Gli esseri umani, nella loro completa cecità e stupidità, hanno compiuto l’estremo gesto. Questo significa guerra nucleare totale. La completa estinzione della civiltà come la conosciamo. Solo alcuni fortunati gruppi di sopravvissuti riescono, grazie a predeterminati piani per l’emergenza, a sfuggire all’annientamento totale, rifugiandosi nelle Metro. Siamo quindi nel 2033, anni dopo il consumarsi di questo disastro. Metro 2033, videogioco tratto dall’omonimo romanzo, uscito in Italia nel 2010, arriva in Europa lo stesso anno. Ambientato in un futuro distopico, precisamente post apocalittico con preponderanti elementi fantascientifici, Metro 2033 risulta ambizioso nell’unire molteplici tipologie di gioco. Esso infatti mescola degli elementi survival, horror e FPS, per gli amici First Person Shooter, a dei tratti che favoriscono e incoraggiano lo stealth. Il successo riscosso fa sì che nel 17 maggio 2013 veda la luce Metro: Last Light, suo sequel. Un solo anno dopo uscirà un rifacimento principalmente grafico di entrambi i giochi.
«Artyom!», ti svegli di soprassalto, il tuo patrigno ti sta chiamando. Disturbato, lentamente ti alzi dal letto e ti concedi alcuni istanti per osservare una bacheca, ricoperta da foto e cartoline del vecchio mondo. Incominci poi a farti strada per la stazione della metro in cui vivi, Exhibition; aspettate entrambi un ospite. Durante il percorso, scopri di un attacco ai danni della stazione. Passando dall’infermeria e incontrando i sopravvissuti, osservi il loro terribile stato. I responsabili di questi attacchi, che si fanno mano a mano sempre più frequenti, sono elusivi e noti come Dark Ones. Hunter, il Ranger passato a Exhibition a trovarvi, risulta molto preoccupato da questi sviluppi. Non avete purtroppo il tempo per discutere ulteriormente: dei Nosalises, comune spazzatura mutante nei tunnel, attaccano la stazione. Dopo la scaramuccia e un ulteriore attacco dei Dark Ones, Hunter parte in avanscoperta, lasciandoti una missione nel caso non facesse più ritorno.
Risultano intrecciate come non mai in uno sparatutto. L’intera avventura è riassumibile in un viaggio, attraverso i tunnel della metro e sulla superficie, alla scoperta del nemico ma non solo. Molto importante infatti è il viaggio di Artyom, protagonista forzato di questa avventura. Per quanto (letteralmente) su binari ogni livello è ricco di segreti, aree nascoste e scelte morali. Decidere come comportarsi nei confronti degli altri sopravvissuti, ma anche nei confronti delle forze naturali e mostruose che popolano la metro, cambierà il modo di Artyom di vedere il suo mondo. Mano a mano che la storia si evolve, quindi, potremo trovarci di fronte a due diversi personaggi principali, guidati da principi molto distanti. Importante è anche la possibilità di completare la propria run in modalità pacifica, evitando di uccidere umani, anche ostili, non direttamente percepiti come minaccia.
Frase storica del codice dei Ranger. Molto importante ai fini della storia, e assolutamente ben rappresentata dall’arsenale a nostra disposizione. Le armi in Metro 2033 sono dettagliate, letali e molto variegate. A seconda della nostra scelta infatti, diversi tratti del gioco potrebbero presentarsi in maniera inaspettata per uno sparatutto. L’elemento stealth è preponderante, ma solo se a sceglierlo fosse il giocatore. Decidere di non sparare a qualsiasi cosa si muova presenta i suoi vantaggi e svantaggi. Primo tra tutti, sicuramente la possibilità di risparmiare munizioni. Buona parte delle armi silenziose presenta, per l’appunto, la possibilità di recuperare i proiettili dai corpi dei nemici. Può sembrare una sciocchezza, ma il vero nemico in Metro 2033 non sono gli avversari, bensì la scarsità di munizioni. Ecco quindi che si pone una scelta per nulla scontata: faticare di più per risparmiare colpi, o porsi come un novello rambo e affrontare poi i mostri a coltellate.
Una cosa che colpisce molto di Metro 2033 è la sua capacità di lasciare la scelta al giocatore. Questo molto spesso avviene a discapito di altre caratteristiche, prima tra tutte la capacità di guidare una buona storia. Questo in Metro 2033 non avviene. Nei livelli la scelta è completamente del giocatore, che può affrontarli come preferisce, uccidere o non uccidere a suo piacimento. Non appena però ci si avvicina ai punti prestabiliti, il giocatore viene completamente privato del suo libero arbitrio, trovandosi catapultato in una storia dettagliata dove nulla è lasciato al caso. Molto spesso è possibile anche accorgersi di questi momenti, non in maniera becera, ma semplicemente osservando attentamente i dettagli presenti nel mondo. Ecco quindi che ogni scala che scricchiola o si smonta al nostro passaggio rischia di cedere. Qualora un cornicione dovesse sembrare poco solido, probabilmente non lo è per nulla. Questa attenzione ai dettagli amplifica l’immersione, già incredibile punto di forza.
Metro 2033 fa un ottimo lavoro anche nel campo dell’horror. Molto spesso, erroneamente, si pensa che horror equivalga solo a momenti jumpscare, ovvero eventi improvvisi o inaspettati. Nelle quindici ore di gioco che Metro 2033 offre avremo a che fare con pochissimi jumpscare. L’ansia sarà invece la nostra costante compagna. Ogni singolo rumore che sentiremo ci terrà all’erta, il cadavere fresco nell’angolo ci farà capire come ci sia qualcosa che non va. Quasi tutti i momenti jumpscare sono assolutamente prevedibili, ed è questo infatti a renderli ancora più terrificanti. Osservare gli occhi nell’ombra che ci osservano, vedere movimenti solo con la coda dell’occhio, che scompaiono come ci voltiamo, osservare le mosse di caccia dei mostri. Questi sono gli elementi più importanti, che portano inevitabilmente a un crescendo. Tu sai che là fuori c’è qualcosa, e sai che vuole mangiarti. Inevitabilmente. Non sai però quando.
Ottimo consiglio per chiunque si avventuri per i tunnel. Purtroppo gli sviluppatori non lo hanno seguito alla lettera, come dimostrano alcuni evidenti difetti del gioco. Risalta senz’altro l’aspetto grafico ma le animazioni non sempre risultano naturalissime, così come la grafica in sé è senza dubbio invecchiata male. Fortunatamente la versione Redux fa un discreto lavoro nel sistemare questo problema. Non è altrettanto vero però per tutti gli altri: i livelli stealth risultano infatti immersivi, ma al tempo stesso assolutamente frustranti. I nemici spesso sentono rumori che non dovrebbero, anche attraverso i muri, e quando scoprono il protagonista scatenano i loro poteri psionici. Ogni nemico nel livello conoscerà istantaneamente e quasi automaticamente la posizione del giocatore. Anche alcuni piccoli errori sul level design riescono a volte ad intaccare qualcosa di quasi perfetto. Questi dettagli minuscoli possono raramente costringere il giocatore ad un mortificante backtracking, ovvero a rigiocare i livelli precedenti.
Un anno è passato. D6 è stata reclamata dall’ordine dei Ranger e i Dark Ones spazzati via dalla faccia della terra. O almeno così pensavano tutti. Metro: Last Light si apre in D6, la stazione militare attraverso cui Artyom si spingerà nei livelli finali di Metro 2033, e parte subito in quarta, rivelandoci come i Dark Ones non siano completamente estinti. Ricomincia così l’avventura del giovane Ranger attraverso i tunnel della metro, alla ricerca dell’ultimo sopravvissuto dell’oscura razza, a malapena un cucciolo, ma soprattutto di sé stesso. Superata la prima missione-tutorial, però, il ritmo iniziale rallenta molto: nel livello successivo infatti si cerca di dare molto spazio ad un nuovo personaggio, Pavel, salvezza nel momento del bisogno. Il tentativo, ottimamente studiato, rende bene, ma al tempo stesso rallenta il gioco in maniera esasperante. Il giocatore si trova quindi di fronte a un livello di soli monologhi.
L’ambientazione si evolve in maniera importante rispetto a Metro 2033. Non ci troviamo più in inverno ma in primavera, con tutto ciò che ne consegue: il ghiaccio si sta sciogliendo, si presentano roboanti tempeste e acquazzoni primaverili, ma soprattutto molti tunnel sotterranei si allagano. Last Light presenta quindi molta più varietà se confrontato con il suo predecessore, rivelando sì nuovi ambienti e nemici, ma andando anche ad ampliare e rifinire ciò che già sapevamo sui nostri vecchi amici. Una scelta molto importante si nota soprattutto sul level design. Metro 2033 risulta molto libero nell’approccio del giocatore, ma comunque chiaramente guidato e su binari. Il suo predecessore invece offre non solo la libertà nell’approccio, con uno stealth ampliato, ma anche percorsi profondamente diversificati all’interno del singolo livello. Questa scelta rappresenta un punto di forza importante, diventando particolarmente evidente ogni volta che ci approcciamo ai livelli in superficie.
Metro: Last Light rende importante fin da subito lo stealth. Le meccaniche di Metro 2033, riprese e rifinite, finalmente non sono più una frustrazione unica. Ci troviamo però di fronte ad una situazione diametralmente opposta. Lo stealth di Metro: Last Light è sì molto più curato, ma fin troppo facile. Persino alle difficoltà più alte, farsi strada tra i livelli in maniera silenziosa è di una semplicità disarmante. Le armi silenziate diventano essenzialmente impossibili da individuare. I takedown in mischia, essendo eventi scriptati, possono essere effettuati anche correndo di fronte ai nemici. A proposito di questi ultimi, a meno che Artyom non si trovi illuminato pienamente da una fonte di luce si comporteranno come dei ciechi. Questo permette quindi degli approcci assolutamente irrealistici nel superare i nemici incontrati. Umani e non. Ad alzare l’asticella della difficoltà, fortunatamente ci pensano le meccaniche traino della storia e gli eventuali achievement ottenibili, tra cui spicca Shadow Ranger.
Se in Metro 2033 infatti si può completare il gioco evitando uccisioni inutili, in Metro: Last Light si può quasi completamente evitare di uccidere esseri umani. I takedown in mischia permettono di effettuare eliminazioni non letali. Questo dettaglio risulta importante, prendendo in considerazione lo sviluppo della storia e i due diversi finali ottenibili. Questa opzione, segreta in Metro 2033, fa il suo ritorno assieme al Karma. Ecco quindi che farsi strada, nei livelli con NPC umani, evitando massacri ha una sua implicita utilità, oltre a quella di rendere i livelli stealth un poco più difficili di una passeggiata al parco. Canonicamente, il finale di Metro 2033 è considerato il bad ending. Il finale canonico di Last Light invece è il good ending, molto più facile da ottenere. Il tema della redenzione diventa quindi il principale all’interno della storia.
Il palese parallelismo tra la storia di Artyom con quella umana nella sua totalità permette al gioco di farsi molto più maturo nei suoi contenuti. L’ambientazione, cupa e già tipica di Metro 2033, si arricchisce di elementi decisamente poco adatti ai più piccoli. Parliamo quindi di gore, abbastanza spinto ma quasi mai fuori luogo, e persino di nudità. Tema già toccato in maniera divertente nel capitolo precedente, la sessualità in Metro: Last Light è inizialmente solo accennata. Durante lo spettacolo nella stazione del Bolshoi, storico teatro di Mosca, potremo infatti catturare qualche scorcio di nudità tra le ballerine, ma nulla di più. Avanzando nella storia invece il tema si farà più aspro, dando la possibilità ad Artyom di fermare un tentativo di stupro. Pur passando attraverso queste parti decisamente poco etiche, nonché attraverso un bordello, non manca qualcosa di positivo. Il protagonista infatti si dedicherà ad una storia amorosa, nel complesso abbastanza scontata.
E no, non parliamo solo di personaggi ma anche di armi. Saranno infatti presenti non solo i personaggi iconici di Metro 2033, ma anche buona parte dell’arsenale a disposizione del giocatore. Con alcune piccole aggiunte. Il sistema di modifica e upgrade delle armi è molto più chiaro e facile da usare. Questa scelta è supportata da un maggiore numero di MGA, Military Grade Ammo, la valuta della Metro, sparse attraverso i livelli. Quindi è possibile personalizzare in maniera abbastanza spinta l’equipaggiamento, che si evolverà dalla classicissima Bastard gun fino ad armi di provenienza militare. Per poter ovviare alla possibilità di superare un altissimo numero di livelli senza sparare un colpo, è stato aggiunto un limite massimo al numero di munizioni trasportabili. Questa scelta fa sì che il giocatore sia costretto a sparare in maniera cauta in tutti i livelli. Importante è anche la costrizione ad usare armi di tipologia differente.
Il tentativo di spostarsi verso un mondo più aperto appare molto chiaro negli ultimi livelli di Metro: Last Light. L’esplorazione sotto questo punto di vista è molto immersiva, ma spesso dispersiva. Si perde alle volte infatti quella sensazione quasi cinematografica della mano che ci guida attraverso il percorso prestabilito. Dal trailer e dagli annunci di Metro: Exodus possiamo chiaramente capire come l’intenzione sia spostarsi verso un vero e proprio open world. Questo genere, per quanto inseritosi ultimamente di prepotenza, alle volte risulta esageratamente dispersivo. Una delle caratteristiche principali di Metro in entrambi i suoi capitoli invece è proprio la sinteticità. Tra tutto infatti ci ritroviamo ad avere sì e no trenta ore di gioco comprendendo entrambi i capitoli. Trenta ore di gioco piene e mai noiose però, dove ogni singola azione conta ed è comunque possibile perdersi nell’esplorazione degli interminabili tunnel sotterranei. Occorre quindi sperare che questo cambiamento non denaturi troppo la serie.
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