalla Repubblica di Venezia all’Inquisizione di Roma, è sottoposto a un nuovo processo, nel quale egli rifiuta qualsiasi ritrattazione: dopo sette anni di carcere è condannato a morte. Il 17 febbraio 1600 viene arso vivo in Campo dei Fiori a Roma.
Il suo genio speculativo si sforza di fondere i più disparati Leitmotiv del naturalismo del Rinascimento italiano per poi ricollegarli alle fonti del pensiero antico, dal neoplatonismo allo stoicismo, passando per la scuola di Elea, i frammenti di Eraclito, l’atomismo di Democrito. Nella mente di Giordano Bruno regna sovrano il concetto di infinito. Il pensiero del “divino Cusano” gli fornisce spunti di origine mistico-filosofica; proprio come la nuova teoria di Copernico, da lui entusiasticamente accolta, gli offre invece una solida base scientifica. La sua visione del mondo è sorretta da impeti di simpatia commossa e da slanci di una spesso torbida fantasia: gioiosa partecipazione all’eterno processo per cui l’Uno si dispiega nel Tutto e il Tutto si risolve nell’Uno.
«Eroico furore» – come Bruno stesso dice – non è l’estasi o l’ispirazione degli invasati di Dio, i quali, vuoti di proprio spirito, accolgono passivamente lo spirito divino; è l’attivo e fervido dispiegarsi della ragione, per cui i filosofi dimostrano non l’effetto dell’azione divina, ma l’eccellenza della propria umanità.
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