Fin dalle prime ore a seguire il triplice fischio che ha consegnato al Real Madrid la dodicesima finale di Champions League della sua storia, a tener banco nelle pagine sportive italiane sono stati i passi falsi che hanno portato all’ennesima disfatta europea della Juventus. Le ragionate analisi del crollo torinese nel secondo tempo – attribuito all’incapacità di adattarsi al cambio di modulo dei campioni uscenti, a un Dybala sottotono e alle sostituzioni sbagliate – lasciano spazio in contesti più informali a scherzose allusioni alla popolare “maledizione” che sembra tormentare il club bianconero, impedendogli di laurearsi campione d’Europa. Parallelamente a questa, che colpisce collettivamente l’intera squadra, ne esiste un’altra, tutta personale: quella che affligge Gonzalo Higuaín. Ma questa maledizione esiste davvero?
Dal 1973 – prima finale di Champions disputata dalla Juventus, persa a beneficio dell’Ajax – solo due volte su nove la Vecchia Signora ha prevalso, con una sconcertante percentuale del 22% di vittorie; uno score che stride con il suo strapotere in territorio nazionale. Non distante da quello del suo club, il record del solo Higuaín è altrettanto negativo: anche lui per sette volte ha assistito alla premiazione dei vincitori guardando da lontano, con un argento al collo. Negli anni di Madrid, nonostante una sconfitta in finale di Coppa del Re ed una in finale di Supercoppa, parlare di “maledizione” sarebbe ancora ingeneroso. In due dei tre incontri (andata e ritorno di Supercoppa), Higuaín entrò in campo oltre l’ottantesimo minuto, una volta al sessantaquattresimo. In occasione delle vittorie fu impiegato tre volte su cinque, segnando due reti. Al netto miglioramento di Napoli – una Coppa Italia e una Supercoppa Italiana, con due reti a segno e rigore trasformato nella lotteria finale di quest’ultima – contrappone le disastrose prestazioni nella Selección argentina. Capro espiatorio delle disfatte contro Germania (Mondiali 2014) e Cile (Coppa America 2015 e 2016), puntualmente Gonzalo spedisce fuori dallo specchio occasioni cristalline, sia da pochi passi, a porta quasi sguarnita, o dal dischetto.
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