La presidenza Chavez è durata dal 1999 fino alla morte del presidente avvenuta il 5 marzo 2013, con una breve parentesi di tre giorni legata al golpe Carmona Estanga dell’aprile 2002. La carriera politica di Hugo Chavez prende le mosse dall’ambito militare e dal movimento bolivariano nato all’interno delle file dell’esercito, il quale si rifà storicamente all’opera di Simon Bolivar. Sull’onda della rivoluzione francese, il rivoluzionario sudamericano fomentò una serie di rivolte nell’America meridionale, le quali portarono all’indipendenza di diversi stati situati nel nord del continente (Venezuela, Perù, Bolivia, Panama e via dicendo), che egli volle riunire nella federazione della Gran Colombia, un progetto che si dissolse poco dopo la sua morte nel 1830.
Il movimento bolivariano prende molta della sua ideologia dagli scritti di Gramsci e da quelli di Negri, nonché dall’azione dello stesso Bolivar e dell’ex presidente peruviano Alvarado, assumendo così i connotati di una dottrina nazionalista di sinistra. Nel 1983 nasce il Movimento Bolivariano MBR-200, composto prevalentemente da cadetti dello stesso anno di corso di Simon Bolivar all’accademia militare. Nel 1989, le proteste contro il carovita (il c.d. Caracazo) mettono in seria difficoltà il governo di Carlos Perez, che dà l’efferato ordine all’esercito di sparare sulla folla. Il reparto comandato da Chavez si rifiuta di eseguire gli ordini, senza che venissero poi presi provvedimenti nei suoi confronti. In seguito a questo rifiuto, Chavez inizia a farsi conoscere come amico del popolo presso l’opinione pubblica.
Nel 1992 il colpo di stato bolivariano fallisce. Chavez viene incarcerato insieme ai suoi compagni, ma viene liberato dopo due anni grazie ad un’amnistia, sebbene sia costretto a lasciare il suo ruolo nell’esercito. Già nei due anni di prigionia inizia a prendere corpo la sua carriera politica, che nel 1998 si concretizza con la sua candidatura alla presidenza del Venezuela. Vince la corsa elettorale l’anno seguente, andando al governo con una piattaforma populista di sinistra portata avanti grazie al partito Quinta Repubblica. Uno tra i primissimi atti è quello di indire un nuovo referendum sulla stesura di una nuova costituzione, il quale supera l’80% dei consensi e autorizza l’assemblea costituente (formata da una seconda consultazione elettorale che Quinta Repubblica dominò con oltre il 60% delle preferenze) a stendere una nuova costituzione, che con al centro i diritti umani e alcune altre modifiche all’assetto costituzionale. Nel corso del processo di revisione costituzionale, il Venezuela cambia nome in Repubblica Bolivariana del Venezuela.
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Nel corso del secondo mandato l’opposizione non subisce particolari repressioni, anche se si registrano diverse lamentele riguardanti le regolarità dell’applicazione della costituzione. Altre lamentele vengono dal settore dell’educazione, data la riforma in senso propagandistico che Chavez implementò nel corso del primo mandato. Nell’aprile del 2002, un gruppo di militari attacca il palazzo presidenziale instaurando un nuovo governo e imprigionando Chavez per tre giorni, al termine dei quali il governo viene rovesciato grazie all’aiuto di un reparto di paracadutisti inviato da Maracaibo, che porta Chavez di nuovo al palazzo presidenziale. Il terzo mandato si apre con le grandi nazionalizzazioni dei settori strategici, che fanno scivolare il paese nel socialismo reale e lo porteranno a breve nella crisi economica più nera.
In politica estera spesso Chavez rappresenta una voce contraria al Washington Consensus, ponendosi spesso in rotta di collisione con Washington e il blocco occidentale. Per contro, sviluppa forti legami sia economici che politici con Iran, Cuba e la Bolivia di Morales, spesso concretizzatisi in accordi di cooperazione militare ed economica. Stringe rapporti piuttosto forti anche all’interno dell’OPEC (Organization of Petroleum Exporting Countries), organizzazione che cerca di rafforzare soprattutto in chiave antistatunitense.
Chavez spira il 5 marzo 2013, in seguito alle complicanze di una polmonite, aggravata dalla debolezza dovuta alle cure contro il tumore alla prostata che gli fu diagnosticato nel 2011. Al suo posto il presidente diventa Nicolas Maduro, già indicato dal leader bolivariano come suo successore nel 2012. Sotto la presidenza Maduro, le politiche economiche implementate non differiscono molto da quelle del suo predecessore: prosegue la nazionalizzazione dell’economia e la sua statalizzazione. I problemi economici legati alle politiche sconsiderate di Chavez, tuttavia, non tardano ad arrivare.
Sin dall’inizio della sua presidenza, Maduro ha dovuto fare i conti con una recessione economica che con l’andare del tempo si è trasformata in una vera e propria depressione, talmente grave da far mancare i beni di prima necessità, rendendo necessari i razionamenti. Maduro ha rivolto le accuse per l’attuale stato di cose agli Stati Uniti e alle speculazioni finanziarie proprie del capitalismo, tratteggiando con i suoi discorsi i contorni di una cospirazione finanziaria internazionale volta a danneggiare il Venezuela.
La verità, come emerge dalle testimonianze provenienti dall’interno del paese e dai dati elaborati al di fuori di esso, risulta essere leggermente diversa. Se da un lato l’abbassamento del prezzo del petrolio (frutto della guerra commerciale tra Arabia Saudita e Golfo Persico) ha privato il Venezuela di diverse risorse, dall’altro l’allocazione di tali risorse è stata sfruttata piuttosto male: il budget per la difesa è aumentato notevolmente a scapito delle risorse occupate per l’economia civile e l’industria leggera, mettendo di conseguenza in difficoltà la popolazione. Il Venezuela ha ottenuto il ben poco lusinghiero primo posto nell’Indice di Miseria mondiale per ben quattro anni di fila (2013, 2014, 2015, 2016).
Nel 2015, durante il voto legislativo, l’opposizione si fa forte dello spirito delle rivolte del 2014 per ottenere la maggioranza in parlamento, immediatamente revocata dalla Commissione Elettorale che contesta l’accusa di brogli in determinate province e toglie alcuni seggi riassegnandoli ai bolivariani. Uno dei peggiori problemi del Venezuela è il rapporto con la democrazia, influenzato dai precetti della filosofia politica bolivariana, più improntata all’autoritarismo di stampo socialista che ad un sano rapporto democratico con le forze politiche. In quasi vent’anni il regime ha espanso i suoi tentacoli su tutte le fonti d’informazione interna e, conseguentemente, anche il processo democratico non si sviluppa nel migliore dei modi.
A livello economico, da almeno due anni a questa parte il Venezuela sta cominciando a soffrire anche di iperinflazione: per ripagare i debiti e consentire ai cittadini di acquistare beni e servizi i cui aumenti continuavano da anni, Caracas applicò già durante il secondo mandato di Chavez una politica monetaria espansiva. In sostanza, il governo stampava moneta senza un criterio preciso, diminuendo il suo valore e contribuendo all’impennata dei prezzi che il paese registra da due anni a questa parte. Per rendere l’idea di come il Bolivar si stia comportando, se durante l’elezione di Maduro per comprare un dollaro erano necessari 75 Bolivares, oggi ne servono quasi 8.000 (questo secondo il cambio ufficiale, ma la cifra al mercato nero raggiunge i 10.000).
Tale stato delle cose permea la vita dei venezuelani: la salute dei cittadini è messa a repentaglio dalla mancanza di medicinali e di forniture mediche, che ha costretto gli ospedali a fermarsi. I cittadini più abbienti riescono a farsi operare in Colombia o a Cuba, mentre gli altri ricorrono all’acquisto di medicinali presso il mercato nero. Con l’economia che versa in tali condizioni, la formazione spontanea di un mercato al di fuori dei circuiti legali è praticamente una certezza. A causa della mancanza di medicinali, le fasce più deboli della popolazione sono particolarmente a rischio: secondo l’ONU ogni giorno muoiono 30 bambini per infezioni intestinali e dissenteria.
Per dare una scossa, Maduro ha messo al lavoro una nuova assemblea costituente che, dopo nemmeno vent’anni dall’ultima costituzione, dovrebbe dare un colpo di spugna alla situazione e farla ripartire da zero. Oltre a questo, naturalmente, Maduro intende cancellare ogni tipo di opposizione, azzerando ogni possibilità di contraddittorio nei confronti dell’esecutivo. Visto lo stato delle cose e la percentuale di cattolici nel paese (oltre il 90%), si è mossa la Santa Sede, che attraverso una lettera firmata dalla conferenza episcopale del paese prega di mantenere intatto il bilanciamento dei poteri, ma soprattutto di non intaccare l’equilibrio democratico del paese e di porre fine alle violenze che si sono registrate negli ultimi giorni a Caracas. Larga parte dei commentatori internazionali individua come definitivo punto d’arrivo di questa fase la costituzione di un governo eterno sullo stile di quello castrista.
La nuova costituzione, secondo Maduro, dovrebbe rimettere in carreggiata il paese cancellando gli errori fatti con un colpo di spugna. Peccato che un paese non sia una lavagna. Esistono debiti da ripagare, che in caso di fallimento metteranno a repentaglio la credibilità economica del paese per i decenni a venire: provate a pensare a come reagireste se, ad esempio, l’azienda per cui lavorate decidesse di investire parte dei propri asset in titoli di stato Argentini. Eppure, la crisi che ha visto l’Argentina fallire è vecchia di oltre 15 anni. Inoltre, il tessuto sociale del paese è oramai dilaniato sia dalle difficoltà nel reperimento delle risorse, che da un costante rifiuto del dialogo da parte del governo nei confronti delle opposizioni. Anche con una costituzione redatta in senso maggiormente democratico (eventualità ben lontana dal verificarsi), il Venezuela avrà bisogno di molto tempo e molto lavoro per potersi riprendere da questi ultimi vent’anni, e il futuro per quella che Vespucci chiamò “Piccola Venezia” sembra sempre meno roseo.
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