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Incubi pixelati e sogni allucinati: otto videogiochi strani

Published by
Nicolas Foresti

Videogiochi strani

Nell’immensa storia dei videogiochi si è ormai visto di tutto e, di certo, questo non fermerà le future generazioni di programmatori e designer dal mostrarci ancora di più. Capolavori mozzafiato per grafica, storia o gameplay – oppure prodotti di infima qualità – si sono avvicendati negli anni e negli hard disk, ma nella nostra memoria c’è un posto speciale, una camera oscura, un abisso da tenere sotto chiave, al quale ogni tanto buttiamo occhio con un misto di venerazione e disgusto, stupore e paura. Va bene: forse è esagerato. Sta di fatto che qualcuno, là fuori, ha avuto l’idea di esplorare altre vie, più oscure perché ignorate e troppo lontane dalla strada maestra della deontologia o delle esigenze di mercato. Le vie dei videogiochi strani.

Nascono così prodotti unici e assurdi (sì, Giappone, stiamo tutti guardando te), insomma videogiochi davvero strani. Strani perché volontariamente tali, strani perché, appunto, fuori dalle scelte comuni di stile o design, strani per colpire, scioccare, strani per ironia, quasi da essere vere e proprie burle, ma comunque così specificatamente tali da esserlo per scelta, non per assenza di qualità o pessime decisioni progettuali.

Ovviamente questi prodotti sono ben lontani dal circuito mainstream, sono spesso introvabili, linkati nell’ultima pagina dell’ultima sezione del dominio ad accesso limitato in un forum sconosciuto; tanto nascosti e fuori dai canoni da essersi guadagnati un’aura di mistero quasi sovrannaturale, come se fossero una leggenda web-politana. Facciamo allora un tuffo nella stranezza, lasciandoci inquietare ma soprattutto divertire.

Mister Mosquito

Please enjoy your summer of blood sucking. Una voce femminile conclude così l’introduzione al gioco, nella quale spiega la storia del protagonista, una zanzara. Non una qualsiasi, ma un insettino che da tempo è in “guerra” con il clan Yamada- Il suo obiettivo? Il sangue, ovviamente, nonché provocare prurito.

L’intero gameplay consiste nello svolazzare in giro per la stanza per succhiare sangue ad ogni membro della famiglia Yamada, in base al livello, posandosi in punti prestabiliti del corpo, attivando e mantenendo il risucchio con una combinazione di tasti. Un errore potrebbe allertare la vostra preda, ed ecco allora che inizia la Battle Mode: modalità in cui dovrete fuggire ed evitare le sberle mortali della vittima. Per uscire da questa modalità e calmare lo sfortunato di turno dovrete pungerlo “al volo”, in picchiata, nei cosiddetti Relax Point, spesso situati nelle regioni birichine del corpo, il che aggiunge un (molto diluito) sapore sexy al tutto.

Questo strano videogioco viene prodotto e distribuito da Sony per quanto riguarda il Giappone e da Eidos Interactive per il resto del mondo, e ha registrato 41.000 copie vendute nella settimana di rilascio, un record secondo alcune riviste giapponesi. Nel resto del mondo, tuttavia, il titolo non ha goduto dello stesso privilegio: il sequel è infatti rimasto entro i confini dell’impero del sol levante.

Quando il gameplay non è solido, una donna nuda sistema tutto.

My Horse Prince

Un altro capolavoro di stranezza che arriva direttamente dal Giappone, ma questa volta è un videogioco mobile. Un giovane donna d’affari decide di trasferirsi in campagna per acquisire un ranch, iniziando così una nuova vita lontana dallo stress della città. Parlando con un campagnolo si fa convincere a comprare e allevare un cavallo, ma non uno qualsiasi: un cavallo di nome Yuuma con la testa di un uomo molto attraente.

Il gameplay è un po’ quello di un classico clicker da mobile: un date sim, per quanto semplificato. Ogni fase si alterna tra dare da mangiare al cavallo, allenarlo e farci quattro chiacchiere, scegliendo tra tre opzioni di dialogo che garantiscono, ognuna, un livello diverso di stamina guadagnata o persa. Dieci sono le fasi, più alcune bonus, durante le quali la donna d’affari si ritrova sempre più vicina a Yuuma, fino ad innamorarsi.

Se fino ad ora nulla è riuscito a stranirvi, sappiate che Yuuma non è un cavallo con la testa da uomo, poiché nel primo dialogo, quando la donna esprime il suo stupore per l’animale, il campagnolo precisa: «È possibile che le donne nate nell’anno del bue vedano i cavalli con teste di uomini molto attraenti», suggerendo la possibilità che Yuuma sia, appunto, un normale cavallo. È disponibile per Android e IOS.

NO!

Icarus Proudbottom and the Curse of the Chocolate Fountain

Immaginate un uomo volante con uno spirito guida che può trasformarsi in una katana farsi largo nei cieli facendo strage di papere. Per citare il protagonista: «un’esperienza fantastica, se non fosse per la boom boom» – e con “boom boom” intende la cacca. Icarus, infatti, per qualche strano motivo non può smettere di defecare: da qui la chocolate fountain, e questo suo disturbo di natura sovrannaturale gli permette di schizzare veloce nei cieli del mondo. Lì, nell’azzurro, incontra il suo spirito guida, un uccello con una corona che ha la capacità di trasformarsi in un’arma.

Il gioco è estremamente semplice, è un action a scorrimento dove dovrete schivare o uccidere frotte di anatre: un colpo manderà in brandelli i vostri vestiti, due vi uccideranno. Con meccaniche così semplici e una storia essenzialmente inesistente il gioco èsi limita ad un quarto d’ora moderatamente divertente di dialoghi assurdi e giochi di parole su anatre e sterco. È stato prodotto da Holy Wow Studios in flash, e ad oggi risulta scaricabile gratuitamente sul loro sito insieme ad altri due giochi molto semplici e tre typing games ambientati nell’ universo Proudbottom.

L’incontro con un altro tipo di fontana.

LSD Dream Emulator

Pare che un giorno del 1998 la Asmik Ace Entertainment – con sede, udite udite, in Giappone – abbia deciso di pubblicare un videogioco basato sul diario dei sogni di uno dei suoi artisti, Hiroko Nishikawa. Il videogioco è molto, molto semplice: con una visuale in prima persona, il giocatore si muove in paesaggi onirici, dai colori sgargianti e dalle forme assurde, popolati da strani esseri, enormi facce, animali e altro. Ogni sogno – ogni livello, insomma – dura intorno ai dieci minuti, dopodiché si verrà trasportati al menù principale. Le mappe, se così si possono chiamare, sono collegate le une alle altre; infatti, se il giocatore tocca un muro, un albero o un animale, il mondo intorno cambierà, assumendo connotati sempre più strani, come se si viaggiasse sempre più in profondità nei sogni.

Un walking simulator che dovrebbe risultare rilassante, anche se purtroppo, a volte, la grafica datata non rende giustizia a tale intento: texture assurde e troppi pochi poligoni trasformano il tutto in un incubo spaventoso e inquietante, una dimensione fantasma dei videogiochi, un purgatorio di anime elettroniche. Un’esperienza particolare che non offre granchè in termini videoludici classici, dal momento che mancano un qualsivoglia obiettivo e addirittura una trama.

Strani sogni, strani faccioni. Cosa potrebbe andare storto?

Seaman

Sì, è giapponese. Prodotto da Vivarium Inc. e Jellyvision, Seaman è un videogioco per Dreamcast uscito nel 1999 in Giappone e l’anno dopo nel resto del mondo, per poi essere trasportato su PlayStation 2 nel 2001. Una curiosità particolarmente strana e apprezzabile: il doppiatore del narratore nella versione inglese è Leonard Nimoy.
Il gioco è un “simulatore di vita”, stando ai suoi produttori, dove il giocatore eredita da uno scienziato un Seaman, un pesce. Un normale pesce? Certo che no: un pesce dal volto umano, nello specifico quello di Yoot Saito, il produttore del gioco. Un pesce con un volto umano normale? Certo che no: un pesce dal volto umano con la tendenza al filosofico. Un pesce dal volto umano con la tendenza al filosofico normale? Ovviamente no: un pesce dal volto umano con la tendenza al filosofico che si trova spesso ad insultare il giocatore con fare sarcastico e sapiente.

Presupponendo che i videogiochi normali siano ben lontani da qui, Seaman è strano pure nella sua stranezza. Oltre ad essere uno dei pochi giochi che sfruttano il microfono della piattaforma Dreamcast, con cui il giocatore può interagire con il Seaman, è così espansivamente creativo e fuori dagli schemi che non se ne può parlare male. Il pesce interloquisce con il giocatore e questo, attraverso le risposte, lo aiuta ad evolversi, aumentando la profondità dei dialoghi e non solo: Seaman cambia fisicamente.

La sequenza di evoluzione fisica è abbastanza lineare: il primo Seaman, quando dotato di braccia, sposterà una roccia all’interno del grande acquario in cui si trova, facendo scendere il livello dell’acqua. Successivamente andrà sulla terra ferma dove deporrà delle uova prima di morire. La prole, dunque, si troverà a combattere fino a che non ne rimarrà solo uno, il quale potrà arrivare allo stato di Frogman. Tutto questo sempre attraverso l’interazione comunicativa con il giocatore. Ancora una volta ci troviamo di fronte ad un gioco che non ha un obbiettivo vero e proprio, che non sia il Frogman, non ha una trama vera e propria, che non sia l’evoluzione, non ha un gameplay vero e proprio, che non sia parlare, e a volte farsi insultare da un pesce con manie paternalistiche.

Superato l’impatto iniziale il Seaman è anche peggio di quanto si possa pensare.

Bikini Karate Babes 1 e 2

Donne in bikini che se le danno. Donne vere in bikini che se le danno. BKB ha il classico impianto da picchiaduro, ma usa vere attrici in un ambiente digitale. Per quanto sbagliato possa, suonare il sistema non funziona così male (non quanto si possa pensare, almeno) e le “animazioni” sono sempre abbastanza scorrevoli, qualsiasi cosa succeda e in qualsiasi momento le guerriere vengano colpite. I colpi digitali infatti, per quanto assurdi, sono più godibili delle prese, le quali fanno partire una piccola cutscene in cui si nota che la coreografia dei combattimenti non è esattamente all’altezza di Matrix (ma neanche dell’Albero Azzurro), e a volte viene addirittura da chiedersi se le due donne si siano effettivamente almeno sfiorate. I tagli del greenscreen, poi, sembrano fatti con un’accetta arrugginita, i contorni sono traballanti e sfocati, capita di vedere porzioni di greenscreen intorno alle donne, ma con due divinità femminili sullo schermo chi fa caso ai contorni.

Divinità non a caso: i 19 personaggi, tutti femminili ovviamente, hanno tutte il nome di una divinità o di un personaggio mitologico. Ognuna ha le proprie mosse, prese e colpi speciali, come sparare laser dal seno o fare bolle dal fondoschiena. La componente sessuale è infatti primaria, e non a caso: secondo lo sviluppatore, Creative Edge Studio, BKB era una presa in giro, abbastanza goffa aggiungiamo noi, ai picchiaduro del tempo (e si parla del 2002, quando è uscito il gioco). Il genere, infatti, era sovrappopolato da personaggi maschili idonei al loro background, ovvero dotati di vestiti o armature, e personaggi femminili coperti il minimo indispensabile.

Il menù iniziale di BKB

Plumber Don’t Wear Ties

In questo videogioco: una biondona quasi sempre mezza nuda e un idraulico che, a differenza di quanto indica il titolo, indossa una cravatta. Un gioco di avventura sviluppato da Kirin Entertainment nel 1993 che vede John, un aitante idraulico, e Jane, una bionda non-si-sa-cosa, che vengono continuamente costretti dai genitori a trovare qualcuno da sposare.

Il giocatore seguirà le gesta di entrambi, scegliendo quale azione compiere in determinati momenti: due azioni su tre sono quelle giuste, e porteranno alla fine i due a congiungersi, in maniera diversa secondo il finale. Il tutto coadiuvato da due narratori che si fanno guerra per avere l’attenzione del giocatore. Cosa può mai andare storto in un’idea del genere? Per esempio, il fatto che l’intero gioco sia una sequela di slide di Power Point con scritte sovrimpresse dalla pessima qualità? Questo, per di più, nonostante lo sviluppatore avesse promesso un live motion.

Ovviamente non è abbastanza. Gli attori, di cui si sente solo la voce durante i discorsi diretti, e i narratori avrebbero dovuto scegliere un altro lavoro: come se non bastasse, la qualità audio è di infima qualità anche per quel tempo, la storia è assurda nonostante non abbia connotati demenziali o ironici e ogni occasione è buona perché la bionda Jane mostri un po’ di pelle. Insomma, un gioco strano in “slide-motion” e brutto come pochi, senza neanche quel sapore un po’ trash che di solito accompagna questi titoli.

“Plays like a game… Feels like a movie”.

Japan World Cup

Se il titolo non mente già sappiamo che tipo di cervello abbia partorito questa stranezza videoludica. Un bizzarro gioco di scommesse in cui nulla, proprio nulla, è in mano al giocatore, ma tutto è casuale. Una corsa di “cavalli” serrata e folle, una gara ippica in cui partecipano giraffe, elefanti, tre uomini in un barile. Nonostante sia totalmente privo di gameplay, il gioco risulta assai divertente e demenziale. Demenziale, ad esempio, come vedere i concorrenti sfoderare le loro uniche abilità in ogni sezione della gara, per poi essere sconfitti da un colpo di scena sul finale: l’elefante brandirà il suo fantino, sbarazzandosi della concorrenza, la bella francese ammansirà gli avversari con le sue curve. Insomma, sul finale di gara – che dura intorno ai tre minuti – ci sarà sempre una accozzaglia di cavalli o animali vari intenti a ballare, scattare, muoversi come molle, e più si osserva più si notano particolari e stranezze.

Come anticipato, oltre a piazzare le scommesse, il giocatore può mettersi comodo e godersi tre minuti di follia ippica e cartoonesca, niente di più niente di meno.

Una normale gara in Japan World Cup.

È un mondo folle, là fuori. Più folle, però, è la mente di alcuni sviluppatori. Non possiamo che ringraziarli per questa scintilla di pazzia che si fa videogioco, perché, dopotutto, che videogiochi sono se non li si fa per gioco?

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