Parlare di videogiochi è diventato più difficile di quanto potesse essere qualche decennio fa. L’evoluzione dei videogiochi non è stata solo tecnica, ma ha fatto sì che ciò che veniva visto come intrattenimento fine a se stesso – e in taluni casi infantile – oggi venga considerato alla stregua di opere cinematografiche, o addirittura superiore, in certi aspetti, ad altre incarnazioni del genio umano. Parlare di videogiochi è oggi un esercizio mentale molto più faticoso e appagante, perché non ci si può più limitare a soffermarsi su quegli aspetti che compongono una tipica recensione: gameplay, trama, grafica, longevità.
Questi elementi, oggi, devono essere analizzati e approfonditi tenendo conto di una costante evoluzione dei metodi comunicativi dei videogiochi. Essi ormai hanno raggiunto una maturità che permette loro di elevarsi a medium espressivo dalle mille sfumature, dalle meccaniche in costante movimento. L’evoluzione dei videogiochi segue ormai quella del pensiero umano, perché – se prima finire un videogioco risultava un compito legato esclusivamente al superamento di livelli o all’uccisione di boss – ora il giocatore non può esimersi dal fare una riflessione più completa su ciò che sta avvenendo sullo schermo: oggi i videogiochi pongono delle domande, anche scottanti, e spetta a noi dare delle risposte convincenti.
Evoluzione dei videogiochi: sale giochi e pensiero univoco
Bei tempi quelli delle sale giochi, luoghi dove il tempo si fermava e che avevano l’incredibile potere di prosciugare paghette senza creare rimorsi o rimpianti. La bellezza dei videogiochi moderni deriva dai giochi arcade di una volta, pezzi di storia che ci facevano volare con la fantasia ma che spesso avevano una controindicazione: il pensiero univoco. Spiegare questo concetto è molto semplice e basterà tornare indietro nel tempo di circa trent’anni. Nei cabinati delle sale giochi di nostra fiducia imperversavano titoli come Space Invaders, Pac Man, Double Dragon, Galaga, Pang e tante altre gemme incastonate nella storia dei videogiochi impossibili da rimuovere.
Alzi la mano chi si è mai domandato: «Gli alieni di Space Invaders da quale pianeta arrivano?» oppure: «Perché Abobo (Double Dragon) è così arrabbiato da volerci spezzare in due?». Il meccanismo dei videogiochi arcade era molto basilare. Se il gioco è difficile, più saranno le monete introdotte nel cabinato, maggiori saranno i guadagni. Il giocatore non aveva spesso il tempo materiale, nel momento preciso della partita, di riflettere sul background dei protagonisti, sui risvolti di un evento su un altro, e neanche era richiesto questo sforzo mentale. L’unico pensiero era quello di arrivare al termine del livello senza morire, per evitare di indebitarsi fino al giorno della pensione: in questo senso possiamo parlare di pensiero univoco, cioè diretto verso una sola direzione.
La stimolazione della fantasia avveniva in un momento successivo, non durante il gioco. Il pensiero, nel momento preciso in cui si prendeva possesso del joystick, era rivolto al superamento degli ostacoli inseriti dagli sviluppatori all’interno del titolo senza che questi permettessero una deviazione, pena una morte prematura e costosa. Supponiamo, poi, che un giocatore più o meno avvezzo alle speculazioni filosofiche volesse davvero capire i significati più profondi di Donkey Kong o di Rainbow Islands. C’erano abbastanza dati per risalire a un intreccio più o meno complesso? No, anzi erano davvero pochi e spesso solo abbozzati, e per una ragione ben precisa: i videogiochi non avevano ancora subito quel cambio di rotta che, invece, si è fatto notare negli anni ’90, con l’avvento delle prime console Sony.
Evoluzione videogiochi: miglioramento tecnico e narrativo
Verso la fine degli anni ’80 il videogiocatore ha iniziato a sentire nuove necessità. Saltare barili e accoppare anatre non era più abbastanza. L’essere umano ha bisogno di stimoli e di motivazioni sempre nuove, e proprio per venire incontro a queste esigenze il videogioco ha fatto un ulteriore passo. Nel 1987 Hironobu Sakaguchi, che diventerà un deus ex machina dell’industria videoludica, ha la brillante idea di inserire una trama complessa in un videogioco, permettendo ai fruitori di avere un motivo per compiere le azioni richieste. Quell’anno esce il primo capitolo della serie Final Fantasy, titolo che cambierà per sempre il concetto di videogioco.
Nel mondo fantastico creato da Sakaguchi, quattro cristalli di potere regolavano i quattro elementi (Terra, Acqua, Fuoco e Vento) diffondendo pace e armonia nel mondo. Quando, tuttavia, quel potere si esaurì, il male prese il sopravvento e le città cominciarono ad andare al collasso. Secondo una profezia, però, quattro giovani eroi avrebbero riportato la pace e la luce. E questo è solo l’incipit del capolavoro targato Square. Finalmente ai giocatori veniva dato uno stimolo per proseguire l’avventura. L’evoluzione dei videogiochi, dunque, corrisponde all’evoluzione delle necessità umane.
Con questo miglioramento narrativo, arrivò anche quello tecnico. Le console cominciavano ad essere più potenti, a fare uso dei CD e non più delle cartucce. Una maggior qualità grafica, però, doveva essere accompagnata da una storia coinvolgente, perché ormai il giocatore medio aveva assunto un ruolo diverso. Un ruolo meno passivo, maggiormente inserito nelle vicende dei protagonisti, tanto da percepire nuove sensazioni: empatia, fastidio, paura, amore. Nascono così giochi come Silent Hill di Konami, che con i temi adulti trattati e la sua nuova prospettiva data al genere horror, ha letteralmente riscritto i canoni dell’avventura dinamica.
La personalità che ha dato un vero scossone alla componente narrativa dei videogiochi è Hideo Kojima, padre della saga di Metal Gear Solid. Il superamento del pensiero univoco è evidente negli scontri con i boss, particolarmente nelle sequenze di gioco che ci vedono impegnati a fronteggiare Psycho Mantis e Sniper Wolf. In questi due casi emblematici, la collaborazione tra pensiero e azione non è impegnata solo nel raggiungimento dello scopo ultimo, cioè vincere lo scontro e andare avanti, ma si lega a un insieme di sensazioni che sono state stimolate dalla perfetta caratterizzazione dei due antagonisti, i quali non sono visti dal giocatore esclusivamente come un intralcio al proseguimento dell’avventura, ma vengono avvertiti come un incentivo narrativo e come strutture portanti dell’esperienza di gioco.
Cancellazione del pensiero univoco
Giungendo a tempi più recenti, nelle ultime due generazioni, l’evoluzione dei videogiochi ha portato alla totale cancellazione del pensiero univoco. La narrativa nei videogiochi è diventata uno dei perni fondamentali tanto da essere spesso fusa al gameplay o addirittura risultare preponderante. I videogiochi hanno subito modificazioni tali che hanno consentito un cambiamento di prospettiva da parte degli addetti ai lavori e, di conseguenza, di coloro che usufruiscono del medium. Cinema e serie televisive sono diventati i punti di riferimento e, come spesso accade, l’alunno ha superato il maestro. Non solo i videogiochi hanno subito e continuano a subire l’influenza delle meccaniche cinematografiche, ma riescono addirittura a portarle a un livello successivo. Durante la visione di un film si è passivi e impossibilitati a decidere le sorti dei personaggi. Il videogioco mette un punto all’obsolescenza di questi meccanismi.
La fusione tra cinema e videogiochi ha prodotto opere del tutto peculiari nel panorama videoludico: da Heavy Rain a Quantum Break, da Beyond: Two Souls a The Wolf Among Us. La contaminazione è ben chiara e gli omaggi si sprecano, basti pensare all’ascendenza che ha David Lynch nel mondo dei videogiochi. Il regista di Twin Peaks, Eraserhead e Mulholland Drive è stato fonte d’ispirazione per Remedy nello sviluppo di Alan Wake, esempio lampante di crossmedialità che lega piccolo schermo, letteratura e videogioco; per Rising Star Games nell’ideazione del plot di Deadly Premonition, horror abbandonato da molti per il suo gameplay “vecchio”, ma pietra miliare nell’indagare l’inconscio.
L’evoluzione dei videogiochi ha prodotto opere capaci di sviscerare qualsiasi tema della società contemporanea. Esempi di questa abilità sono senza dubbio The Last of Us e Deus Ex: Mankind Divided. Nel titolo Naughty Dog, una società ormai in rovina porta gli uomini a un’infame lotta per la sopravvivenza. The Last of Us lo racconta con asprezza, ma anche con intima speranza. Nel titolo Eidos Montréal, invece, un mondo cyberpunk fatto di grande e piccola criminalità altamente tecnologica fa da scenografia al tema della discriminazione, evolutasi anch’essa – come i videogiochi e il pensiero umano, che a volte si evolve in peggio – dando inizio all’era dell’apartheid meccanico.
Se c’è un genere che ha davvero rivoluzionato il modo di concepire i videogiochi è quello che viene indicato come walking simulator. Giochi in cui il gameplay è spesso ridotto all’osso e che, dunque, non hanno altre strade per diventare memorabili se non quella di eleggere la narrazione a sovrano assoluto. In Firewatch, ad esempio, le vicissitudini di un guardaboschi si intrecciano con quelle di una collega con cui intrattiene un rapporto di confidenza attraverso conversazioni alla radio. Il suo “tranquillo” quotidiano si scontrerà con alcuni fatti misteriosi. Una bussola e una mappa cartacea i nostri unici alleati: curiosità e amore per l’esplorazione libera le motivazioni che devono spingere il giocatore ad andare avanti. Quella stessa esplorazione che trova la sua definizione definitiva in The Vanishing of Ethan Carter, titolo in cui Paul Prospero, detective dai poteri sorprendenti, dovrà esplorare la “ridente” Red Creek Valley alla ricerca di un bambino scomparso. Il plot twist che ci si presenta alla fine del gioco dimostra che i videogiochi hanno cambiato registro – anzi, che il registro lo hanno stretto in mano salendo in cattedra.
Mentre si gioca, ormai, non è più accettabile rimanere impassibili e inermi allo scorrere degli eventi. Il pensiero del giocatore non solo ha dovuto cancellare del tutto la sua univocità, ma per seguire l’evoluzione dei videogiochi è stato in grado di mutare tanto velocemente da riuscire a moltiplicare le sue possibilità di discernimento. Giocare e parlare di videogiochi, oggi, non sono attività che possono prescindere dalla consapevolezza che narrazione – esplicita o implicita – e videogiochi siano facce della stessa moneta. Se, nella storia della filosofia, l’evoluzione del pensiero umano riceve un input dallo scetticismo metodologico di Cartesio, riassunto dalla massima Cogito ergo sum, allora si può anche affermare che l’evoluzione dei videogiochi ha ricevuto lo stesso input dall’ingerenza pressante della narrazione, ingerenza non tirannica e invadente, ma protesa al miglioramento. Oggi Cartesio direbbe: Cogito ergo ludo.