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Il ballottaggio delle elezioni francesi

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Carlo Paganessi

Domenica 7 maggio si è tenuto il secondo e ultimo atto delle elezioni presidenziali francesi, che ha visto contrapposti il candidato centrista Emmanuel Macron e la candidata di estrema destra Marine Le Pen. Al termine del primo turno la vittoria del primo era annunciata da larga parte dei commentatori internazionali, specie considerando i risultati del primo turno che hanno visto vincere Macron con un vantaggio di pochi punti percentuali, poi ampliatosi grazie al supporto fornito dagli altri candidati dei partiti “tradizionali” Fillon (del Partito Repubblicano) e Hamon (leader della fallimentare spedizione elettorale socialista). I risultati finali si sono attestati al 66,06 % a favore del leader centrista di “En Marche!” (in italiano viene tradotto con “In Cammino”), il partito nato nell’aprile dell’anno scorso.

I seggi sono rimasti aperti fino alle 19 nella maggior parte della Francia, con deroghe per le grandi città in cui le operazioni di voto si sono estese fino alle 20. Al termine delle operazioni di voto gli istituti che hanno redatto gli exit poll, tenuti al silenzio fino alla chiusura dei seggi, hanno espresso le proprie conclusioni dando inizialmente Macron al 65%, lasciando intendere la presenza di uno spacco molto più ampio tra i due candidati rispetto a quanto preventivato dai sondaggi nei giorni precedenti. Già nei minuti immediatamente successivi alla rivelazione degli exit poll Marine Le Pen ha chiamato Macron per complimentarsi per il risultato secondo quanto rivelato dallo staff di quest’ultimo.

Subito dopo Marine Le Pen si è rivolta ai propri sostenitori nella sede del comitato elettorale sita in rue de Faubourg-Saint Honoré. La scarsa folla radunatasi, privata anche di larga parte dei media, unitisi al boicottaggio dovuto al rifiuto dell’accredito ad alcuni giornalisti da parte del Front National, è stata ringraziata dalla candidata dell’estrema destra. Quest’ultima ha anche espresso i propri auguri al nuovo presidente e ha lanciato la gara elettorale per le elezioni legislative di giugno, quando i francesi voteranno nuovamente per eleggere il parlamento, dividendo l’elettorato francese in mondialisti e patrioti, identificando il proprio elettorato in questi ultimi. Nel parlare del futuro, la candidata dell’estrema destra ha lasciato intendere che il Front National potrebbe non essere più la soluzione e che la formazione politica fondata dal padre sarebbe dovuta essere sostituita da un nuovo movimento, maggiormente aperto non tanto verso i conservatori ma verso la parte opposta dello schieramento (con chiaro riferimento ai Melenchoniani, in prevalenza operai rimasti vittime della deindustrializzazione del paese).

Mentre nei minuti successivi iniziavano a concludersi le operazioni di spoglio nei primi collegi rurali, le percentuali di vittoria per Macron si rivelavano leggermente più basse rispetto a quanto preventivato dai sondaggi dato che la Le Pen aveva percentuali maggiori al di fuori delle città. Durante le operazioni di spoglio, tuttavia, Macron non è mai stata davvero in discussione, come testimoniato anche dall’ampio scarto tra i due candidati.

Dopo il discorso della Le Pen è poi arrivato il momento di quello del vincitore Macron, che ha inizialmente parlato dal proprio quartier generale a Convention, a pochi passi da Montparnasse. Nel suo primo discorso ha ringraziato i propri collaboratori prima di rivolgere un “saluto repubblicano” alla sua avversaria, rassicurarla in merito al fatto che lui conosce perfettamente i problemi e le divisioni che hanno attraversato la Francia. Ha infine assicurato che sarà il presidente di tutti, lanciando un messaggio di unità nazionale importante considerando la retorica di tutti i commentatori nazionali che, attraverso tutto lo sfondo politico, tratteggiano un ritratto di una Francia divisa e le cui varie forbici (economiche e ideologiche) sono in progressivo aumento.

Col passare del tempo e l’inizio dell’arrivo dei dati delle grandi città il vantaggio di Macron andava ampliandosi e il candidato centrista si è avviato verso il Louvre, dove i suoi supporters stavano già festeggiando da quando i maxischermi hanno trasmesso gli exit poll alle 20. Il presidente eletto ufficioso ha fatto il proprio ingresso sul palco sulle note dell’“inno alla gioia” di Ludwig Van Beethoven, inno dell’Unione Europea. La scelta di tale composizione come preludio al proprio discorso della corona è stata quantomeno significativa: il discorso successivo si è incentrato sul comune destino che collega la Francia alle sue vicine di casa europee e ha rassicurato il proprio elettorato in merito al fatto che avrebbe protetto la Repubblica e avrebbe eliminato ogni ragione per votare gli estremismi tra 5 anni, promettendo di “ritrovare l’ottimismo a nome vostro”. La serata è poi proseguita fino alla proclamazione ufficiale del nuovo presidente eletto da parte del Ministero dell’Interno, avvenuta intorno alle 2 del mattino con l’annuncio definitivo dei dati.

Macron ha incassato il sostegno e i complimenti di diversi leader europei e internazionali alcuni dei quali appartenenti all’“internazionale nazionalista”, primo tra tutti il presidente degli Stati Uniti Trump, che nella propria dichiarazione si è detto impaziente e contento di lavorare con il nuovo presidente. Altro importante endorsement (per quanto scontato) è l’appoggio di Angela Merkel, che ha lasciato presagire la restaurazione di un asse franco-tedesco destinato, nei prossimi mesi, a guidare l’Unione Europea e i negoziati per la Brexit, vero banco di prova della solidità europea nei mesi a venire. La preoccupazione in merito al numero 10 di Downing Street è molta e l’occupante Theresa May sa che deve ottenere una larga maggioranza alle prossime elezioni di giugno per poter contrattare efficacemente con Bruxelles e che nemmeno questa circostanza potrà salvare il Regno Unito dal pagare un conto davvero salato.

Il secondo turno ha retto bene l’urto lo scandalo delle ore immediatamente precedenti al voto riguardante le mail del candidato centrista rubate in seguito alla violazione del suo account di posta. Le autorità sono riuscite a limitare i danni di tale violazione anche attraverso uno stretto monitoraggio della rete e avvisando che la diffusione di materiale rubato da un account di posta elettronica poteva costitutire reato penale. In aggiunta a ciò la violazione dell’account parrebbe essere stata di lieve entità e gli hacker, secondo fonti dello stesso comitato di Macron, non sarebbero stati in grado di poter leggere un grande numero di mail.

Macron ha vinto grazie a oltre venti milioni di voti contro i dieci milioni di consensi ottenuti dalla Le Pen. Ottima parte di questi voti sono stati reperiti nei grandi centri urbani, confermando la tendenza geografica del primo turno ma attenuandola leggermente, dato che Macron è riuscito a vincere con un margine piuttosto ampio (57% contro il 43%) anche nelle aree rurali. Il candidato centrista è riuscito ad imporsi in modo trasversale anche a livello demografico, con la sola fascia dei votanti dai 25 ai 49 anni che ha votato in maggioranza per la Le Pen.

La Le Pen, al contrario, ha perso praticamente in qualsiasi dipartimento dei territori della Francia Metropolitana e d’Oltremara tranne due di quelli situati in quella che sta diventando la “rust belt” francese, ovvero le zone industriali al confine con il Belgio. Nel Pas de Calais (dipartimento natìo di Marine Le Pen) e nell’Aisne la leader del Front National è riuscita a far leva principalmente sui timori della popolazione attiva di perdere il proprio lavoro come rischia di accadere ai dipendenti della Saint Gobain. Tuttavia, in entrambi i dipartimenti il tessuto produttivo è stato incapace di aggiornarsi rimanendo indietro rispetto alle nuove esigenze economiche e generando i tassi di disoccupazione più alti di tutta la Francia. Marine Le Pen, in tal senso, ha seguito la strada tracciata in passato da Donald Trump che per vincere si è affidato ai voti della rust belt americana, ottenendo il solo risultato di evitare il doppiaggio aritmetico dei voti, seppur di poco. Altra mossa con la quale la figlia del fondatore del Front National ha cercato di reperire voti è stata l’autosospensione dalla carica di segretario del partito e l’ammorbidimento delle posizioni sull’Euro e sulle interazioni francesi con l’Europa. Con tale mossa la Le Pen ha cercato di muoversi verso il centro per intercettare i votanti meno moderati di Fillon (in particolar modo l’area cattolica) e di Melenchon, senza però ottenere effetti apprezzabili.

Le ragioni della vittoria di Macron sono molteplici: la prima probabilmente risiede nello scandalo legato alle risorse elargite a moglie e figli che ha colpito il candidato dei repubblicani Fillon e che ha annullato le sue possibilità di concorrere ad una delle prime due piazze utili per accedere al ballottaggio. I voti persi (nonostante la rimonta finale del candidato repubblicano) sono confluiti per la maggior parte tra quelli di Macron e gli hanno dato l’impulso per poter staccare la Le Pen già al primo turno.

Altra ragione a cui l’ex ministro deve la propria vittoria è il proprio coraggio: invece di rimanere nell’alveo del Partito Socialista ne è uscito, capendo anche che la nomea dello stesso lo avrebbe azzoppato in partenza e che probabilmente, avendo già fatto parte del governo di Valls, non gli avrebbe nemmeno garantito la nomination. Macron in Francia ha fatto qualcosa di senza precedenti, mandando i suoi volontari a bussare ad oltre 300,000 case, ritenute da un algoritmo come le più rappresentative di Francia, a condurre interviste per trovare la mediana delle posizioni e capitalizzarla a suo vantaggio. La ragione più importante, tuttavia, è senza dubbio la positività del suo messaggio, in contrapposizione al clima da fine dei tempi di cui la Le Pen (“Gran sacerdotessa della paura” come l’ha definita Macron durante il dibattito del 3 maggio) si è fatta portatrice, ha garantito che il messaggio di speranza fosse recepito e non interpretato dall’elettorato come una promessa vana.

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