Camminando per le vie di Bologna si può notare, a volte, una serie di fogli A4 attaccati sotto i portici che compongono delle scritte come questa, vista in Via Fondazza un anno fa: «D’una poesia/ infranta/ mi sanguina/ la gola». Si potrebbe pensare ad una questione circoscritta, sporadica, nata lì e a breve morta. Invece poesie simili compaiono ancora, a Bologna e in altre città, e solo dopo un po’ si nota sui fogli un timbro rosso “MeP”.
Il Movimento per l’Emancipazione della Poesia è un movimento nato a Firenze e da lì estesosi fino a operare ormai in circa tutta la penisola. I membri che lo compongono hanno il principale scopo di rendere alla poesia il suo ruolo egemone, contrastando il luogo comune per il quale la poesia è morta e unendo di nuovo gli uomini nella passione per quest’arte costantemente contrastata da «bassi e vuoti intrattenimenti». Lo stesso principio dunque della Difesa della poesia di Percy Bysshe Shelley, che nel 1821 scriveva: «Il più infallibile araldo, compagno e seguace di un grande popolo che si risveglia perché chiamato ad operare un benefico cambiamento nel pensiero e nelle istituzioni, è la Poesia».
Emancipazione dunque, ma rispetto a cosa? Emancipazione rispetto ai meccanismi dell’editoria, dicono in un’intervista. Non è però la prima organizzazione indipendente di questo tipo. Avevamo già infatti avuto a che fare con il Bordafest – produzioni sotterranee lucchese, che ha tentato di dare spazio, al di fuori del “mondo di sopra”, alle arti visive, alla musica e alla letteratura. Ma motivo di emancipazione non è solo questo: di fatto, il motore principale di questo movimento è l’aver constatato quanto la poesia non solo sia diventata appannaggio di una ristretta élite, ma abbia addirittura perduto d’importanza rispetto alle altre arti e nonostante si continui a scrivere, purtroppo non si legge più. Emancipata dunque rispetto ai luoghi accademici cui è rinchiusa, rispetto alla pagina del libro su cui siamo abituati a vederla, rispetto anche all’autore. E infatti, non solo quelle che si leggono per le città non sono da ricercare in nessuno degli autori che conosciamo, ma sono addirittura poesie scritte dagli appartenenti stessi al movimento.
L’anonimato dei componimenti ha una funzione “liberatoria”, secondo i membri, per la natura stessa del testo e scagiona dalla paura che l’autore scriva per compiacersene, dimenticando il fine ultimo del suo appartenere al gruppo. Secondo loro se ci si focalizza sul nome si inizia ad apprezzare non tanto la poesia in sé ma “la poesia di”, mentre l’anonimato garantisce che non vi siano svilimenti e restituisce a ogni componimento la sua grandezza prima, a cui il nome fa ombra. E inoltre, per poesia non si intende la poesia del romanticismo ottocentesco di Novalis o il futurismo di Marinetti: non esiste alcuna corrente di riferimento, si scrive ciò che si vuole, come si vuole. Si legge nel Manifesto: «Il MeP non intende ridefinire il concetto o circoscrivere la poesia a un determinato “ismo”. Non vuole vincolarsi a un’omogeneità stilistica o tematica, poiché nasce come un movimento di emancipazione della poesia intesa nelle sue diverse forme». Non esistono dunque nemmeno limiti linguistici, e infatti un novello Trilussa ci fa leggere: «E vince sempre, chi?/ Chi cià er core/ più freddo», oppure «scatole de ricordi/ che nun apri pe’ paura». Esiste addirittura una poesia marchiata V16 intitolata Parole a caso che accosta parole (apparentemente?) sconnesse tra loro: «l’Aufgang ribosomiale a top/ in mandorle castrum poesia».
Il fatto che chiunque potenzialmente possa diventare membro fa in modo che le poesie siano “disomogenee” tra di loro. Certamente alcune di esse riescono ad avere un impatto maggiore su chi le legge, magari tramite l’applicazione di alcune norme stilistiche o la conoscenza di certi accorgimenti retorici, e indubbiamente alcune hanno avuto grande successo a scapito di altre, ma non pare essere questo l’importante: a detta loro, i poeti del MeP perseguono il solo fine della diffusione della poesia. Perciò non vi è alcuna selezione, non solo dal punto di vista contenutistico, ma nemmeno da quello estetico-formale: a ognuno è assegnato il medesimo numero di poesie da diffondere, che vengono sparse in ordine casuale. Questo anche perché il gruppo non ha un effettivo capo, o delle figure più influenti di altre, ma si sviluppa pressoché in senso orizzontale. Si è peraltro sempre dichiarato apolitico e apartitico. Il modo principale in cui i componimenti vengono diffusi è l’attacchinaggio (ulteriore motivazione dell’anonimato) che però va a colpire le zone degradate o malridotte della città, senza deturpare monumenti, palazzi storici, graffiti. Viene adoperato anche il cosiddetto “inserimento clandestino” dei fogli nei libri di bancarelle e librerie.
Nel lontano 2003 avevamo già avuto a che fare con un movimento simile, l’Augenpost, tramite il quale due studentesse, non in forma anonima, iniziarono ad attaccare poesie sui muri di Lipsia e Berlino con lo stesso intento dei membri del MeP. Tuttavia, contrariamente a quanto è accaduto presso di noi, riscontrarono più critiche che consensi e vennero accusate di fare “merda hippie” paragonate ai writers che imbrattano i muri cittadini.
In Italia, nonostante alcune poesie talvolta vengano strappate o coperte, o nonostante qualche parere negativo (soprattutto sui social network: «Certe cose non si possono leggere, si svilisce e offende il nome della Poesia stessa», ad esempio), in generale il movimento ha trovato grande appoggio. Tra i commenti si legge anche che «ci sono idee brillanti in giro», e una ragazza ha addirittura postato una foto del suo nuovo tatuaggio che recita una poesia del MeP. Tutto questo successo è in parte sicuramente dovuto anche alla partecipazione di esponenti del movimento a eventi letterari o alla disponibilità che hanno accordato per diverse interviste e letture radiofoniche.
Alla luce di tutto ciò, quello che ci si domanda è questo: il MeP è realmente riuscito a far risbocciare un poco l’amore per la poesia, oppure questa come anche tutte le altre arti ha solo bisogno di una certa predisposizione quasi innata per essere accolta e alla fine si rivelerà essere né la prima né l’ultima moda passeggera che tocca l’apice per poi morire? Il sentimento della poesia va educato? Insomma, la poesia in Italia, tramite questi ragazzi, è riuscita a ricavarsi uno spiraglio al quale affacciarsi, un muro su cui arrampicarsi, qualcuno in più su cui fare presa, o continua nonostante questo bombardamento poetico a turbare pochi? La poesia è ingenerata o si può insegnare? Noialtri chiaramente ci auguriamo che si possa infondere.
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