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Eutanasia e testamento biologico: il fine vita in Italia

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Marco Zordan

Dopo il caso di Dj Fabo, il giovane che, rimasto tetraplegico e cieco dopo un incidente stradale nel 2014, scelse il suicidio assistito in Svizzera, è tornato nel dibattito pubblico il tema di eutanasia e fine vita. Il 20 aprile scorso è iniziato alla Camera l’iter per l’approvazione di una legge sul fine vita, che prevede la possibilità per chiunque di stilare il proprio testamento biologico.

Un po’ di storia: i casi Eluana Englaro e Piergiorgio Welby

Nel nostro Paese si parla di eutanasia soprattutto in relazione ad alcuni casi che ebbero un fortissimo impatto mediatico, l’ultimo dei quali è stato appunto quello già citato di Dj Fabo. Il più conosciuto fu tuttavia il caso Englaro. Eluana Englaro, studentessa lombarda di 21 anni, il 18 gennaio 1992 rimase vittima di un incidente, dopo il quale cadde in stato vegetativo permanente. Nel 1999 il padre, Beppino Englaro, iniziò una lunga battaglia legale per sospendere l’alimentazione e l’idratazione artificiale, uno dei trattamenti che la mantenevano in vita. Dopo anni di rinvii tra tribunale, Corte d’Appello e Cassazione, e dopo che la vicenda iniziò a essere seguita dall’opinione pubblica, spaccata tra favorevoli e contrari all’interruzione delle terapie, nel 2008 la Cassazione si pronunciò definitivamente dando a possibilità alla famiglia di interrompere le cure e denunciando l’assenza di un quadro legislativo chiaro sull’argomento.

Intanto, la politica iniziava ad interessarsi del caso: il governo e la maggioranza parlamentare, contrari, cercarono di impedire la sospensione delle cure: nonostante i loro sforzi, però, nel febbraio 2009 veniva sospesa la terapia ed Eluana moriva. Pochi anni prima aveva suscitato scalpore anche il caso di Piergiorgio Welby: militante dei Radicali, da sempre attivi sul tema, e affetto da anni una grave malattia degenerativa che l’aveva costretto a sopravvivere solo grazie alla respirazione artificiale, chiese nel 2006 di porre fine alle terapie che lo mantenevano in vita. Morì nello stesso anno, dopo aver fatto sospendere le cure.

Eutanasia, suicidio assistito e testamento biologico

I casi Englaro e Welby sono due esempi di eutanasia passiva: in questo caso, la morte sopraggiunge dopo l’interruzione di cure che mantengono in vita il paziente, come ad esempio l’alimentazione o la respirazione artificiale. L’eutanasia attiva, invece, avviene quando il medico causa direttamente la morte del malato, ad esempio somministrandogli un farmaco che ne interrompe le funzioni vitali. Dj Fabo, diversamente, scelse il suicidio assistito: in questo caso è il paziente stesso, di solito premendo un pulsante, a mettere in circolo nel proprio organismo la sostanza che porrà fine alla sua vita. La proposta di legge apre la possibilità all’eutanasia passiva, dal momento che rende possibile scrivere in anticipo se si intenda rifiutare un trattamento medico come la respirazione artificiale. Altro modo di gestire il fine vita è la sedazione profonda: il malato terminale, per risparmiargli sofferenze spesso terribili, viene indotto in coma, coma che viene mantenuto fino al sopraggiungere della morte naturale.

Perché sì e perché no

Il dibattito sul fine vita ha diviso l’opinione pubblica in favorevoli e contrari all’eutanasia. I primi, tra cui possiamo ricordare i Radicali, da sempre in prima linea sul tema, ritengono un diritto quello di poter interrompere in anticipo la propria vita, per evitare ulteriori sofferenze e non perdere la propria dignità, e quello di poter rifiutare delle terapie invasive e inutili. I contrari, invece, oltre ad appellarsi a questioni religiose e morali come la sacralità della vita umana, ritengono che in molti casi non vi sia una piena consapevolezza del malato, comunque difficile da controllare, e che comunque possano sempre aprirsi possibilità di guarigione, anche nei casi più disperati. La Chiesa cattolica, in particolare, è fortemente contraria all’eutanasia, attiva o passiva, ed è contraria al suicidio assistito, essendo il suicidio un peccato grave. I trattamenti sanitari interrotti dall’eutanasia passiva, cioè idratazione, alimentazione e respirazione artificiale, non vengono infatti considerati terapie invasive che ricadrebbero nell’area dell’accanimento terapeutico, condannato dalla Chiesa, bensì parte del supporto di base da dare al malato.

Cosa dice la proposta di legge

La proposta di legge presentata ad aprile alla camera prevede la possibilità per chiunque, a patto che sia maggiorenne e capace di agire, di scegliere se accettare o meno una qualsiasi trattamento sanitario, e di revocare tale consenso. Inoltre si potrà scrivere il proprio testamento biologico, ovvero una dichiarazione anticipata di trattamento (DAT): in previsione di non essere in grado di prendere tale decisione nel futuro, una persona può scrivere a quali terapie intenda sottoporsi o meno. Le DAT devono essere scritte in presenza di un pubblico ufficiale, un medico o due testimoni. È anche prevista la figura del fiduciario, una persona indicata da chi ha scritto le DAT e che, in caso il paziente stesso non possa, lo rappresenti davanti ai medici e alle strutture sanitarie. Viene infine prevista l’obiezione di coscienza per i medici, che possono rifiutarsi, se questo fosse contrario alla propria morale, di interrompere la terapia. Appare così evidente come la proposta di legge non permetta l’eutanasia attiva e il suicidio assistito, lasciando però spazio all’eutanasia passiva. Le dichiarazioni anticipate di trattamento, infatti, permettono di poter interrompere alimentazione e idratazione artificiali. In caso di incapacità del paziente di decidere, e di assenza di sue disposizioni precedenti, questa decisione può essere presa dai genitori (nel caso del minore) o dal tutore.

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