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Death Grips: nulla è più umano dell’amore e delle grida

Published by
Matteo Antiga

Svalutare è un’azione che richiede veramente poco impegno, e svalutare un cantante o un gruppo musicale diventa quasi cronico quando veniamo bombardati giornalmente dall’enorme quantità di debutti e nuove canzoni dei più svariati artisti pop. La musica è un’arte divenuta settore e mercato: non dovremmo meravigliarci quindi se, in un’era di consumi a velocità folle, la musica stessa sia prolifera come le nascite in un termitaio.

Ovviamente se una canzone o un album non ci piacciono non vuol dire che stiamo necessariamente svalutando il prodotto ascoltato: semplicemente ogni essere umano ha preferenze che determinano gruppi e generi preferiti, e alcuni prodotti dell’industria musicale moderna sono creati appositamente per un pubblico più ampio possibile. Tutti i meccanismi dell’industria musicale, il commercio e la promozione, tutto ciò che viene composto non necessariamente per fare più soldi possibile ma anche per cercare di piacere a più persone possibile, sono elementi che non sfiorano neanche lontanamente la mente dei Death Grips.

 

Gruppo originario di Sacramento, California, i Death Grips vengono solitamente e genericamente definiti come un gruppo hip-hop sperimentale, con tratti di rap, noise, elettronica, punk. Il loro debutto, il mixtape Exmilitary (2010), attirò sul trio molta attenzione e procurò ai membri Mc Ride (Stefan Burnett), Zach Hill e Andy Morin il primo contatto con una casa discografica, la Epic Records. I successivi cinque album riscossero notevole successo e un’attenzione particolare da parte del mondo della musica, sia da parte di altri artisti (come Björk) sia da grandi testate e critici in campo musicale, come Rolling Stones.

Il tono e lo stile delle loro canzoni è riconoscibile all’istante: rude, caotico, violento. Le percussioni di Hill e la voce di Ride sono gli elementi onnipresenti dei loro progetti, e Morin definisce ogni dettaglio dei pezzi risolvendo melodie e accompagnamenti. Ogni membro ha un compito ben definito, ma ognuno contribuisce equamente a ogni dettaglio della band, dalle canzoni alla presentazione e ai dettagli estetici. I Death Grips infatti sono riconoscibili per il loro stile controverso e aggressivo, dalle esibizioni ai testi fino alle copertine degli album stessi (una in particolare, No Love Deep Web, venne censurata in molti paesi, ritraendo il pene eretto di Zach Hill con scritto sopra il titolo dell’album in caratteri neri), uno stile che non ha però un intento provocatorio, come si può credere inizialmente.

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La volgarità, i dettagli furiosi e macabri dei testi, la mole incontrollata di rabbia riversata nelle esibizioni: ciò che distingue i Death Grips è lo stile peculiare della loro musica e l’intento che vedono dietro al loro progetto, ovvero un pensiero estremamente lineare e semplice, perfino banale. La loro musica è, prima di tutto, loro. Il gruppo crea ispirandosi alle proprie vite, alle proprie insoddisfazioni personali, ma non funge semplicemente da sfogo: è la ricerca di un’interpretazione assolutamente innovativa di caratteri che alla fine sono universalmente umani. Quando scoppiò lo scandalo della copertina di No Love Deep Web sopracitata Mc Ride rispose molto semplicemente alle critiche, affermando che «Se in questa foto vedete solo un pene, non ho nulla da dire. Noi vediamo arte». Successivamente il gruppo parlò più volte della simbologia che potevano vedere nella foto, paragonando il membro del batterista a un simbolo tribale, di fertilità, di assoluta conciliazione con l’omosessualità. Tutte queste interpretazioni appaiono confuse, ma semplicemente per il gruppo non era necessario specificare un significato indicativo, mettere su carta il motivo preciso per cui la foto di un pene sarebbe stata un’ottima copertina per il loro album; semplicemente a loro piaceva, così come piace la loro musica, assolutamente umana, così come a Mc Ride piace gridare durante i concerti.

Sforzarsi di tradurre la simbologia, i testi e le melodie dei Death Grips è quindi veramente un lavoro inutile, perché per il gruppo, oltre all’intenzione “egoista” (ovvero, suono questo pezzo perché mi va) c’è un’idea semplice: che la loro musica piaccia. E la loro musica può ovviamente piacere o non, data la loro unicità, ma non ci sono dubbi riguardo il loro talento e le loro capacità.

Il lavoro di Andy Morin è relativamente messo in secondo piano rispetto alla batteria di Hill e ai vocals di Burnett, nonostante sia di qualità eccezionale e sia assolutamente fondamentale in ogni progetto della band; senza Morin non avremmo gli iconici assoli di chitarra in The Fever, né le onnipresenti distorsioni dei bassi. Zach Hill invece è un batterista fenomenale, e non c’è molto altro da aggiungere.

Sulle performance canore di Mc Ride si potrebbero scrivere dei libri: un rapping veloce e che segue il passo della musica, piuttosto che il contrario, che poi evolve in ritornelli più “tradizionali” musicalmente, fino alle caratteristiche urla del cantante. Uno stile assolutamente inconfondibile e controverso, probabilmente ciò che più impedisce a qualcuno di avvicinarsi alle creazioni del gruppo. Il problema effettivo di avvicinarsi a uno stile canoro così sgraziato è immedesimarsi nella cornice che definisce il gruppo, la loro musica e i loro testi. Ripudiandoli a prescindere dopo aver letto qualche frase di un testo qualsiasi, non potrà probabilmente mai avvicinarsi ai Death Grips e tutto ciò che li riguarda. Solamente dimenticando la propria civiltà per un paio di minuti, retrocedendo a uno stato primitivo e basato puramente sull’istinto, si può capire appieno come venga elaborato il fiume di parole e frasi apparentemente sconnesse di Burnett. Da immagini poetiche, ancestrali e tremendamente cupe, egli passa senza alcun collegamento a scene brutali e sanguinarie. Questo significa che Mc Ride sia un pazzo che uccide tutto ciò che gli passi davanti? Ovviamente no. Le sue urla, simili a quelle di un cane o di un primate infuriato , insieme ai testi così controversi sono una liberazione, un’espressione di un carattere implicito in tutto gli uomini, ma che troppi forse insistono nell’ignorare, come se fossimo già divenuti dei e non fossimo ancora animali.

Le vite private dei membri dei Death Grips non sono di dominio pubblico, non necessariamente perché essi vogliano separare carriera e quotidianità, ma per un disinteresse dichiarato nel diventare un prodotto commerciale. I Death Grips non suonano per cambiare il mondo, né per fare nuove amicizie; non parlano di sé, non si sprecano in inutili lezioni di vita ricavate da esperienze personali perché non ne sentono la necessità.

Hill è solitamente il membro del gruppo “incaricato” di parlare durante le (non molte) interviste concesse dal gruppo, mentre Mc Ride e soprattutto Morin appaiono molto più silenziosi. Di quest’ultimo abbiamo solamente una dichiarazione durante un’intervista ufficiale ad Adult Swim, dove ha affermato compiaciuto che, oltre al profondo discorso dietro alla filosofia della band di Hill, grazie ai Death Grips: «…puoi suonare ad altissimo volume». L’unica occasione in cui Stefan Burnett ha parlato senza interruzioni per un paio di minuti durante un’intervista, ha raccontato che non trova inspirazione in altri uomini, non è affascinato, o forse lo era un tempo, dai grandi idoli di questo mondo. Ciò che veramente gli importa è se stesso: non pensa troppo quando canta, quando scrive, non si preoccupa della superficialità della realtà. Gli piace il rumore delle percussioni, lo fa sentire bene, e gli basta questo.

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Matteo Antiga

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