Con un consenso che si stima essere di poco inferiore al 40%, non sorprende che molti americani stiano guardando già oltre la appena iniziata presidenza Trump. Quella del 2020 sarà sicuramente un’elezione tanto interessante almeno quanto quella dell’anno scorso, non solamente perché The Donald dovrà riuscire a difendere il suo posto come “commander in chief”, ma anche perché il suo sfidante, che non avrà nome certo fino al 2019, potrebbe essere una figura piuttosto nota agli americani. Non si parla di Michelle Obama, che ha negato qualsiasi intenzione di candidarsi (per non chiedere alla sua famiglia di ritrasferirsi alla casa Bianca e sotto le luci dei riflettori), né di Biden o Sanders, che non hanno fatto alcuna dichiarazione che possa favorire l’idea che effettivamente ci stiano già pensando (Sanders in particolare sembra troppo impegnato a condurre la sua political revolution). Il nome che potrebbe veramente creare clamore sarebbe… Zuckerberg.
L’attuale stato dei democratici appare piuttosto disperato. La scomparsa della Clinton subito dopo la sconfitta di novembre (per poi riapparire solo recentemente in pubblico) ha lasciato un vuoto nel partito, ora senza una figura pubblica di risalto. L’antagonismo bipartitico americano ha sempre giocato sulla presenza su ambo i fronti di personaggi che apparissero al pubblico come l’essenza del partito, ma con la scomparsa di Hillary, che (apprezzata o meno dai suoi) ricopriva quel posto, si è creato uno sbilanciamento nel sistema che ha puntato tutti i riflettori sul presidente Trump. Oggi le battaglie dei democratici, dal blocco aereo nei confronti dei paesi considerati pericolosi ai tagli alla sanità nazionale, appaiono relativamente silenziose all’opinione pubblica americana, che sembra più interessata ai tweet di dubbio valore presidenziale di Trump. L’unico che sembra cercare di imporsi sui democratici e di assumere questa carica di “guida spirituale” sembra essere Bernie Sanders, ma l’anziano senatore del Vermont non è benvisto dalla fascia moderata democratica, e non è comunque detto che voglia candidarsi di nuovo a presidente, data anche la sua veneranda età.
Dare per scontata una vittoria contro un Trump uscente sarebbe sciocco per i democratici, dati i precedenti. È necessario quindi che il partito dell’asino trovi nel prossimo futuro un nuovo leader che appaia incredibilmente appetibile agli elettori, che siano democratici o repubblicani delusi. Al caso dei democratici farebbe proprio comodo un uomo giovane, popolare e con un’oratoria splendente. Zuckerberg risponderebbe a tutti questi requisiti.
La voce di corridoio che Zuckerberg possa volersi candidare (e si presuppone proprio con i democratici, date le sue posizioni estremamente liberali in campo di diritti sociali) non nasce casualmente. L’indizio più ovvio è che il CEO di Facebook ha intenzione di dedicare il suo 2017 a viaggiare per l’America, incontrare gente comune, ascoltare idee. Insomma, una campagna elettorale. Quando ha poi negato seccamente il suo interesse alla candidatura in un’intervista a Buzzfeed, l’idea è diventata perfino più plausibile.
Zuckerberg ha perfino smesso di accennare al suo ateismo in eventi pubblici, cosa che in passato faceva relativamente più spesso, forse per apparire in maniera più laica e quindi meno controversa, e ha assunto l’uomo dietro le precedenti campagne elettorali di Obama, David Plouffe, per l’amministrazione delle policy legali della Chan Zuckerberg Initiative, il progetto di Zuckerberg e consorte per le pari opportunità.
Ma gli americani voterebbero mai per il CEO di un sito web che raccoglie informazioni personali da più di due miliardi di persone? Il conflitto d’interessi sembrerebbe evidente, eppure Berlusconi docet, ma non solo. La recentissima elezione di Trump ha dimostrato come poco conterebbe, nel complesso, una presentazione formale e precisa di un candidato, comprese le sue finanze, i suoi possedimenti e il suo passato, anzi, come qualsiasi cenno di offesa e accusa a un candidato possa rappresentare potenzialmente un’arma a proprio favore: l’opinione pubblica ha ignorato le accuse degli avversari di Donald che ricordavano all’America dei suoi investimenti nulli e dei suoi molteplici progetti falliti miseramente, come la Trump University. L’America di Trump non registrò gli insuccessi se non come pause dal successo. Donald Trump aveva perso milioni di dollari per guadagnarne altri, aveva divorziato per trovare il vero amore, scompariva dalla scena per poi tornare in televisione come wrestler o come host del programma “The Apprentice”. Trump diceva di essere un vincente, e ha vinto; The Donald non avrà vinto il voto popolare, ma ha dimostrato efficacemente come avere una direzione precisa, perlomeno durante la campagna elettorale, possa ribaltare le sorti di una elezione che, perlomeno ai democratici sembrava già decisa.
Per molti la candidatura di Zuckerberg è da temere seriamente, e ancora di più la sua ascesa a presidente. Negli anni passati sono stati moltissimi gli scandali che hanno coinvolto l’NSA, l’Agenzia di Sicurezza Nazionale americana, accusata più volte di spiare i cittadini americani, di leggere le loro mail e i loro messaggi via telefono. Le accuse sono fondate e provate e c’è chi ci ha rimesso anche la propria cittadinanza, come Edward Snowden, ora in Russia. In un’epoca dove il cyber-spionaggio e il cyber-terrorismo sono all’ordine del giorno, è naturale che ci sia seria preoccupazione quando il presidente degli Stati Uniti d’America potrebbe raccogliere tutte le informazioni di cui ha bisogno, come cosa promettere ai cittadini durante la campagna elettorale, quale parte del proprio aspetto migliorare per sembrare più appetibile alle generazioni più anziane e a quelle più giovani, come parlare, come rivolgersi al pubblico…senza passare dall’Agenzia di Sicurezza Nazionale. Mark Zuckerberg potrebbe candidarsi dopo aver raccolto tali informazioni, magari rinunciando al comando di Facebook prima della campagna elettorale e cercando di mostrare al pubblico una totale disconnessione dal social network
Lo scoglio più grande per Zuckerberg potrebbe essere il rifiuto di sostenerlo da parte dei grandi elettori di matrice repubblicana e più conservatori. Per ottenere la presidenza Zuckerberg infatti non si potrà limitare a fare campagna elettorale girando per l’America, cercando il supporto popolare. Il voto dei grandi elettori, di fatti, non è scontato, non solo perché il sistema elettorale americano non assicura che il voto popolare sia in effetti la strada per conquistare la sedia dello studio ovale, ma anche perché non sarebbe improbabile che, piuttosto che un presidente così giovane, gli interessi del partito o dell’establishment americano si dirigano verso ben altri candidati.
Quale sarebbe, una volta diventato presidente, il carattere distintivo del presidente Zuckerberg, ciò per cui verrebbe ricordato negli anni a venire? Nei suoi post e nei suoi discorsi una parola spicca su tutte le altre: “insieme”, una parola di certo non nuova al vocabolario dei presidenti o candidati negli USA, ma forse nella figura di Zuckerberg questa parola assume un valore più complesso.
Nel passato americano “insieme” richiamava un’unità nazionale, un fiero sentimento nazionale, un patriottismo convinto e saldo. “Insieme” fu ripetuto più e più volte nel discorso del presidente Lincoln a Gettysburg, al memoriale dei soldati caduti, ma come invito a riunire una nazione divisa da una guerra e idee profondamente contrastanti sul diritto umano. Domani, col presidente Zuckerberg, la parola “insieme” assumerebbe un valore globale, data l’esperienza del CEO di uno dei siti web con più traffico al mondo. Che si voglia credere o no che Zuckerberg possa complottare contro la freedom americana sfruttando il suo impero informatico, è difficile mettere in dubbio che i suoi interessi non si vogliano limitare agli Stati Uniti d’America. Diventare presidente degli USA, d’altro canto, sembrerebbe quasi un impegno limitante per uno degli uomini oggi più importanti al mondo, che potrebbe invece programmare di ristabilire una guida sicura degli USA alle redini del mondo, oggi più che mai contese. Mark Zuckerberg sarebbe quindi presidente degli americani ma figura di riferimento di tutto il mondo, sicuramente più di quanto Trump sia oggi ritenuto essere un punto di riferimento e probabilmente più di quanto qualsiasi presidente americano, sempre fermamente convinti del proprio dovere in primis per la patria, sia mai stato.
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