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Rinascimento e polifonia: gli anni dell’innovazione

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Matteo Petroncini

  Chi considera le arti come compartimenti stagni non collegati commette un grande errore. Per esserne sicuri basta vedere cosa è successo a partire dal quindicesimo secolo nella nostra penisola. Quel processo che a partire dagli ultimi anni del medioevo per poi continuare dopo il 1500 e che prende il nome di Rinascimento ha determinato un’evoluzione di tutte le tecniche sia scientifiche che artistiche senza distinzione. Molto spesso si tende ad esaltare questo periodo contrapponendolo al più buio medioevo: in realtà l’unica differenza è solamente formale, infatti le tecniche e le tecnologie non hanno determinato grandi progressi a livello contenutistico. Pensiamo infatti che in letteratura il medioevo ci ha regalato Dante, mentre il rinascimento Poliziano e Pulci, grandissimi artisti ma non essenziali come il Divin Poeta. Inoltre, bisogna anche dare i dovuti meriti al sistema feudale, che permetteva una grande diffusione delle arti anche tra la gleba; bastava infatti andare in una chiesa per vedere le ultime innovazioni in campo architettonico-figurativo, o per accrescere la propria cultura musicale.

Dal punto di vista musicale, il rinascimento ha portato però a una svolta che non c’è stata in altre culture: ha permesso di svincolarsi dal materiale liturgico e progredire verso forme più complicate. In realtà sarebbe meglio dire che ha permesso di elaborare il materiale liturgico, infatti tutt’ora la musica rimane legata al gregoriano. Come nell’invenzione della prospettiva, anche nelle messe cantate piano piano si è iniziato a dare un senso di profondità. In che modo? Con la polifonia. Infatti uno studio sempre più raffinato dell’intreccio delle voci per contrappuntare il gregoriano (dove il contrappunto è l’arte dello scrivere per più voci) ha portato alla nascita di alcuni dei capolavori della cultura occidentale. Nel rinascimento non c’è stata (almeno in questo caso) un’opposizione al medioevo oscurantista e religioso, bensì un’esaltazione con tecniche e tecnologie più avanzate. Altre culture non hanno permesso di mettere mano sul materiale religioso e per questo non è stato possibile per loro accedere all’universo che la musica poteva offrire.

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Dopo che diversi artisti si erano sporcati le mani con l’elaborazione di brani polifonici, nelle Fiandre un gruppo di compositori, avvalendosi delle scoperte dei predecessori, ha per la prima volta dato un senso alla parola polifonia. Tra questi compositori (se già li possiamo chiamare così) i più importanti sono Dufay, Ockeghem e Josquin Desprez; di fatto il loro vanto è stato quello di riuscire a fare sì che più voci creassero delle consonanze pur mantenendo la loro indipendenza. Per chi ha dimestichezza con le partiture, si dice che nel buon contrappunto la verticalità non deve far venire meno l’orizzontalità della parte.

Il primo dei tre compositori era figlio illegittimo di un prelato. Durante la sua vita ha ricoperto numerose cariche e come gli altri due non esercitava solo le sue doti musicali, ma partecipava agli eventi istituzionali ed esercitava un discreto ascendente sui potenti. Passò spesso per l’Italia: dopo il concilio di Costanza, nel quale aveva ricoperto il ruolo di accompagnatore del cardinale d’Ailly, conobbe Carlo Malatesta. Dopo un soggiorno a Rimini e Pesaro, dove compose le musiche per le nozze di Cleofe Malatesta con Teodoro II Paleologo, tornò a Bologna dove fu ordinato sacerdote. Godeva in generale di una grande importanza musicale nella penisola: all’apice della sua carriera fu in continui contatti con la cappella papale, e scrisse il mottetto Nuper rosarum flores per l’inaugurazione di Santa Maria del Fiore a Firenze.

Diversa è la situazione per quello che riguarda Ockeghem. Di lui infatti si sa pochissimo, ma la sua importanza nel panorama musicale è indubbia. Sono arrivate ai giorni nostri 14 messe, 9 mottetti e 21 chanson. Ha scritto anche il primo requiem della storia della musica. Una volta morto il giovane Josquin Desprez, comporrà uno dei brani più commoventi mai scritti, la Déploration de la mort. In questo mottetto a cinque voci, quattro delle quali intonano un testo sulle ninfe dei boschi addette a traghettare l’anima del compositore, il tenore canta il requiem gregoriano. Persino Erasmo da Rotterdam scriverà un lamento per la sua morte.

Josquin Deprez rappresenta forse il più grande dei tre, tanto che, come Leonardo, spesso viene ricordato semplicemente col nome. La sua bravura ha fatto della sua musica una sintesi di tutto ciò che lo ha preceduto, ma allo stesso tempo è proiettata verso un tipo di sonorità avanguardistiche. Per la messa Ercules dux Ferrariae ha usato un tenor tratto dal nome del Duca Ercole I d’Este, padre di Isabella.

Per quanto siano solo gli amanti della musica rinascimentale a conoscere questi compositori, e la loro musica non sia molto fruibile nelle serate dei teatri, essi trovano spazio nella tradizione musicale liturgica, e per tanto sarà possibile sentire le loro composizioni eseguite in alcune chiese. La poca diffusione non rispecchia però la loro importanza nel panorama musicale: i fiamminghi infatti saranno maestri dei più grandi compositori che seguiranno, il più famoso dei quali sarà Palestrina.

Oggigiorno questo tipo di musica appare lontano per la maggior parte degli ascoltatori. In parte è vero, dato che ai tempi vigeva una concezione della musica legata al testo, per cui la voce che intonava una determinata parola plausibilmente doveva ripetere lo stesso “temino” (il cosiddetto motivo-parola). Il legame con il testo e la divinizzazione del gregoriano non tolgono però un aspetto fondamentale che deve farci amare questo genere musicale, cioè il voler concordare le diverse voci affinché insieme producano un unico risultato. Di questo infatti si tratta quando parliamo di contrappunto: il molteplice che tende all’unità, e come nella filosofia anche l’estetica umana percepisce questo fondamentale concetto, traendo piacere dalla speranza che dal caotico individualismo si possa, anche fuori dal coro, raggiungere la perfezione come collettività.

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