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La Casta sull’albero: storia (mancata) di una legge elettorale

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Francesco Stati

Negli ultimi mesi di vita politica del nostro Paese (in realtà da quando la Corte Costituzionale ha dichiarato incostituzionale la Legge Calderoli) non si fa altro che parlare di nuova legge elettorale: dopo i tentativi – falliti – della coalizione di governo capitanata da Matteo Renzi e la conseguente nascita del connubio Italicum-Consultellum, l’oneroso compito di trovare la quadra sul sistema elettorale italiano è gravato sulle esili spalle del governo Gentiloni.

Il Governo Gentiloni il giorno del giuramento.

I Grilli tiratori

Il Nobile di Filottrano e affini pareva aver raggiunto un accordo sostanziale con Partito Democratico, Forza Italia, MoVimento 5 Stelle e Lega Nord su un sistema elettorale “alla tedesca” (che di tedesco in realtà ha ben poco), il quale, in estrema sintesi, prevedeva un proporzionale con soglia di sbarramento al 5% con al suo interno il “metodo dei quozienti interi e dei più alti resti“, con l’eccezione dei rappresentanti delle minoranze linguistiche. E proprio il nodo delle minoranze linguistiche è stato l’elemento sul quale la corposa alleanza sopra menzionata ha mostrato tutta la sua fragilità: nella discussione alla Camera sull’emendamento Biancofiore (Fi) – che aveva come scopo la modifica del sistema elettorale vigente in Trentino-Alto Adige [il quale attualmente è ancora il Mattarellum, N.d.R.] – i pentastellati hanno deciso di votare contro le indicazioni del partito dando un grande contributo all’affossamento dell’alleanza, facendo così passare l’emendamento che, secondo gli accordi presi con gli altri partiti, avrebbe dovuto essere bocciato per evitare un ritorno della legge in commissione; ai 5stelle si sono aggiunti, è bene ricordarlo, alcuni franchi tiratori di tutte le altre compagini del “Patto del Nazareno rafforzato”. I grillini avrebbero anche avuta garantita l’impunità dalla gogna mediatica, se la procedura fosse andata avanti senza errori tecnici: la sfortuna vuole che, per un “guasto”, il voto sia stato mostrato come palese invece che come segreto. L’immagine che segue parla da sé:

La disposizione dei vari gruppi parlamentari comparata con i voti del tabellone.

Nonostante i litigi infiniti, e nonostante la discussione stia ormai assumendo i contorni di una grottesca telenovela d’annata, il nostro Paese è stato storicamente un esempio di stabilità e continuità riguardo la legge elettorale, almeno per ciò che concerne la Prima Repubblica: vediamo dunque di tracciare un percorso storico-elettorale del Bel Paese.

L’italico proporzionale

Sin dall’instaurazione della forma repubblicana, l’Italia ha avuto una legge elettorale di tipo proporzionale, introdotta dopo la fine del fascismo con il decreto legislativo luogotenenziale n. 74 del 10 marzo 1946, dopo essere stata approvata dalla Consulta Nazionale il 23 febbraio 1946 con 178 sì e 84 no; concepita inizialmente per l’elezione della Assemblea Costituente, fu poi recepita come normativa elettorale per la Camera dei deputati con la legge n. 6 del 20 gennaio 1948. Tale legge, pur con qualche modifica e incidente di percorso (come nel caso della “Legge Truffa“), è rimasta in vigore per ben quarantasette anni, fino a quando nel 1993 un referendum abrogativo promosso dai Radicali e da Mario Segni non ne segnò il pensionamento in favore di una legge di stampo maggioritario, che ebbe come principale sponsor l’attuale Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Il proporzionale fu archiviato perché la corrente di pensiero politico dominante in quegli anni la accusava (non a torto, secondo l’opinione di chi scrive) di essere la principale causa dell’instabilità politica e della frammentazione parlamentare che rallentavano il processo di riforme, necessario come non mai nel periodo di transizione fra Prima e Seconda Repubblica inaugurato dagli scandali di Tangentopoli.

Manifesti di protesta contro la Legge Truffa. Photo credits: ilquotidianoitaliano.com

La Seconda Repubblica e il sistema misto

Dopo l’esperienza proporzionale, nel 1994 si arrivò a un sistema misto: il “Mattarellum” prevedeva infatti un sistema prevalentemente maggioritario (di tipo “Plurality“), con un quarto dei seggi di ciascuna Camera assegnato con il sistema proporzionale. La soglia di sbarramento per l’accesso al proporzionale era al 4% su base nazionale per la Camera dei Deputati, mentre per ciò che concerneva il Senato si volle tener fede al principio costituzionale cercando di gestire l’assegnazione dei seggi proporzionali su base regionale: in ogni Regione venivano sommati i voti di tutti i candidati perdenti presenti in un gruppo regionale e i seggi venivano assegnati utilizzando il metodo D’Hondt delle migliori medie. Riassumendo le critiche coeve alla legge, si può sottolineare come lo scorporo totale previsto per il Senato facesse funzionare la quota proporzionale (corrispondente a 83 seggi) di fatto come una quota minoritaria, in aperto contrasto con l’impianto generale della legge elettorale, mentre alla Camera questo problema era meno accentuato essendoci uno scorporo solo parziale del voto.

Infografica di funzionamento sul Mattarellum. Photo credits: agi.it

Nonostante esso sia rimasto in vigore per dodici anni e abbia portato all’elezione di tre diverse legislature (1994, 1996 e 2001), molte furono le critiche a questo sistema elettorale, dovute soprattutto al fatto che il sistema politico era passato da bipolare a tripolare nella transizione fra le due repubbliche. Per citare un articolo del Post: «Una simulazione realizzata dopo le elezioni del 2013 da due docenti universitari di Roma Tre spiegò che con il Mattarellum il risultato politico sarebbe stato ancora più equilibrato, e soprattutto ribaltato: avrebbe vinto il centrodestra ma avrebbe ottenuto solo 259 seggi alla Camera, contro i 235 del centrosinistra. Il M5S ne avrebbe ottenuti 108. Il Mattarellum quindi permette, a differenza del Porcellum, che una coalizione che non è la più votata su base nazionale – come il centrodestra nel 2013 – ottenga il maggior numero di seggi in Parlamento per via di un consenso meglio distribuito nei collegi. Va detto però che il risultato delle elezioni del 2013, se si fosse votato davvero con il Mattarellum, sarebbe stato con ogni probabilità molto diverso, per le differenti dinamiche politiche generate da un voto basato sui collegi uninominali. Ma la simulazione è comunque utile per capire che il Mattarellum non favorisce necessariamente il bipolarismo».

Un’altra critica alla legge Mattarella fu avanzata dal compianto politologo Giovanni Sartori (fautore del soprannome “Mattarellum” della legge) che definì ironicamente la legge Minotauro proprio per la sua caratteristica di mescolare i sistemi maggioritario e proporzionale nella sua formula mista; tale formula ha anche l’effetto di provocare delle alleanze di “timore” fra partiti e di aumentare così l’eterogeneità delle formazioni politiche rappresentate nelle Camere. Un’ulteriore problematica fu rappresentata dalle cosiddette “liste civetta”, ossia liste create ad hoc dalle grandi coalizioni per aggirare il meccanismo dello scorporo alla Camera dei Deputati. Tuttavia, questo ingegnoso stratagemma per ottenere più seggi a discapito dei partiti non coalizzati creò alcuni “incidenti giuridici”: clamoroso fu il caso del 2001, dove la lista civetta della Casa delle Libertà (chiamata “Per l’abolizione dello scorporo e contro i ribaltoni”) ottenne 62 seggi, ma disponeva solo di 55 candidati; ciò portò a una legislatura “monca”, con 11 seggi non assegnati. La questione delle Liste Civetta è spiegata in maniera articolata in questo articolo di archivio di Repubblica e in questo articolo di archivio del Corriere della Sera.

Habemus Porcellum!

Nel 2005, in previsione delle elezioni dell’anno successivo e come reazione alla devastante sconfitta patita nelle elezioni regionali del mese di aprile, il Governo Berlusconi III decise di creare una legge elettorale che rendesse il più possibile ingovernabile il Paese a chi lo avrebbe seguito (ipotizzando una vittoria del Centro Sinistra, si intende): la Legge Calderoli. Oltre alla creazione delle “liste bloccate” (cioè senza la possibilità da parte dell’elettore di scegliere il candidato), si decise di attribuire un premio di maggioranza per la Camera al primo partito su base nazionale, mentre per il Senato si scelse un premio su base regionale, nella speranza che il Centro Sinistra non riuscisse ad avere la meglio in tutte le regioni: in questo modo si sarebbe venuta a creare una forte disparità delle maggioranze nelle due Camere che avrebbe di fatto reso impossibile un governo coeso e compatto per i vincitori.

Scheda tecnica del Porcellum. Photo credits: Linkiesta

Guardando i risultati della tornata elettorale del 2006 e il percorso stentato del Governo Prodi II, si può affermare senza essere tacciati di partigianeria che il valente Calderoli riuscì perfettamente nel suo intento, e non si può dire che il Ministro leghista non fosse consapevole delle possibili conseguenze delle sue azioni: egli stesso definì la legge da lui ideata «una porcata» (e Sartori non mancò di affibbiarle prontamente il nomignolo Porcellum), ma, al momento della firma del Presidente Ciampi, si vantò di essere riuscito nell’intento di creare una legge non incostituzionale. Ironico pensare come, seppure con molti anni di ritardo, la Corte Costituzionale sia riuscita a dargli torto.

Italicum, Consultellum e altre amenità

La sentenza n° 1 del 2014 della Corte Costituzionale dichiara dunque incostituzionale il Porcellum e riavvolge il nastro al 1948: torna in vigore un proporzionale puro con una singola preferenza. A essere mutato profondamente è però il contesto: se nel ’48 si era in un sistema bipolare, riflesso del contesto internazionale dell’epoca, nel 2014 (come oggi, del resto) si ha di fronte un sistema tripolare o addirittura quadripolare, con uno degli attori restio a qualsiasi tipo di alleanza (il MoVimento, ça va sans dire). Dopo alcuni contatti informali con i vari partiti politici Matteo Renzi, neo segretario del Pd, incontrò Silvio Berlusconi al Palazzo del Collegio Nazareno il 18 gennaio 2014, sancendo la nascita dell’omonimo Patto. Si dette corpo in quella sede a un sistema proporzionale con un premio di maggioranza su base nazionale, e si posero le basi per una riforma costituzionale che trasformasse il Senato in una Camera degli Enti Territoriali (progetto che si attuerà successivamente nella “Riforma Costituzionale Renzi-Boschi” e verrà affondato dal fallimentare esito del referendum confermativo del 4 dicembre 2016); dopo molti giorni di discussione, il 30 gennaio l’Italicum venne presentato in Commissione Affari costituzionali della Camera dal relatore della riforma Sisto (Fi).

La prima variante aveva le seguenti caratteristiche:

  • premio di maggioranza di 340 seggi (55% dei seggi, esclusi gli eletti nella circoscrizione Estero) alla lista o alla coalizione in grado di raggiungere il 37% dei voti;
  • ballottaggio tra le due liste o coalizioni più votate se nessuna dovesse raggiungere la soglia del 37%. Il vincitore ottiene 321 seggi (52%);
  • soglia di sbarramento nazionale al 12% per le coalizioni, al 4,5% per i partiti coalizzati e all’8% per i partiti non coalizzati;
  • suddivisione del territorio nazionale in più di 100 collegi plurinominali, da designare con un decreto legislativo che il governo era delegato a varare entro tre mesi dall’entrata in vigore della legge;
  • brevi liste bloccate senza possibilità di esprimere preferenze.

Tuttavia, dopo lunghe discussioni in Parlamento e una sentenza di parziale incostituzionalità della Corte Costituzionale, si è arrivati a questa versione:

  • premio di maggioranza di 340 seggi (55% dei seggi, esclusi gli eletti nella circoscrizione Estero) alla lista (non più alla coalizione) in grado di raggiungere il 40% dei voti (non più il 37%) al primo turno;
  • soglia di sbarramento unica al 3% su base nazionale per tutti i partiti, non essendo più previste le coalizioni;
  • suddivisione del territorio nazionale in 100 collegi plurinominali (designati successivamente con un decreto legislativo);
  • designazione di un capolista “bloccato” in ogni collegio da parte di ciascun partito, con possibilità per i capilista di candidarsi in massimo 10 collegi;
    • Parte emendata con sentenza della Corte costituzionale depositata il 25 gennaio 2017. I capilista plurieletti vedranno il proprio collegio di elezione estratto a sorteggio.
  • possibilità per gli elettori di esprimere sulla scheda elettorale due preferenze “di genere” (obbligatoriamente l’una di sesso diverso dall’altra, pena la nullità della seconda preferenza) da scegliere tra le liste di candidati presentate;
  • per favorire l’alternanza di genere, l’obbligo di designare capilista dello stesso sesso per non più del 60% dei collegi nella stessa circoscrizione (regione) e di compilare le liste seguendo l’alternanza uomo-donna.
Infografica di funzionamento sull’Italicum dopo le modifiche della Corte Costituzionale. Fonte: ansa centimetri

Data la validità della legge unicamente per la Camera per le motivazioni analizzate in precedenza, per ciò che concerne il Senato la legge in vigore attualmente è il “Consultellum”, che altro non è che la Legge Calderoli rimaneggiata dalla sentenza della Corte Costituzionale: essa prevede un proporzionale senza premio di maggioranza, nessuna lista bloccata e una singola preferenza esprimibile, una soglia di sbarramento all’8% per la lista (3% se la lista è in una coalizione) e al 20% per le coalizioni; le circoscrizioni sono 20, una per regione, e a esse va aggiunta la circoscrizione estero.

Un presente nuvoloso e un futuro incerto

Proprio per evitare una tornata elettorale con questa “doppia legge” si era giunti all’accordo quadripolare affossato per larga parte dal MoVimento. Fanno specie le dichiarazioni di Alessandro Di Battista: «Noi abbiamo votato tutti a favore di un emendamento presentato da Fraccaro per estendere a tutta l’Italia, Trentino incluso, la legge elettorale. […] Noi siamo favorevoli a questa legge tanto che la vogliamo applicare in tutta Italia», così come quelle di Luigi Di Maio: «Noi vogliamo dare una legge elettorale costituzionale a questo Paese». Fanno specie soprattutto se si considera che, estendendo la legge anche al Trentino-Alto Adige, verrebbe meno la tutela delle minoranze linguistiche prevista dall’articolo 6 della nostra Costituzione – Costituzione che, come si evince dalle affermazioni sopra riportate, i deputati grillini fingono di conoscere. La conseguenza diretta più facilmente riscontrabile è la quasi certa morte della proposta di riforma elettorale, data l’assenza di un piano B in questo senso: al voto si andrà dunque con la premiata ditta Italicum-Consultellum, con conseguenze imprevedibili.

Tutto il profondo rammarico di Di Maio espresso in un post sulla sua pagina Facebook personale.

L’altra conseguenza meno diretta, ma più rilevante, che viene fuori da questo grottesco episodio è la totale incapacità da parte del MoVimento 5 stelle di stringere accordi politici con le altre compagini parlamentari, dote fondamentale per qualsiasi forza politica che aspiri a recitare un ruolo di governo e non di sterile opposizione: è bene che, nel segreto dell’urna, l’elettorato italiano si imprima a fuoco questa considerazione nella mente, al momento di mettere una X sul proprio futuro politico.

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