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Metalcore: guida all’ascolto oltre i pregiudizi

Published by
Simone Barondi

Metalcore

Talvolta succede che una certa scena musicale divida il pubblico di ascoltatori in fanboys poco obiettivi e detrattori intransigenti, generalmente a causa di alcuni luoghi comuni e giudizi banali di cui si carica nel corso degli anni. Paradossalmente, questa tendenza può essere in parte imputata agli stessi artisti o band che hanno permesso lo sdoganamento del genere stesso: in parole povere, questo significa renderlo famoso e allo stesso tempo condannarlo per sempre. Dev’essere successo proprio questo quando, a cavallo fra il 2003 e il 2005, il termine metalcore ha iniziato a diventare noto presso il grande pubblico dopo l’uscita dei primi singoli di band quali Killswitch Engage e Bullet For My Valentine: in poco tempo questi gruppi hanno raccolto numerose schiere di ascoltatori e, al contempo, innumerevoli critiche da parte di ascoltatori di musica hardcore-punk e di amanti del metal, rei di avere ammorbidito e banalizzato entrambi i generi. Effettivamente è facile intuire, dal portmanteau che costituisce il nome del genere, le correnti musicali a cui esso attinge: hardcore-punk anni ‘90 e heavy metal. La sua reale origine e la qualità che lo ha contraddistinto prima di diventare un genere mainstream sono invece, purtroppo, sconosciute a molti (triste sorte di cui ha sofferto anche il suo “cugino” emocore). Liberarsi dei molti pregiudizi che ruotano intorno al termine metalcore permette di riscoprire gruppi di grande valore che hanno contribuito a sviluppare il genere a cavallo tra la fine degli anni ‘90 e i primi anni duemila.

Lo sviluppo del genere

I primi tentativi di unire la velocità dell’hardcore-punk con la potenza granitica del metal sono da ricercare negli anni ‘80: gruppi statunitensi come Corrosion of Conformity, Dirty Rotten Imbeciles e Stormtroopers of Death hanno unito sonorità hardcore e thrash metal, influenzati da band hardcore particolarmente violente come Big Black e Bad Brains, e gruppi thrash quali Metallica e Anthrax. Il genere musicale originato da questa commistione, definito crossover thrash o thrashcore, sebbene molto distante dai canoni del metalcore ne ha costituito una delle principali influenze.

Brano tratto dall’album Crossover, che ha dato il nome al genere

È a metà degli anni ‘90 che alcuni gruppi iniziano a gettare le vere e proprie basi del genere e a definirne le sonorità: pionieri quali Integrity, Earth Crisis e i ben più noti Converge iniziano a suonare un hardcore con pesanti influenze metal, ma lo fanno in modo diverso: canto urlato, metriche singolari ai limiti del math-rock, cambi di tempo frenetici e i famosi breakdown, ovvero rallentamenti al centro dei brani nei quali il ritmo assume una cadenza quasi marziale (caratteristica di cui abuseranno fino alla nausea i gruppi dell’ondata mainstream). Spronate da questo rinnovamento, nella seconda metà del decennio fanno capolino altre band seminali, alcune trascinate da etichette come Hydra Head Records e Relapse che da qualche anno si sono rese protagoniste assolute della scena hardcore e postcore. Fra queste, quelle che hanno maggiormente lasciato il segno sia per qualità che per capacità di definire le sonorità del genere a venire sono probabilmente Botch, Shai Hulud, Coalesce, The Dillinger Escape Plan, Knut e i primi Hatebreed. Band unite da un denominatore comune ma, al contempo, piuttosto differenziate nelle tematiche e nelle sonorità.

Discografia consigliata

Shai Hulud – Hearts Once Nourished With Hope and Compassion (1997)

Hardcore-punk influenzato tanto dal metal quanto dall’emocore anni ‘90, la musica degli Shai Hulud è una confessione violenta e disperata al contempo. Il gruppo mette rabbia, paura ed emozioni sul piatto senza timore, alternando momenti di violenza ad attimi di rassegnata disperazione, sia sul piano musicale che su quello dei testi, che trattano temi quali misantropia, odio e amori falliti. I brani alternano riff emocore a deraglianti bordate hardcore-metal e irrompenti breakdown, senza mai calare di intensità e toccando vette massime in brani come My Heart Bleeds the Darkest Blood e This Awake I Myself Have Stirred. Uno dei primi dischi a essere definiti metalcore eppure già completo e maturo nelle sue diverse ma ben amalgamate sfumature.

The Dillinger Escape Plan – Calculating Infinity (1999)

I Dillinger Escape Plan sono sicuramente una delle band tecnicamente più raffinate e complesse dell’intera scena metalcore, tanto che il loro genere viene definito spesso mathcore, ovvero hardcore in cui le strutture ritmiche complesse e i continui cambi di tempo rappresentano l’aspetto predominante. Nonostante questo, in nessun momento durante l’ascolto del disco si avverte la sensazione che la musica sia fredda e puramente calcolata: i brani sono un crescendo di intensità, anche grazie allo screaming esasperato di Dimitri Minakakis che recita con aggressività i suoi testi estremamente oscuri e criptici. A causa della loro originalità e delle influenze metal particolarmente spinte (in particolare dal death metal di gruppi come Carcass e Morbid Angel) i Dillinger Escape Plan sono stati largamente apprezzati anche da amanti del metal estremo e sono una delle band che ha maggiormente resistito alla prova del tempo.

Botch – We Are the Romans (1999)

I due full-lenght dei Botch, pubblicati dalla Hydra Head Records, rimangono tra le vette più alte del metalcore tutto. Mentre American Nervoso, uscito un anno prima, era carico di una violenza più diretta e primitiva, We Are the Romans porta all’estremo la rotta intrapresa nel precedente full-lenght: l’ascoltatore si trova continuamente trascinato da metriche strampalate e cambi di tempo improvvisi e violenti. Una forte componente mathcore che è però differente da quella dei già citati Dillinger Escape Plan: più caotica, violenta, carica di una follia lucida e al contempo visionaria. Un turbine caotico e roboante ma, al contempo, opera di un disegno intelligente: ogni nota è perfettamente cesellata, ogni cambio di ritmo è funzionale alla struttura del brano e non suona mai pretenzioso o fuori posto. Forse uno degli album più sociali e politicizzati del genere, We Are the Romans è un teatro del grottesco che mette a nudo gli aspetti peggiori e controversi della civiltà umana, vista dal gruppo come una nuova Roma prossima alla caduta.

Converge – Jane Doe (2001)

Uscito a sette anni di distanza dallo storico esordio, Jane Doe non è solo il disco della maturità artistica dei Converge: è uno dei manifesti del genere e forse uno degli album più significativi dei primi anni ‘00. Jane Doe è un concentrato di furia cieca, disperata, che tratta in modo estremamente cupo e personale il tema della rottura di una relazione sentimentale. La struttura ritmica dei brani è violenta, martellante, fatta di percussioni ossessive e riff di chitarra distorti e monolitici sopra i quali si erge lo screaming acuto e distorto del cantante. Durante la registrazione dell’album, il cantante Jacob Bannon stravolge i testi scritti e quasi improvvisa, urlando al microfono la propria rabbia e la propria disperazione. Testi che, nel booklet dell’album, appaiono volutamente incompleti, come se fossero stati strappati, deturpati, resi quasi illeggibili dalla stessa furia iconoclasta che Bannon ha buttato nelle dodici tracce di questo capolavoro.

Altri dischi consigliati

Integrity – Humanity Is the Devil (1995)

Coalesce – Give Them Rope (1997)

Knut – Challenger (2002)


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