Il ritiro e il dietrofront
Lo scorso 18 luglio, appena otto giorni dopo essersi legato per un anno all’Hellas Verona, Antonio Cassano ha annunciato il suo ritiro. Il tempo di scegliere il numero di maglia – il suo consueto 99 – e di raggiungere i nuovi compagni al ritiro di Primiero San Martino; il tempo di qualche sessione di allenamento in cui «il comportamento di Antonio è stato impeccabile», a dire del DS Fusco, e un paio di amichevoli promettenti. Dice di essere stanco, di non essere più in grado di tenere i ritmi e di reggere lo sforzo fisico; dice, soprattutto, che gli manca Genova e la sua famiglia. Un incredibile revival: come un brasiliano di trent’anni fa, Cassano si ritira dal calcio causa saudade. Mister Pecchia gli parla, prova a farlo ragionare, a convincerlo a cambiare idea, ma la scelta è fatta e definitiva. Si informa la società della decisione del giocatore. Setti gli telefona e gli manda un lungo messaggio, mentre dietro le quinte si mette in contatto con l’unica persona in grado di parlare al cuore di Antonio.
Intanto, la notizia ha iniziato a diffondersi e sul web già si parla dell’addio di Cassano. Per l’ufficialità si attendono solo la conferma del giocatore e il comunicato del Verona. Quello che ancora nessuno può sapere è che la moglie Carolina Marcialis – pallanuotista tornata al professionismo proprio quest’anno – è partita qualche ora prima da Genova coi figli al seguito, convocata dalla società, e ora sta parlando con Antonio. Basta poco, una frase, quella che tocca le corde giuste, per convincerlo a non mollare: «Io e i bambini non ce la facciamo a non vederti giocare». In hotel, lacrime di commozione e abbracci emozionati. Negli uffici della società, preghiere e sospiri di sollievo. Nella conferenza stampa delle 16 dovrebbe parlare Heurtaux, ma davanti ai microfoni si presenta Cassano. Con un gigantesco sorriso stampato sul volto, annuncia di voler restare all’Hellas e ringrazia la società per aver convocato la sua famiglia. Dice che mollare sarebbe stato l’errore più grosso della sua vita (insomma, dice quasi così). Poi parla direttamente ai tifosi, per scusarsi: «Non siate seccati» dice loro, «con due o tre giocate, vi faccio dimenticare tutto questo casino».
Trattamento speciale
Tutto perdonato, tutto dimenticato. Nella stessa conferenza stampa, Fusco ne tesse le lodi, dicendo di averne conosciuto la «sensibilità straordinaria» e lo «straordinario modo di fare». Descrive un uomo ben inserito nel nuovo gruppo, conquistato con la simpatia e l’ironia che lo contraddistinguono. Dice che cambiare idea ha richiesto grandissimo coraggio. Tutte belle parole, che ribadiscono la fiducia di una società pronta ad accompagnarlo in questo nuovo percorso.
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Nell’idilliaco panorama di ritrovata serenità, però, ciò che dovrebbe saltare all’occhio è che non stiamo parlando di un ragazzino – anzi, col passare degli anni, ai giovani calciatori viene chiesto in sempre più tenera età di imparare a tenere un atteggiamento professionale – ma di un uomo di trentacinque anni. Non di un trasferimento intercontinentale, come quelli che spezzavano il cuore dei prospetti brasiliani sul finire del secolo scorso, ma di una distanza percorribile approssimativamente in tre ore e mezza. Non di una separazione definitiva o a lungo termine, dal momento che già nei giorni scorsi era stato riportato che la moglie stava cercando casa a Verona. Perciò per quale motivo a Cassano è stato non solo concesso di comportarsi in modo tanto avventato, ma è stato addirittura lodato quando riportato all’ordine? Per quale motivo per convincerlo a rispettare i termini sottoscritti appena otto giorni prima è stato necessario infrangere le regole del ritiro, concedendogli la presenza della moglie e dei figli?
Gli effetti delle cassanate
Nei suoi diciotto anni di carriera, Cassano ci ha abituati a giocate strepitose, colpi di genio e magie da una parte, e a incomprensibili, reiterate e numerose esibizioni di sregolatezza dall’altra. Tanto numerose da riuscire a conquistare un termine, riconosciuto nel linguaggio comune, che indicasse “marachelle” solo sue. Ci aspettiamo da lui un determinato tipo di comportamento, nel bene e nel male; tanto il numero da campione quanto la lite, la scenata, lo stizzito moto d’orgoglio. Cassano, insomma, ha abituato il proprio pubblico alle cassanate – termine coniato da Capello nel lontano 2002, quando entrambi si trovavano alla Roma.
Ma non è questo il problema più grave. Sia nella stampa che in una buona fetta degli appassionati di calcio, infatti, la tendenza a indugiare nello scandalo, nella notizia che indigna, che schiera, e che crea polemica, è ben nota. Se ne parla per giorni, si prendono posizioni, si inaspriscono i toni e si specula sulle cause e gli effetti dell’accaduto, poco importa se l’accaduto riguardi effettivamente il calcio o soltanto la vita privata del protagonista. Non è nulla di nuovo: il calciatore, in quanto figura riconoscibile, è esposto ad un costante giudizio da parte di chi guarda, sul piano professionale e personale. Il problema sorge invece quando lo stesso modo di porsi nasce nei colleghi e nei datori di lavoro, quando alla cassanata non corrisponde più la tirata d’orecchi, ma il “premio”, come abbiamo visto in questo caso. E non è un problema di sola iniquità di trattamento che potrebbe creare frizioni e tensioni all’interno dello spogliatoio.
Cassano contro tutti
Gli epiloghi, in quasi tutte le squadre per cui Cassano ha giocato, si somigliano molto: liti con i compagni, con gli allenatori, con i dirigenti, seguite dall’inevitabile partenza. Poi Antonio si pente, qualche volta chiede scusa, promette di cambiare. Il ciclo ricomincia, sempre uguale, in una spirale che gli ha causato problemi non solo professionali, ma anche rotture con gli amici più cari. Prendiamo l’esempio di Roma: già nel 2004, il presidente Franco Sensi confessò alle telecamere qualche dubbio sulla permanenza del ragazzo nella capitale. «Non so se lo tengo» disse, «gli ho dato tante possibilità di riscattarsi, ma ci sono problemi caratteriali che non mi aiutano». Due anni più tardi, dopo una lite furibonda con lo stesso Sensi, si rifiutò di scusarsi, incrinando il rapporto non solo con la Roma, ma anche con il grande amico Francesco Totti. Ai tempi, Cassano aveva 24 anni.
Tuttavia, pur con inusuale ritardo, allora per Antonio sembrava ancora potersi prospettare uno sviluppo caratteriale importante per dargli la carriera che il suo talento cristallino meritava – in fondo era appena stato venduto al Real Madrid. Così non fu, e la sua potenziale ascesa fu sempre frenata dal suo comportamento tutt’altro che irreprensibile. Si allontanò dai Blancos per gli screzi con Capello; fu venduto alla Sampdoria, che aiutò a portare in Champions, salvo poi rompere col presidente Garrone, insultandolo pesantemente. Fu poi la volta delle uscite omofobe in conferenza stampa con la maglia della Nazionale («Froci in squadra? Affari loro, ma spero di no») e degli spintoni con Stramaccioni a fine stagione. Non sorprende che abbia rifiutato la Juventus, ed è lui stesso, in un’intervista a Che tempo che fa, a spiegare il motivo: «Li ho rifiutati tre volte. Loro vogliono solo soldatini che rigano sempre dritto, io a volte esco dai binari». Infine, la definitiva conclusione dei rapporti con la Sampdoria, circa un anno fa: con l’arrivo di Giampaolo, che preferisce far giocare i giovani, in rosa non c’è più posto per lui. Ferrero cerca di mandarlo a giocare all’Entella o allo Spezia, ma per Antonio la B non è un palcoscenico adatto. Gli viene addirittura offerto un contratto da dirigente, ma non c’è niente da fare: per tutta la stagione 2016/2017 non vede mai il campo.
Cassano contro… Cassano
La chiamata dell’Hellas sarebbe stata probabilmente l’ultima chiamata per giocare nella massima serie. I tempi in cui Antonio poteva permettersi di giocare a Peter Pan – così lo battezzò Carlo Zampa quando giocava nella Roma – erano ormai conclusi: all’alba dei suoi 35 anni, nulla gli impediva di disputare una o due buone stagioni prima di appendere gli scarpini al chiodo. Ma, appena terminata la solita tiritera di scuse e di promesse, l’ennesimo colpo di scena: nella giornata di martedì 24 luglio, nuovamente, Antonio annuncia il suo addio a Verona e al calcio. Questa volta per davvero. Negli studi di Sky, Setti attribuisce il problema a uno stato mentale del ragazzo, sottolineando quanto fosse stato corretto fino a quel punto sul lato professionale. Su questo restano molti dubbi: un comportamento simile, specie nell’ambito di una società che aveva fatto affidamento su di lui, che aveva puntato molto sul suo arrivo e che non ha larghe disponibilità economiche per sostituirlo in tempi brevi, sembra davvero inaccettabile. All’indomani dell’epilogo di una triste telenovela, resta un comprensibile risentimento tra i tifosi del Verona e grande rammarico negli amanti del calcio in generale. Perché il lato di Cassano che ha prima tenuto in sospeso l’Hellas e ha poi deciso di lasciarlo definitivamente non danneggia soltanto gli altri: è lo stesso che ha bloccato, per tutta la carriera fino agli ultimissimi avvenimenti, il Cassano professionista, concedendogli ben poco di quello che il suo straordinario talento avrebbe potuto permettergli, se solo Peter Pan avesse lasciato un po’ più spazio a FantAntonio.
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