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American Football: una luce soffusa nel cuore del Midwest

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Simone Barondi

È l’autunno del 2001 quando inizia a circolare il video musicale di una sconosciuta band americana: il brano in questione è The Middle e la band si chiama Jimmy Eat World. Non è un momento storico qualunque: l’11 settembre è passato da poco e il mondo è ancora sconvolto da quell’attacco così efferato e vigliacco ad uno dei simboli degli Stati Uniti e dell’Occidente in generale; è l’alba del nuovo millennio, con i suoi nuovi fantasmi e le sue nuove incertezze. In questo contesto esce il terzo disco dei Jimmy Eat World: l’album si sarebbe dovuto chiamare Bleed American, ma in seguito al funesto avvenimento il nome viene modificato semplicemente in Jimmy Eat World. Il gruppo decide di finanziare autonomamente il disco in seguito alla rottura con la Capitol, avvenuta a causa dei pochi incassi registrati dai due lavori precedenti.

Il singolo di lancio, The Middle, ha la ricetta perfetta per i tempi difficili: una canzone power-pop della durata di tre minuti scarsi, semplice ed energica, con un ritornello fra il brioso e il vagamente malinconico capace di allietare l’animo afflitto dell’ascoltatore. Il brano riesce ad arrivare ai piani alti di molte classifiche e a far conoscere definitivamente i Jimmy Eat World presso il grande pubblico. Ma The Middle non è solo il trampolino di lancio della band: è anche uno dei primi brani a portare alla ribalta un genere non di certo sconosciuto ma rimasto fino ad ora relegato ad alcune nicchie di ascoltatori: l’emo. Ragazzini introversi cresciuti fra la seconda metà degli anni ‘90 e i primi anni 2000 possono riconoscersi nell’adolescente alienato del video e nella sua incapacità di adattarsi alle banalità del mondo che lo circonda.

https://www.youtube.com/watch?v=oKsxPW6i3pM

Nonostante la canzone in sé possa essere considerata più affine al pop-punk, le restanti tracce del disco sono influenzate da gruppi della scena emocore come Christie Front Drive e Sunny Day Real Estate. Secondo alcuni, Bleed American è riuscito a sdoganare la musica e la cultura emo presso il grande pubblico. Per altri, invece, il disco ha contribuito ad allontanare la componente punk dal genere e a gettare le basi per gruppi che, con le loro scelte musicali e i loro cliché estetici, hanno costruito intorno alla musica emo una serie di pregiudizi e barriere in grado di rendere ancora più difficile la riscoperta di molti capolavori sommersi.

L’articolo completo è disponibile sul nostro magazine alle pagine 30-31.

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Simone Barondi

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