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theWise Incontra: Croqqer. L’umanità che unisce

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Francesco Stati

«Mentre la tecnologia collega, è l’umanità che unisce». Molto più di ogni possibile descrizione, è questo slogan che descrive il cuore del progetto di Croqqer, una azienda “B-Corp” che fonde le necessità di chi ha bisogno di aiuto a quelle di chi ha voglia di mettere a disposizione il proprio tempo e le proprie competenze per la collettività e il quartiere in cui vive, il tutto tramite un social network creato per questo scopo. Questa settimana, per la nostra rubrica theWise incontra, siamo andati a intervistare Francesco Serventi, COO della azienda, per comprendere meglio la natura della società e capire cosa si nasconde dietro a un progetto tanto giovane quanto ambizioso come questo.

La squadra di Croqqer

La prima domanda potrà sembrare banale, ma non lo è affatto: cos’è Croqqer? Cosa fa?

«Noi amiamo definire Croqqer una ‘comunità di persone’; è qualcosa di molto più di una piattaforma tecnologica, è una community di persone che scambiano fra loro servizi di vario tipo attraverso la tecnologia. In sostanza Croqqer mette in contatto chi ha bisogno di aiuto con chi può fornirglielo: vogliamo permettere alle persone di trovare un aiuto vicino a loro stessi per qualsiasi tipo di bisogno, sia esso materiale (come riparare un tubo, trasportare un mobile e simili) o intellettuale (traduzione di un testo, creazione di loghi). In questo modo si ricreano anche le relazioni umane di quartiere, in un mondo che sembra fare di tutto per staccarci dalle persone e spostare tutto sul web: con Croqqer noi vogliamo tornare a rigenerare i contatti “reali”, le connessioni, la coesione sociale, creando così un valore aggiunto incentivando una economia a km0 dove ogni necessità può essere risolta dal proprio vicino, un po’ come ai vecchi tempi!»

Qual è la genesi del vostro progetto? Da cosa nasce l’idea di questo network?

«Tutto è partito dall’analisi della situazione attuale del mondo del lavoro: stiamo vivendo un’epoca ricca di cambiamenti dovuti a numerosi fattori (in primo luogo all’innovazione tecnologica) e ci aspettiamo di vedere una significativa riduzione del lavoro nel giro dei prossimi 5-10 anni. Non avremo più bisogno di lavorare, perché le mansioni pratiche saranno essenzialmente svolte dalle macchine (basti pensare alla macchina senza pilota), e ciò avrà un impatto significativo su infiniti settori. La conseguenza diretta sarà che le persone, libere dal lavoro, avranno la possibilità di utilizzare le proprie competenze specifiche in altri ambiti, aiutando per esempio chi ne ha bisogno. Da questa analisi è nata l’idea di sfruttare le nuove tecnologie per metterle a disposizione degli individui, per ricreare le relazioni umane come detto e dare la possibilità sia di esplicitare i propri bisogni sia di far valorizzare a chi ne ha la possibilità il proprio tempo libero».

Dove siete attivi in questo momento?

«Siamo partiti circa 18 mesi fa e abbiamo una community sviluppata in quattro paesi europei (stiamo aprendo in questi giorni il nostro servizio in Svizzera e prevediamo di aprire in altri due Paesi UE entro la fine del 2017), e abbiamo circa 25.000 utenti attivi e migliaia di scambi creati all’attivo. La cosa più interessante è che gli scambi su Croqqer possono avvenire in tre modi: a pagamento, tramite “baratto” e pro bono. Quelli a pagamento avvengono allegando al proprio annuncio la somma che si desidera pagare per quella determinata attività, nella seconda modalità si può proporre uno “scambio di competenze” fra i richiedenti e nella terza si dà aiuto su base volontaria. Sul totale delle commissioni, abbiamo stimato che il 35% è avvenuto senza pagamento, e questo dimostra quanto sia grande il valore sociale da noi generato, che è sia un punto di forza, sia uno dei nostri obiettivi come azienda, visto che come forma sociale abbiamo scelto di costituirci come Società Benefit».

 

Riallacciamoci proprio a questa vostra caratteristica: cos’è la Società Benefit e perché è “speciale” rispetto alle altre?

«La Società Benefit è una forma societaria introdotta in Italia piuttosto di recente [nel gennaio 2016, N.d.R.] che prevede una duplice finalità per l’azienda: da una parte il perseguimento del profitto come una classica S.R.L. o una S.P.A., dall’altra il perseguimento di ciò che la legge definisce come “Beneficio comune”: l’imprenditore che decide di avere una società benefit deve avere un impatto positivo sulla società, sull’ambiente, sulla comunità in cui opera o sui propri dipendenti; ogni azienda individua il proprio campo di interesse per tali benefici e lo scrive nello statuto. Prima di questa legge non era possibile portare avanti questi obiettivi positivi nei confronti della collettività, grazie a questa legge ora è possibile: quando siamo nati nel 2015 abbiamo dovuto costituirci come una S.R.L. classica, e ci fu appunto contestato alla nostra costituzione il fatto che il nostro scopo unico non fosse solo la classica massimizzazione del profitto ma anche il perseguimento del beneficio comune, punto che per questo motivo fu formalmente eliminato dallo statuto ma fu comunque perseguito de facto come da programma, dato che era già all’epoca il cuore del nostro progetto. Nel momento in cui la legge è stata introdotta in Italia, il 26 febbraio 2016 siamo tornati dal notaio e abbiamo mutato la nostra forma sociale e il nostro statuto in quello che è oggi, allargando l’oggetto sociale anche al beneficio comune che, come potete leggere nel nostro sito, abbiamo articolato in tre punti:

 

  • creare valore condiviso sia sociale che economico attraverso la moltiplicazione di opportunità di scambio e l’interazione nelle comunità locali;
  • creare, sul fronte dell’offerta, nuove opportunità di lavoro per coloro che hanno le competenze e i talenti ma non sono adeguatamente riconosciuti o valorizzati nel paradigma di lavoro attuale, quali ad esempio persone che non hanno una occupazione o persone che hanno bisogno di un secondo lavoro per soddisfare esigenze personali e familiari;
  • creare, sul fronte della domanda, la possibilità per chiunque di esplicitare il proprio bisogno di aiuto e ottimizzare l’utilizzo dei talenti, contribuendo alla felicità di tutti gli attori coinvolti.

Su questi tre punti, come previsto dalla legge, ogni anno prepariamo una “relazione di impatto” (disponibile online a fine maggio), nella quale misuriamo gli “utili” e le “perdite” sociali da noi generate, un po’ come il classico bilancio delle aziende».

Che messaggio volete trasmettere alla collettività con il vostro progetto?

«L’idea di base è che ognuno di noi ha una lunga serie di piccoli bisogni quotidiani che spesso ci creano fastidi perché vengono continuamente procrastinati, dato che non sappiamo a chi rivolgerci; dall’altra parte però abbiamo anche una serie di talenti che potremmo e vorremmo monetizzare, e dunque l’idea è che in una comunità locale (un quartiere, per esempio) le persone possono tornare a conoscersi e aiutarsi, un po’ come accadeva una volta: da ciò possono anche nascere delle belle storie, delle esperienze di vita, si possono creare legami con persone che altrimenti non avremmo mai incontrato e questo incentiva anche l’economia a km0 e ammortizza i costi, per esempio, di movimento in una grande città».

Che tipologia di controlli applicate sulla qualità e l’efficienza del vostro network? Come generate utili?

«Si può dire che Croqqer funzioni come da tramite per i suoi utenti, e che vi sia una sorta di sistema “auto regolamentato”: esiste una chat dove le persone possono scambiarsi informazioni sul task da compiere e sulle tariffe a esso relative, con il proponente che ha libertà assoluta di scegliere quanto offrire; poi c’è un sistema di feedback reciproco al termine del lavoro (simile a quello di altre piattaforme analoghe) e queste recensioni alimentano il profilo pubblico di ogni utente, aumentandone la fama e l’affidabilità. Oltre a questo, un elemento che abbiamo inserito e che sembra essere molto apprezzato dagli utenti è il “Community Manager”, un referente di zona che facilita i contatti e si pone come intermediario in caso di dubbi, domande e difficoltà di ogni tipo; essendo una persona che conosce molto bene il proprio quartiere viene vista come figura di raccordo sia fra i vari utenti sia fra gli utenti stessi e la nostra piattaforma. Un utente può inoltre mettere a disposizione, se le circostanze lo richiedono, uno spazio o la propria abitazione sia per far conoscere fra loro gli utenti coinvolti in un task specifico (se per esempio questi non vogliono far salire a casa propria un “estraneo”): queste persone sono identificate dalla nostra piattaforma come “Friend of Croqqer”. Il flusso dei pagamenti è interamente gestito dal nostro sito e non c’è mai scambio diretto di contanti, a garanzia dell’affidabilità del servizio: la somma viene pattuita prima dello svolgimento del lavoro e viene depositata e “congelata” sul nostro sito fino al compimento del task, per venire poi girata come bonifico bancario per motivi di tracciabilità. Quando il task è a pagamento, noi tratteniamo il 20% sulla somma concordata dagli utenti, e la metà di questo 20% viene ridistribuita fra il community manager e i Friend of Croq, tenendo fede al nostro ideale di Sharing Economy; ovviamente tutte le mansioni svolte pro bono o su baratto di competenze sono totalmente gratuite, e non ne traiamo nessun profitto».

Che diffusione hanno avuto le società Benefit sul territorio italiano?

«Sicuramente è stato riscontrato un grande interesse verso questa forma societaria, nata pochissimi anni fa negli Stati Uniti; l’Italia è stato il primo paese oltre gli USA ad avere una propria normativa su questo argomento, e altri Paesi europei si stanno muovendo in questa direzione. A nostro avviso è indubbio che nel futuro questa possa essere l’unica forma societaria efficiente: non è più pensabile che le imprese perseguano solamente il profitto distruggendo il valore della società, è necessario che queste si evolvano e invertano la tendenza. In termini numerici, ci sono circa 100 aziende italiane che hanno scelto di essere società Benefit e, pur non esistendo un registro ufficiale, è stato creato un portale che, oltre a dare tutti i riferimenti legali del caso, dà anche visibilità a tutte queste società; l’elenco, aggiornato quotidianamente, è sempre disponibile online. La cosa interessante è che il legislatore non ha introdotto dei benefici fiscali a riguardo, ma solo degli “oneri” [la relazione di impatto, N.d.R.]: ciò implica che le società Benefit non gravano sul contribuente, ma questa differenziazione implica anche una maggiore visibilità sia nei confronti del sociale, sia nei confronti di possibili investitori che potrebbero identificare tali società come più “meritevoli” rispetto alle società classiche. Ultimamente stanno uscendo anche dei bandi che presentano come requisito meritevole la nostra forma societaria, a riprova della crescente sensibilità che la società e le istituzioni stanno mostrando verso le B-Corp».

Il mondo sta cambiando sotto i nostri occhi: cosa suggerite a chi, come nel vostro caso, si sta trasformando per creare benefici non solo per se stesso, ma anche per la società?

«Siamo in un momento di transizione: nel secolo scorso l’unico obiettivo era massimizzare gli utili per il profitto, e fino a 100 anni fa il modello di business basato sulla “schiavitù” del dipendente era una cosa “normale” nello svolgere una attività individuale; pensare questo oggi ci fa inorridire. Guardando invece al futuro, ci immaginiamo guardando indietro al nostro attuale presente una reazione simile verso le società che mirano al profitto senza prevedere una funzione sociale. Potrebbe essere una evoluzione normale, ma siamo solamente all’inizio: la speranza è che il nostro esempio possa aiutare altre aziende a mutare i propri obiettivi: chi non lo farà sarà destinato a scomparire, perché sia il mercato sia il consumatore iniziano a essere molto attenti a questo genere di cose, e noi come persone siamo chiamati a rispondere alle sfide mondiali come il cambiamento climatico con delle azioni forti».

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