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Ma quindi adesso la Grecia come se la passa?

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Rodolfo Bevione

Grecia: come stava prima della crisi

Prima della crisi del 2008, l’economia greca, seppure incapace di smuovere le cifre degli altri partner europei, pareva quella di un normale paese in cui i cittadini godevano di un discreto grado di benessere; parecchie persone impiegate principalmente nel turismo e nel settore marittimo, un sistema pensionistico che permetteva ai contribuenti di ritirarsi dopo 35 anni di lavoro, rispetto ai soliti 40. La Grecia era persino capace di offrire ospitalità agli stranieri, che costituivano un quinto della forza lavoro fra la manodopera non specializzata. La crescita si attestava intorno al 4% annuo; la popolazione greca non era straordinariamente ricca, ma la situazione era gestibile. Il settore pubblico era, e ancora è, decisamente grassoccio, facendo girare circa il 40% del PIL.

Con la recessione, la faccenda è sfuggita di mano; nel 2013 l’economia si era contratta del 26% rispetto ai livelli pre-crisi. Il debito cresce, le finanze pubbliche languono. L’ultima valutazione del debito di Moody’s, del 23 giugno, la dà come CAA2; nonostante l’outlook stabile, investire sul debito greco è ancora estremamente speculativo. Il tasso di disoccupazione ora viaggia intorno al 22,5%, rispetto al 23,2% di gennaio, ma le banche greche, quanto a liquidità, dipendono largamente dalla capacità del governo di erogare credito. Oggi la nazione riceve aiuti pari al 3% del PIL; le riforme continuano ad avere effetti minori rispetto al previsto, lo stato continua a ricevere prestiti che aiutano sul breve periodo, ma sul lungo alimentano soltanto un debito già di per sé insostenibile. Una situazione tendenzialmente simile a quella italiana, ma in piccolo; il debito ammontava a oltre 300 miliardi di euro nel 2015; a noi italiani sembrano numeri piccoli, abituati come siamo ai 2.200 miliardi nostrani, ma il PIL greco è quasi dieci volte inferiore al nostro.

Perché il debito è il problema greco più importante

La prima risposta a questa domanda è “perché lo dice il FMI“. Sembra un appello all’autorità, ma in realtà la faccenda è ancora più semplice, ed è il classico “mangiare la minestra o saltare la finestra”: il Fondo Monetario Internazionale, per dare il proprio denaro, chiede in cambio delle garanzie sul fatto che il debito possa essere ripianato. E se la Grecia vuole chiedere del denaro, deve accettare le condizioni di chi lo sta cedendo.

La risposta più elaborata è un po’ differente. Il problema dei debiti sta negli interessi, che crescono con il tempo: se, grazie al tasso di interessi, il debito cresce più velocemente delle entrate del paese, si entra in un circolo vizioso da cui non è possibile uscire – non in maniera semplice. Se uno stato incamera ogni anno 100 euro, e ne deve spendere 110 di interessi, per pagare i creditori dovrà contrarre dieci euro di debito. Questo debito si aggiunge al pregresso, aumenta ulteriormente gli interessi e si ripresenta negli anni a venire, più forte di prima. Una situazione di questo tipo la si vede in Italia: nonostante la nostra nazione continui a registrare avanzo primario da svariati anni, il debito pubblico continua a crescere, perché gli interessi sono più alti di quanto viene messo da parte.

La situazione non si allevierebbe se la Grecia potesse stampare moneta

Nonostante gli slogan che si sentono spesso, inventarsi nuova valuta non risolve il problema. Si può stampare moneta, ma non si può stampare economia; Il debito emesso da uno stato, infatti, può essere indicizzato (il valore del titolo segue l’andamento della valuta) o meno. Quello indicizzato, chiaramente, non si può risolvere stampando moneta, mentre quello non indicizzato, in teoria, sì.

Ma risolvere il debito stampando moneta vorrebbe dire stampare talmente tanta valuta da togliere l’intero potere d’acquisto ai cittadini e ridurli ad una miseria ancora peggiore di quella odierna. Valuta che poi potrebbe non essere più accettata come pagamento all’estero; perché dovrei accettare in pagamento da un cliente una cifra che domani non avrà più valore, sommersa dalla stampa di altra valuta? Il commercio si blocca. Alla nazione non resta che chiedere in prestito altro denaro, ma a quel punto i creditori possono vincolare il pagamento a una valuta estera, su cui il debitore non ha alcun controllo. Il mercato non si inganna così facilmente. Pretendere di dare la colpa del debito all’UE, perché “non c’è controllo sulla moneta”, significa non capire il funzionamento dell’economia: il controllo del credito ce l’ha sempre il creditore. Perché, se non ce l’avesse, non farebbe credito. Affrontare i problemi dalla parte della valuta prima che dalla parte economica pone sempre il rischio di arrivare alla situazione venezuelana, che sarà ricordata negli annali della storia come la nazione in cui l’inflazione è talmente forte che il governo ha finito i soldi per stampare altri soldi.

D’ogni modo, il governo ha accettato i numerosi bailout proposti a suo tempo, promettendo riforme in cambio: meno spesa pubblica, meno evasione fiscale, e numerose riforme. Un ritornello che in Italia abbiamo sentito molto spesso: riforma del mercato del lavoro, della sanità pubblica, del sistema pensionistico e dei sistemi produttivi. Riforme che poi sono state implementate per davvero: non c’era scelta. O quello, o il denaro non sarebbe arrivato.

Ma, alla fine, bisogna rispondere alla vera domanda: ora che le riforme sono in azione, che si fa?

Cosa succede adesso alla Grecia?

I lati negativi della situazione attuale sono davvero tanti. Per cominciare, il debito pubblico ha raggiunto dimensioni e interessi insostenibili; attualmente la Grecia si ritrova un rapporto debitopil che viaggia intorno al 180%, staccando di parecchio il secondo classificato nell’eurozona -l’Italia, prevedibilmente– che ha invece un rapporto del 132%. La situazione sul versante dell’evasione fiscale era disastrosa. Nonostante a parole questo fosse un problema del passato già nel 2012, soltanto dal 2015 la Grecia ha cominciato ad affrontare seriamente il problema dal punto di vista legislativo, con i primi effetti visti nel 2016: tale lotta, in una nazione in cui il sommerso sembra rappresentare fino al 9% del PIL, è soltanto all’inizio. Corruzione e indebiti privilegi sono ancora ben presenti: nonostante le riforme in tal senso, Transparency International ha affibbiato alla Grecia il 69 posto fra le 176 nazioni più corrotte, fra il Suriname e il Bahrain.

Sono state fatte riforme dolorose, anche di recente, ma la Grecia resta una nazione uscita da anni in cui ha mandato in pensione finanche estetiste e parrucchiere a 55 anni, in quanto “lavoro usurante”: i costi di anni di sprechi e privilegi non si ripianano in fretta, nonostante la situazione sul versante pensioni oggi sia differente: sia uomini che donne vanno in pensione a 67 anni; si può anticipare a 62 in caso di lavoro usurante, ma la lista dei lavori usuranti è stata tagliata con decisione.

Il primo lato positivo da rilevare, invece, è la resilienza del popolo greco, che ancora mantiene l’ordine e la coesione sociale in mezzo a una crisi economica durissima. E se il fronte degli euroscettici diventa sempre più deciso, gli europeisti resistono ancora e la democrazia ancora non è messa in discussione. La forza di volontà di un popolo, nei momenti di crisi, fa la differenza.

Il secondo lato positivo è che, forse, comincia a intravedersi la fine del tunnel. La frase è inflazionata e in Italia suona come un’amara presa in giro, visto che questa espressione è stata usata per la prima volta da Monti nel 2012 (e non è andata troppo bene), ma in Grecia potrebbe essere vero. Non si generino fraintendimenti; la nazione patirà ancora, e parecchio; la differenza, però, è nelle prospettive. Le riforme implementate sembrano aver indirizzato la nazione sulla strada giusta; laddove prima la Grecia era un paziente morente da salvare alla svelta, ora è un malato molto malconcio per cui si comincia a progettare un percorso di riabilitazione. In altre parole, la differenza è che finalmente comincia a prospettarsi un piano di più ampio respiro, e non una raffica di riforme che, se pur necessarie, rappresentano una sofferenza per il popolo greco. Sensazione di cui sono partecipi anche gli investitori: i rendimenti dei titoli decennali sono arrivati al loro punto più basso dal 2009, segno che comincia a farsi strada la sensazione che, nel lungo termine, la situazione potrebbe cambiare; al contempo, la nazione ha registrato una lieve crescita. Congiunturale, certamente, ma le stime non erano così ottimistiche. A giugno, inoltre, è arrivata una nuova tranche di aiuti alla Grecia: otto miliardi e mezzo di euro, oltre mezzo miliardo di euro in più rispetto alla cifra preventivata a inizio trattative.

Si aggiunge poi il FMI, che ha finalmente dato, in linea di principio, il suo “accordo di principio” ad un salvataggio greco. L’idea è far uscire la Grecia dal piano di salvataggio e farla entrare in un piano di sviluppo, concedendo in un secondo momento anche misure di alleggerimento di un debito che, come già rilevato, non è sostenibile; tetto ai tassi di interessi e nuove scadenze sono le opzioni di cui si discute, ma il tema sarà affrontato nel 2018. Ciliegina sulla torta, questo pare sarà un anno eccellente per il turismo; parlando di una nazione che dai visitatori stranieri trae il 18% del proprio PIL, non si può sovrastimare l’importanza di questa notizia. L’idea è che un mix di fortuna, partner ben disposti e i grandi sforzi del popolo greco daranno una spinta al paese in cui l’UE si è mostrata con il suo volto più cattivo; quello dell’austerità. Se sarà abbastanza per riportare la Grecia sulla strada giusta, solo il tempo potrà dirlo.

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