Come più volte abbiamo avuto modo di osservare, l’impatto mediatico di ciò che avviene o che viene diffuso su Facebook è disarmante. Sicuramente, coinvolgendo venti miliardi di persone, possiamo dire non imprevedibile. Un argomento in particolare, in questi giorni, sta facendo tanto discutere addirittura da stimolare una proposta legislativa come quella di Fiano: se ancora non fosse chiaro il fatto è quello di Gianni dello stabilimento balneare Punta Canna, la tematica sottesa quella del fascismo. Questa particolare vicenda ha riportato in auge lo storico e contrapposto binomio fascisti – antifascisti e ciò lo si può osservare, come poco fa accennato, appunto su Facebook. Anzi, essendo ormai decorso più di mezzo secolo dai noti fatti storici, sarebbe più opportuno parlare di neo parafascisti e riscoperti oppositori. Questo perché nessuno o, almeno quasi nessuno, può attualmente dire di aver vissuto gli anni del totalitarismo, riducendo l’attuale dibattito politico allo scontro tra due estremi che, come tali, finiscono con l’incontrarsi. In Italia vi è un’apposita sanzione penale per l’apologia del fascismo, quella stabilita dalla Legge Scelba, ossia la legge n. 645 del 1952.
Appare innanzitutto necessario delimitare il contesto storico in cui la legge è stata concepita ed ha poi avuto origine. Successivamente alla caduta del regime fascista, è stata prevista dall’assemblea costituente una particolare disposizione finale all’interno della Costituzione italiana, la numero XII, che prevedeva il divieto di ricostituzione del decaduto partito fascista. La stessa, inoltre, prevedeva una temporanea deroga alla libertà politica sancita dalla stessa Carta, imponendo un divieto soggettivo, in capo ad ex membri del partito fascista, di ricandidarsi alle elezioni. Gli anni successivi alla Costituzione sono stati caratterizzati da una particolare instabilità politica, un centrismo che si sentiva sempre più minacciato dalle contrapposte idee di destra e sinistra, nonché dai vari gruppi popolari nascenti e contrari al sistema democratico.
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In questo momento storico, l’allora governo De Gasperi incaricò un’apposita commissione di redigere un’apposita normativa per tutelare la sicurezza dell’appena ritrovata democrazia. Capo di questa commissione e promotore della futura legge che porta il suo nome fu Mario Scelba. Notoriamente anticomunista ed antifascista, nonché ministro dell’interno, divenne allora, grazie anche a questa legge, uno dei personaggi storicamente più importanti dell’epoca moderna.
Il 21 giugno 1952 venne appunto promulgata detta legge che prevedeva l’attuazione della suddetta disposizione finale della Costituzione. In particolare, questa legge prevede all’articolo 1 la punibilità di chi tenta la ricostituzione del partito, all’articolo 4 la punibilità di chi, in un’associazione di almeno cinque persone, persegua finalità tipiche del disciolto partito fascista diffondendolo o esaltandolo, contrastando i valori della democrazia o svolgendo propaganda razziale. Inoltre punisce, nel medesimo articolo, l’esaltazione di figure, principi e metodi del partito o manifestazioni di carattere esteriore. Appunto quest’ultima disposizione, quella contenuta nell’articolo 4, è stata oggetto sin dalla sua costituzione di numerose critiche che hanno portato a sollevare la questione di illegittimità costituzionale della stessa. Il punto critico era dato dal contrasto con l’articolo 21 della costituzione ovvero la libera manifestazione del pensiero.
La Corte Costituzionale, dopo aver specificato che la stessa legge altro non era che l’attuazione di quanto previsto dalla stessa costituzione, è intervenuta definendo in maniera più esplicita il campo di applicazione dell’articolo 4. La Corte ha precisato che non è punita la difesa elogiativa del partito fascista, ma piuttosto quelle condotte di esaltazione, tali da poter condurre ad una riorganizzazione del partito stesso. Parimenti viene sanzionato chi indirettamente istiga un fatto potenzialmente idoneo a questa riorganizzazione. Con queste premesse e limitandosi a questa specificazione, la Corte bocciò la questione di incostituzionalità, ed attualmente le sanzioni previste sulla base della legge Scelba sono la multa fino a 500€ e la reclusione fino a due anni.
Quanto detto in apertura non è che la punta dell’iceberg di una serie di eventi sparsi per tutta l’Italia negli ultimi decenni. Vari episodi si sono infatti susseguiti, limitati più che altro alla stampa locale, circa condotte di dubbia legalità al confine con il reato di apologia. Tali eventi non si traducono solo in saluti romani, che la Corte di cassazione ha contraddittoriamente vietato e successivamente consentito come semplici forme di commemorazione, ma soprattutto sulla diffusione di souvenir ispirati al ventennio. Questi ammennicoli, infatti, non si limitano ad essere perfetti souvenir da gita delle medie, ma in alcuni casi, come sollevato nel 2015 da una coppia di cittadini statunitensi in vacanza a Rimini, risultano offensivi per la memoria dei familiari delle vittime della II Guerra Mondiale.Altro campo scoperto, chiaramente non per colpa del legislatore dell’epoca, è quello del web. Diversi parlamentari, di vari partiti politici, hanno sollevato proteste e addirittura interrogazioni parlamentari come quella posta nei confronti del Ministro Alfano dai parlamentari Paglia e Maestri. Oggetto di queste rimostranze è l’inadeguatezza della legge del ’52 alle nuove problematiche di inneggiamento ed esaltazione che vengono liberamente riversate nei vari social network o, più in generale, nei siti web. Appunto tali basi, oltre che un ammonimento della Commissione Europea, hanno fornito terreno fertile per una proposta di legge promossa dal parlamentare Emanuele Fiano.
Oggetto della proposta è la modifica del codice penale, tramite l’inserimento di un apposito articolo, volto a sanzionare la propaganda fascista. Questo articolo individua, come soggetto punibile, chi propagandi immagini, gesti o simboli riconducibili al partito fascista italiano ovvero al partito nazionalsocialista tedesco. Le premesse sembrano quelle del reato di apologia, tuttavia la particolarità della proposta sta nell’includere nelle condotte illecite la produzione, la distribuzione e la vendita di prodotti recanti immagini, simboli, gestualità chiaramente riferiti ai predetti partiti. Pena prevista, in queste ipotesi, la reclusione da sei mesi a due anni con l’aggravante, appunto, per il web.
La principale problematica che si prospetta è la medesima che ha infiammato il dibattito sulla legge Scelba: l’ipotetica incostituzionalità. Appare necessario, quindi, escludere l’incostituzionalità di questa proposta che in primo luogo parrebbe in contrasto con la libera manifestazione del pensiero. Utilizzando come parametro la decisione della Corte in merito alla legge Scelba, possiamo affermare che la punibilità non è collegata all’ideologia, al mero pensiero, bensì al potenziale pericolo di riorganizzazione del partito fascista. Un reato quindi di pericolo, destinato a salvaguardare anticipatamente il bene giuridico tutelato che, in questi casi, è la Repubblica.
Nel nostro ordinamento vi è un principio cardine: per giustificare una sanzione grave come la privazione della libertà personale, è necessario che il reato sia realmente offensivo, cioè lesivo o potenzialmente lesivo di un bene giuridico oggetto di tutela. Solo allora la privazione della libertà sarà giustificata e potrà permettere il fine ultimo della pena: la rieducazione del condannato. Al contrario, in assenza quindi di una lesione, il condannato non potrà beneficiare dell’utilità sociale della pena che, nel nostro sistema, non è meramente punitiva.
Questa proposta, per quanto giusta ed in linea con le pericolose tendenze odierne, rischia di oltrepassare tale limite. Per una sua attuazione sarà quindi necessario incentrarla non sulla punibilità del semplice pensiero, cosa peraltro impossibile, ma sulla prevenzione attraverso il reato di pericolo. Appare, d’altro canto, ingiustificata l’assenza di un’apposita previsione di legge interna al codice penale, ed effettivamente, risulta particolarmente ostica l’applicabilità attuale basata su una legge del 1952, in particolare nel campo delle nuove tecnologie.
Una revisione ed un’attualizzazione della materia, dunque, non sono sbagliate, ma quasi sicuramente, date le premesse, questa proposta porterà ad un dibattito circa la costituzionalità delle stesse. L’ultima parola spetterà, allora, alla Corte, che potrebbe essere chiamata a valutare se vi sarà o meno una violazione, se la Costituente intendeva in origine limitare la libera opinione in questo senso.
Se da un lato l’attuale situazione in cui chiunque sul web può esprimere la propria opinione in qualunque modo, anche poco ortodosso, è la più grande sconfitta dell’ideologia totalitarista del ventennio, da un altro è giusto pensare alle parole di Matteotti: «Qui non si tratta di reati di opinione perché il fascismo non è un’ideologia, è un crimine».
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