In un periodo in cui le distinzioni di genere sono accusate di essere sempre più marcate e nuove problematiche emergono prepotenti e inattese – qualcuno ha detto manspreading? – nel mondo dello sport, come spesso avviene nel corso della storia, si cerca di essere precursori anche sotto l’aspetto del confronto uomo-donna. Un confronto che esiste, inutile ignorarlo. Una sfida spesso quotidiana ma che nell’ambito sportivo ha trovato conferme soprattutto nella sfera riguardante il tennis, una delle discipline più amate e apprezzate di sempre. Difatti, qualcuno forse potrebbe ignorare che proprio questo sport è stato teatro di alcune sfide che riguardavano non solo l’abilità motoria, ma soprattutto un concetto molto più ampio: quello della ricercata parità tra uomini e donne. A tal proposito, la Battaglia dei sessi, una serie di incontri svoltisi dagli anni settanta agli inizi del 2000, riesce a raccogliere in maniera convincente le tematiche citate precedentemente. Nello specifico, parliamo di 3 sfide (più alcune bonus) che resteranno per sempre annidate nell’immaginario collettivo.
Prima di addentrarci nel dettaglio, vale la pena delineare anche la situazione attuale che vige nel mondo tennistico: ATP e WTA, ovvero federazione maschile e femminile, sono spesso in contrasto soprattutto per via della questione dei premi in denaro. Le donne infatti lamentano una disparità di trattamento rispetto agli uomini per quanto riguarda il budget di Slam e tornei più importanti. Dall’altro lato della fune, però, si cita specialmente il fatto che lo sforzo nel tennis maschile sia superiore, data la durata maggiore dei set e che, di conseguenza, è giusto che in questo ambito la sezione maschile guadagni più della sua controparte femminile. Scaramucce che compongono lamentale sensate, ma difficilmente risolvibili, e che forse hanno inasprito ancora di più la competizione tra gli atleti nel corso degli anni. Una rivalità che è diventata col passare del tempo sempre meno goliardica e più seria, e che risulta essere nata con una sfida lanciata nel 1973.
In quello stesso anno, l’ex tennista degli anni ’30 e ’40 Bobby Riggs affermò di essere perfettamente in grado di poter battere una collega tennista ancora attiva. Riggs, vincitore di Wimbledon e degli U.S. Open oltre che numero uno del mondo in tre occasioni, spiegò infatti di essere convinto del fatto che il movimento tennistico femminile fosse decisamente inferiore rispetto a quello maschile in quegli anni. Inizialmente l’americano sfidò la tennista Billie Jean King, la quale però rifiutò di mettere in scena il match. Il tennista fu così “costretto” a cercare un’altra sfidante che raccogliesse la provocazione: a farlo fu Margaret Smith Court, ragazza australiana che all’epoca dei fatti era addirittura la numero uno del seeding femminile, dunque certamente non una sprovveduta.
Il primo incontro della Battaglia dei Sessi si svolse in California, nello stesso anno in cui Riggs provocò l’universo tennistico femminile. In molti attendevano una gara equilibrata: Riggs era infatti un tennista ritirato ormai da anni, si pensava dunque non potesse sostenere un incontro del genere all’età di 55 anni. Tutti i pronostici, di conseguenza, vertevano su una vittoria – magari non troppo agevole – per la Court. L’incontro invece ebbe una storia totalmente differente: Riggs, che si era preparato in maniera ottimale a livello fisico e tattico per l’incontro, non solo fece una bellissima figura ma fu in grado di annichilire totalmente la sua avversaria. Il match terminò con un pesante 6-1 6-2 a favore di Riggs, che dunque aveva dimostrato il vero riguardo il suo personale punto di vista. L’ex atleta guadagnò una nuova notorietà grazie a questa sfida vinta, mentre il movimento femminile piombò in una situazione di pesante imbarazzo: quella che in teoria era la donna più forte del mondo aveva perso contro colui che era, a tutti gli effetti, un “pensionato”.
Non pago, Riggs volle però portare avanti questa sua crociata contro il tennis femminile dell’epoca, diventata ormai più che altro una mera operazione commerciale. Un’altra partita fu dunque organizzata e stavolta, dopo aver rifiutato la prima sfida, Billie Jean King decise di affrontare l’avversario, anche in virtù di una generosa offerta economica stanziata per la sua partecipazione.
La King rappresenta un vero e proprio idolo per tutte le tenniste del mondo: essa stessa è stata la fondatrice della WTA, oltre che una delle tenniste più vincenti di sempre. Inoltre, la King ha sempre combattuto contro lo strisciante sessismo perpetrato nella vita e nello sport. Anche a livello morale, dunque, la sua partecipazione ebbe enorme risalto e significato soprattutto per il circuito femminile, parso ridimensionato dopo la batosta subita dalla Court.
La “rivincita” si svolse nel settembre 1973, pochi mesi dopo l’incontro tra Riggs e Court. La ragazza, all’epoca ventinovenne e numero due della classifica femminile, voleva a tutti i costi vendicare la sconfitta del match precedente. Si preparò dunque duramente, studiando la carriera dell’avversario e il modo di giocare di quest’ultimo. D’altro canto, invece, Riggs commise il grave errore di sottovalutare la campionessa, approcciando l’incontro in maniera più leggera rispetto al precedente.
Il secondo atto della Battaglia dei Sessi prevedeva un incontro al meglio dei 5 set: chi ne avrebbe vinti 3, dunque, sarebbe stato dichiarato vincitore della contesa. Incredibilmente fu proprio Billie Jean King a prevalere, con un punteggio di 6-4 6-3 6-3. Il match fu trasmesso in televisione e visto da più di 90 milioni di persone, che dunque assistettero a un’impresa storica e forse irripetibile. Ancora oggi, infatti, quella della King è l’unica vittoria femminile nella Battaglia dei sessi tennistica. Una vittoria che, ovviamente, ottenne immenso risalto mediatico e che venne vista come un’affermazione del femminismo sul maschilismo.
A distanza di quasi vent’anni da Riggs-King, si decise di mettere in scena una terza Battaglia dei Sessi. Dopo varie trattative, i due atleti scelti per questa sfida furono Jimmy Connors e Martina Navratilova, la quale era ancora la numero uno della WTA e che la stessa King aveva definito come la più grande giocatrice mai vissuta.
La sfida fu presa molto seriamente da entrambi, soprattutto da Connors che fin da subito disse di voler vendicare il ko di Riggs. La distanza a livello di età tra i due era esigua (Connors aveva 40 anni mentre la Navratilova 35), così vennero plasmate regole specifiche al fine di favorire la donna: infatti Connors in fase di battuta disponeva di un solo servizio e non di due, inoltre la tennista poteva mandare la palla anche nella porzione di campo dedicata al doppio. Connors si trovò dunque in una posizione delicata, poiché dovette giocare da solo come se fosse in doppio e persino con un servizio in meno.
Nonostante ciò fu lo stesso Connors a vincere la partita: dopo un primo set tiratissimo, terminato 7-5, il pluripremiato atleta ebbe nettamente la meglio nel secondo con un perentorio 6-2. L’americano ricevette molti elogi, per via del fatto di aver accettato di giocare comunque nonostante un regolamento ad personam. Inoltre, a fronte di questa sconfitta, venne in parte rivalutata anche la vittoria della King su Riggs. Una vittoria che, a conti fatti, era arrivata contro un tennista ritirato e appesantito.
Oltre alle tre sfide considerate canoniche, la Battaglia dei Sessi ha proposto anche altri match percepiti come meno importanti e non ufficiali, ma comunque degni di essere citati nell’ambito di questa importante contesa tra uomini e donne.
Iniziamo con l’incontro di doppio che nel 1985 vide sfidarsi la coppia maschile Riggs – Gerulaitis contro quella femminile Navratilova – Shriver. All’età di 67 anni, Riggs decise di rimettersi in gioco sfidando le tenniste più forti in circolazione in una partita di doppio. Per farlo si affiancò a Vitas Gerulaitis, tennista ancora presente nella federazione ma ormai giunto agli ultimi anni di carriera. La gara non ebbe storia e fu vinta agevolmente dalle ragazze per 6-3 6-2 6-4: Riggs, inizialmente ammirato per il coraggio di tornare sul prato, fu poi criticato per via della sua pessima condizione fisica, la quale aveva di fatto penalizzato il compagno nella sfida.
Nel dicembre del 2003 fu invece Justine Henin, tennista belga che in quel momento comandava la classifica WTA, a sfidare un tennista maschile. Nello specifico si trattava del francese Yannick Noah, attivo prevalentemente negli anni ’80 e ’90. Il match si svolse in Belgio e viene ricordato più che altro per l’atteggiamento goliardico (ma per alcuni offensivo) di Noah, che si presentò a giocare con reggiseno e vestitino e che sottolineò tutti i suoi colpi con movenze tipicamente femminili. Nonostante la forza dell’avversaria, Noah si aggiudicò comunque l’incontro: dopo aver perso il primo set per 4-6, vinse infatti gli altri per 6-4 e 7-6.
Il precedente ufficioso più noto è però quello che riguarda le sorelle Williams, Serena e Venus. A ridosso dell’edizione 1998 degli Australian Open, le americane si dissero stra-sicure che sarebbero riuscite a battere qualsiasi tennista maschio oltre la duecentesima posizione del ranking ATP. A raccogliere la sfida, in un campo minore della struttura, davanti a pochi intimi e senza telecamere, fu il tennista 31enne Karsten Braasch, in quel momento numero 203 del mondo e dunque certamente non uno dei più forti ma perfettamente in regola con la richiesta delle Williams.
Braasch, atleta modesto che aveva raggiunto al massimo la posizione numero 38 in carriera, dovette sfidare in un set singolo prima Serena e poi Venus Williams. L’incontro fu un vero e proprio stillicidio per le ragazze americane, all’epoca giovani promesse rispettivamente di 18 e 17 anni. Le Williams, corrotte dalla loro tracotanza, vennero letteralmente umiliate dal tedesco, che inflisse prima un pesante 6-1 a Serena e poi un 6-2 a Venus. L’incontro divenne noto soprattutto per via del fatto che Braasch, forse per dare una lezione di umiltà alle Williams, non si fece problemi ad ammettere di aver bevuto birra prima dell’incontro e nella pausa tra i due set fu sorpreso persino a fumare una sigaretta. Come se non bastasse, il teutonico infierì in conferenza stampa, spiegando che le sorelle non avrebbero mai avuto la possibilità di battere nessun tennista uomo sopra il numero 500 del ranking e che, peraltro, lui aveva giocato una partita da numero 600. Una grande lezione che forse aiutò le Williams, col senno di poi, nel corso della loro luminosa carriera e che rappresenta solo l’ultimo atto di una battaglia destinata a non avere fine.
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