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Jung Myung Lee: La guardia, il poeta e l’investigatore

Published by
Bianca Coluccio

La guardia, il poeta e l’investigatore è il libro di Jung Myung Lee edito da Sellerio. L’autore, giornalista coreano laureato in letteratura, è attualmente uno degli scrittori più conosciuti e influenti nella Corea del Sud. Infatti, dopo il suo esordio nel 2006 con Deep Rooted Tree, trasposto in seguito in una serie televisiva, ha continuato a scrivere historical fiction e questo suo ultimo libro racconta la storia di un poeta la cui vita interseca e plasma quella di altri due uomini. Il romanzo ha trovato presso il pubblico e la critica numerosi consensi, testimoniati dalle diverse traduzioni che ne sono derivate e dalla vendita di oltre un milione di copie.

Il romanzo potrebbe essere considerato un giallo: una vittima, un colpevole da scovare e una trama ricca di punti di svolta. Esattamente come un qualsiasi giallo ben riuscito, trae parte del suo fascino dal non detto, dal sotteso o supposto. È proprio come se ci trovassimo davanti a un dipinto caravaggesco, che costringe il fruitore dell’opera a focalizzarsi sulle ombre, su quello che del quadro non rimane esposto e che proprio per questo impone un rapporto dialettico tra chi crea e chi osserva (e prevede che entrambi trascendano per una piccola porzione il proprio ruolo istituzionale). Ma oltre a tentare di arrivare a una soluzione fattuale del delitto il protagonista Watanabe Yiuchi, cerca più di tutto la verità come movente dell’azione, senza accontentarsi della sterile risoluzione del caso. È per questa motivazione che il libro non è semplicemente un giallo, una finizione storico-narrativa: la profonda introspezione psicologica dei personaggi, l’indagine sull’impatto della guerra e la differente ricerca del proprio balsamo o della propria medicina per allontanare queste brutture, oltre che l’elogio del poeta come creatore di uno strumento per la rivendicazione di sé, lo rendono un romanzo assolutamente completo da poter categorizzare solo per motivazioni formali.

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La prigione di Fukuoka, Giappone

Ambientato durante la guerra nella prigione di Fukuoka quando i giapponesi avevano occupato la Corea, la vicenda si svolge solo all’interno del carcere. I prigionieri del terzo blocco sono per la maggior parte rivoluzionari, indipendentisti e intellettuali liberi. Ai più sono stati confiscati e bruciati i testi di Cervantes, Rilke, Stendhal, Dostoevskij e ogni altro libro che possa sembrare in qualche modo sovversivo e dunque destabilizzante. Come anche la nostra storia dimostra – non dimentichiamo la messa al bando da parte di Mussolini di ogni adattamento o forestierismo che trovasse un corrispettivo italiano da utilizzare – da sempre il popolo che impone cultura ma soprattutto lingua a un altro territorio è senza dubbio quello più forte. È anche per questo che vige un clima di terrorismo culturale in cui i prigionieri non hanno nemmeno la possibilità di comunicare tra loro nella loro lingua, ma sono costretti a dover imparare il giapponese e a esprimersi come possono. Evidente in questo contesto è allora la centralità posta sull’importanza della parola sia in quanto strumento di comunicazione ma anche e soprattutto come mezzo dell’affermazione del singolo. Quando la vittima, una guardia crudele e spietata solita usare violenza sui prigionieri, viene rinvenuta uccisa brutalmente, la guardia protagonista è incaricata della risoluzione del caso. Proprio tramite le sue personali indagini vediamo come ognuno dei personaggi principali con l’avanzare della vicenda arriva a un punto di svolta che pare ribaltarne (o forse svelarne) completamente la natura. Questo crea un libro dalla struttura verticale che riesce bene nell’intento – tipicamente giallo ma ancor più tipicamente umano – di svelare la verità ai fini di separare e distinguere il bene e il male.

La chiave dello svelamento del mistero è in questo romanzo solo la poesia. C’è tra le righe un tacito elogio della parola e in particolare della parola poetica. In un contesto disperante come quello di Fukuoka la prigione diventa «un posto talmente spietato che non vi arriva neppure Dio». Eppure in quel clima di violenza e alienazione esiste un uomo, un poeta realmente esistito e di grande valore per la letteratura orientale, che tramite i suoi componimenti e l’espressione senza vergogna della sua più intima umanità, riesce a smuovere anche la guardia sanguinaria. La natura crudele e il comportamento della guardia senz’altro derivano dall’aver combattuto al fronte e aver visto morire i propri compagni: la violenza della guerra ha causato in lui una sorta di automatismo dell’aggressività e della veemenza che trova infine il suo riscatto unico nella letteratura. Da ciò si evince che la guerra e la poesia possiedono una forza di eguale intensità, ma mentre la prima è un fato accanito al quale non sempre si riesce a fare resistenza, la seconda è un porto ricercato duramente a cui approdano solo gli agguerriti, una depurazione: «La poesia e le parole avrebbero fatto sì che la camera delle torture nei sotterranei fosse purificata dal sangue, dalle lacrime e dai gemiti dei prigionieri coreani». Centrale è il potere di conversione della poesia, ma di svolta è l’accorgimento narrativo per cui in questo scritto quella del convertito è la storia di un martire, di un santo che si stupisce del suo primo miracolo. Ma anche il ruolo della poesia si verticalizza all’interno del racconto: se prima infatti fungeva da balsamo e da scappatoia, a un certo momento diventa strumento di purificazione dal sangue e dal crimine della prigione.

Dal punto di vista stilistico-formale, il libro è a tutti gli effetti un prosimetro: le poesie che si intervallano rispetto alla prosa sono quelle dello scrittore coreano Yun Dong-ju noto nella letteratura coreana come poeta della resistenza. I suoi componimenti hanno fatto in modo che venisse arrestato e che morisse in prigione all’età di ventotto anni. Le liriche inserite all’interno del romanzo appartengono a Cielo, vento, stelle e poesia che è la sua unica raccolta costituita da diciannove componimenti.

Per ciò che riguarda la prosa, è semplice e scorrevole, seppur talvolta eccessivamente lirica. Le descrizioni non si prolungano mai perciò difficilmente la narrazione rallenta e anzi la forte presenza di dialoghi rende la lettura scorrevole e piuttosto dinamica. Nonostante questo il ritmo non è incalzante, per cui il libro non crea effettivamente la suspance che ci si aspetta da un giallo, pochi sono i momenti in cui si rimane col fiato sospeso perché l’autore si interessa soprattutto della delineazione psicologica del personaggio invece che della risoluzione dell’omicidio.

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Bianca Coluccio

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