Così come Auditel è in grado di influenzare i palinsesti televisivi, il popolo è in grado di influenzare il provvedimento legislativo. Da diverso tempo, infatti, l’attenzione comune è orientata su un ambito particolare del diritto. Dalla casalinga disperata al nobile giurista, dal programma della Rai a Salvini, chiunque si esprime sulla legittima difesa. Nel diritto questo istituto rientra tra le scriminanti o, che dir si voglia, cause di giustificazione, ovverosia particolari ipotesi che escludono la punibilità di un fatto nonostante lo stesso sia effettivamente avvenuto. Secondo la dottrina prevalente esse si posizionano, all’interno della fattispecie delittuosa, come elementi aggiuntivi della stessa, con il potere di eliminarne l’antigiuridicità. L’esempio più semplice è quello dell’omicidio: l’uccisione di un uomo è un fatto illecito, tuttavia, in casi come quello in cui opera la legittima difesa, non vi è antigiuridicità e pertanto il crimine non è punibile. Le cause di giustificazione, inoltre, sono strettamente oggettive. Operano prescindendo l’elemento soggettivo, quindi il pensiero o l’animus dell’agente. Vengono applicate in qualsiasi caso, anche qualora il soggetto non sia a conoscenza della loro esistenza.
La legittima difesa
Prendendo ora in esame la sola legittima difesa, l’articolo del codice penale che la descrive è il 52, che recita: «Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio od altrui contro il pericolo attuale di una offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata all’offesa». Da un’analisi superficiale della norma, possiamo affermare che la sua operatività è strettamente legata all’esistenza di un diritto da difendere. In altri termini, l’aggressione deve essere diretta a mettere in pericolo un diritto, tutelato dall’ordinamento, per cui la reazione difensiva si pone come necessaria.
Dalla fattispecie, poi, emergono chiaramente altri due elementi essenziali, ossia l’attualità e la proporzionalità. Per quanto riguarda l’attualità, essa è intesa in modo ampio o, perlomeno, più ampio di quanto previsto dal vecchio codice penale. Essa, infatti, non è riferita all’offesa, bensì al pericolo che questa avvenga. Ovviamente, la scriminante non risulta applicabile qualora il pericolo non sia talmente immediato da consentire il ricorso alle tutele fornite dall’ordinamento, o comunque ad alternative meno gravose, come – a titolo esemplificativo – la fuga. Sono ricollegabili a questo elemento i casi, tanto cari ai giustizieri privati, di colpi alla schiena, inferti quando il pericolo, ormai, mancava di attualità.
L’altro requisito, quello della proporzionalità, si riferisce semplicemente alla reazione della vittima. Questa deve essere, appunto, proporzionale all’offesa. Una raffica di mitra in pieno petto, pertanto, peccherà di non proporzionalità rispetto a una minaccia operata con un bastone. Questo perché la ratio, ciò che ha dato impulso al legislatore di statuire in materia, è sostanzialmente una sorta di autotutela. Lo Stato, qualora impossibilitato per cause come l’attualità del pericolo, consente ai singoli consociati una via di tutela. Tutti i requisiti finora emersi sono orientati alla difesa dei diritti, dell’ordinamento giuridico e delle norme ad esso sottese, non potendo lo stesso soccombere ad un’offesa ingiusta.
La nuova disciplina
Proprio in questi giorni, trascorsi ormai undici anni dall’ultimo intervento legislativo in materia, è in discussione una legge che andrà ad influire pesantemente sulla materia della legittima difesa. Scopo di tale riforma, come intuibile da quanto poco fa premesso, è garantire la massima tutela possibile a chi si trova nella propria abitazione o sul proprio esercizio commerciale. Obiettivo, questo, simile a quello che si poneva la legge del 2006, che, sostanzialmente, introduceva una presunzione di proporzionalità per questi luoghi considerati sensibili. In pratica, la dimostrazione del rispetto della proporzionalità della difesa non era più onere della vittima, ma veniva presunta ex lege. Gli altri elementi, come l’attualità o la necessità, restavano, e ad essi si sommava inoltre la possibilità prevista per la colpa. Nei casi in cui – a seguito di negligenza, imprudenza ed imperizia nella valutazione della situazione di pericolo – fosse prevista un’ipotesi di reato colposa, questa veniva applicata. Un esempio, ma anche il caso più diffuso, è quello dell’omicidio. Infatti, nei casi in cui la legittima difesa non può essere applicata per colpa (basti pensare alla vittima che non si è accorta della pistola giocattolo del malvivente), si procede per omicidio colposo. Come è facilmente intuibile, o come abbiamo avuto modo di sentire, il problema centrale è dato dall’assenza di tempo o di capacità valutativa sufficiente in situazioni di questo genere.
Partendo appunto da questo presupposto, il nuovo intervento modifica contemporaneamente i due articoli centrali in materia, il 59 e il 52. La modifica del primo esclude le problematiche fin’ora esposte: stabilisce l’assenza di colpa e, quindi, di punibilità in toto qualora il soggetto agisca in seguito ad un grave turbamento psichico causato dall’aggressione. Riguardo invece all’articolo 52, quello inerente alla legittima difesa, viene prevista una presunzione di proporzionalità – oltre che nei casi precedentemente contemplati – anche nell’introduzione in tempo di notte, con violenza, inganno o minaccia. Questo al fine di proteggere luoghi, come la propria casa o il proprio esercizio commerciale, considerati dalla vittima particolarmente sicuri o comunque importanti.
Molto interessante infine – e, se vogliamo sbilanciarci, “giusta” – la novità inerente all’assistenza legale. Lo Stato si farà carico delle spese di assistenza legale quando sarà dichiarata la non punibilità per legittima difesa. Provvedimento che, con un gettito di spesa iniziale di quasi trecentomila euro, risponde alle necessità delle vittime coinvolte loro malgrado in questi casi.
Le critiche
Non tralasciamo, però, un elemento essenziale: siamo nel 2017. Anno in cui la libera critica investe, con cadenza regolare, ogni intervento operato dal governo. Questa volta oggetto della bagarre mediatica e di bullismo bipartisan da parte dei più svariati partiti politici, giornalisti ed opinionisti è stata la locuzione ‘ovvero’. Attorno ad essa si sono sviluppate le più fantasiose ipotesi. La norma infatti recita: «La reazione a un’aggressione commessa in tempo di notte ovvero la reazione a seguito dell’introduzione in casa, in negozio o in ufficio con violenza alle persone e alle cose ovvero con minaccia o con inganno». Le teorie, come detto, sono le più varie; c’è chi afferma che ci sia la necessità di tutti gli elementi correnti nella norma, per l’applicazione della stessa, traducendola così in un’inutile restrizione della disciplina precedente. Dal lato opposto si colloca chi estende la particolare prevenzione notturna all’intera norma, ma così facendo si vorrebbe legittimare una specie di “giorno del giudizio” in versione post meridiana in cui una semplice spinta giustificherebbe una risposta armata.
Polemiche, queste, che tradiscono – oltre al desiderio critico fine a sé stesso – una scarsa conoscenza del linguaggio giuridico. Spesso, infatti, termini italiani d’uso corrente vengono utilizzati nel diritto con significati a sé stanti: basti pensare all’affitto che, giuridicamente, è riferibile alle sole aziende. Inoltre è necessario, nell’interpretazione della norma, tener conto della pregressa conoscenza dell’ordinamento, che è imprescindibile.
In questo caso, infatti, la locuzione ‘ovvero’ non ha significato esplicativo. Non è, in altre parole, utilizzato come semplice sinonimo di ‘ossia’. La sua funzione qui, come in molti atti giuridici, è disgiuntiva. Volendo protrarre la linea dei sinonimi, il termine più adatto appare allora ‘oppure’. Detto ciò è sufficiente, nella lettura, la sostituzione dei due termini per chiudere il discorso, senza ulteriormente soffermarsi sulla sterile polemica mediatica che mette in secondo piano quello che realmente dovrebbe essere oggetto di dibattito: il «grave turbamento psichico».
Definizione non sconosciuta all’interno del diritto italiano. Possiamo ritrovarla, infatti, nel delitto di stalking. Tuttavia il significato qui appare diverso. Il grave turbamento richiesto è quello ricollegabile all’aggressione in un luogo, come abbiamo precedentemente detto, «sicuro». Questo elemento, senz’altro fumoso, si promette di difficile applicazione concreta. Si vorrebbe così creare una nuova categoria giuridica, nella quale il giudice dovrebbe collocare particolari situazioni di fatto. La volontà del legislatore è quella di estendere l’ipotesi dell’errore. Un errore, in linea con l’intera normativa, nuovo, di tipo incolpevole e provocato dall’evento. Questo provocherà un aumento, in fase processuale, di consulenze tecniche, andando ancora una volta a rinforzare la figura dell’ausiliare del giudizio – sia esso psicologo, criminologo o psichiatra.
La riforma intrapresa non è epocale, non sconvolge il nostro diritto e non ci consegna alla giustizia privata. Sicuramente vengono allargate le maglie di questa tutela, ma saranno necessarie ulteriori modifiche prima di una sua concreta introduzione. Innanzitutto, quanto meno, per evitare incertezze causate dal linguaggio scelto. In conclusione, questa legge rispecchia – similmente a quanto è avvenuto a suo tempo per lo stalking – la situazione italiana. È una legge frutto di un impulso “di pancia”, rivolta a soddisfare, politicamente prima che giuridicamente, il sentire comune.