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NRPC: l’Australia e i rifugiati

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Carlo Paganessi

L’Oceania per moltissimi aspetti è un continente che fa storia a sé: qui il mare si sostituisce alla terra, dato che il continente è costituito per la maggior parte da un’isola gigantesca ampiamente desertica, e poi da una serie di isole minuscole divise in Melanesia, Polinesia e Micronesia. Australia e Nuova Zelanda, politicamente parlando, sono i due maggiori attori del continente e le potenze economiche di riferimento. Specie la prima di queste è meta desiderata di molti migranti, data la situazione economica tutto sommato decente e una società all’avanguardia sotto diversi aspetti.

Migrare in Australia, tuttavia, è tutt’altro che semplice: Canberra ha infatti implementato da diverso tempo un sistema molto rigido di quote che rende una vera impresa l’ingresso per motivi di lavoro. In breve, oltre all’essere incensurati nel proprio paese d’origine, il candidato deve dimostrare di avere già un lavoro nel paese e di non gravare sul sistema economico dello stato. L’application è poi subordinata al mantenimento delle quote di immigrazione, considerate molto rigide e a cui vengono applicate delle deroghe solo per lavoratori con abilità particolari, per i programmi di ricongiungimento familiare, e per i richiedenti asilo.

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Da sempre la disciplina dell’immigrazione in Australia si è divisa tra la volontà di mantenere il paese a maggioranza bianca e anglosassone e la volontà di popolare la vastissima isola-continente. Quest’ultima preoccupazione fu dettata essenzialmente dal timore che un nuovo conflitto avrebbe colto impreparata un’Australia poco densamente popolata, quindi a corto di soldati per difendere tanti chilometri di costa. Ecco che l’integrazione dei Nuovi Australiani diventa un elemento cruciale e lo stato non ritiene di essere in grado di integrare troppe persone alla volta, decidendo di limitarne l’ingresso e imporre pertanto le quote di immigrazione.

Immagine parte di una campagna di pubblicizzazione della nuova legge sull’immigrazione del governo australiano.

I richiedenti asilo, come è giusto che sia, compongono una divisione a sé stante in tutto il metodo australiano sulla gestione dell’immigrazione: sono protetti da svariate convenzioni e trattati internazionali che l’Australia ha firmato e ratificato nel corso del tempo, o che ha ereditato dal Regno Unito. Tra questi trattati, di particolare importanza per l’Australia è quello riguardante il diritto del mare, altrimenti detto UNCLOS (United Nations Convention on the Law of the Sea) o anche conosciuto come trattato di Montego Bay. Il trattato disciplina, tra le altre cose, il salvataggio di profughi dispersi in mare e prevede il salvataggio e l’accoglienza dei richiedenti asilo. Quest’ultima figura si basa sul diritto d’asilo, che costituisce uno dei punti fissi del diritto internazionale persino da tempi precedenti alla nascita dello stato come lo conosciamo oggi (che convenzionalmente si fissa con la stesura e la firma dei trattati di Westfalia che pongono fine al feudalesimo e aprono la strada allo stato nazionale), e sulla base del quale una persona perseguitata o in pericolo di vita nel proprio paese può essere protetta da un’autorità terza.

La convenzione ONU sul diritto dei rifugiati sottoscritta a Ginevra nel 1951, con il successivo protocollo del 1967, è il primo tentativo serio e strutturato di definire la figura del rifugiato: la convenzione definisce in tale modo chi ha fondato motivo di ritenersi perseguitato nel proprio paese d’origine a causa della sua discendenza, religione, nazionalità, appartenenza ad un gruppo sociale e opinione politica. Nel corso del tempo la definizione e le modalità di tutela delle persone che richiedono e ottengono questo status è andata ampliandosi: una prima modifica giunge già due anni dopo con la convenzione di Addis Abeba del 1969 adottata dagli Stati dell’Unione Africana, che include il divieto del respingimento alla frontiera, una nuova disciplina riguardo l’asilo, la definizione di luoghi in cui costruire gli insediamenti, il divieto per i rifugiati di svolgere attività sovversive e il rimpatrio volontario qualora richiesto.

Immagini dalla firma del trattato di Montego Bay.

Nel 1984, la Dichiarazione di Cartagena e la Convenzione contro la Tortura di New York ampliano ulteriormente la tutela dei rifugiati, mentre nel 1982 la conferenza di Montego Bay cerca di mettere dei paletti al diritto marittimo internazionale, riunendo tutte le regole variamente applicate in un solo testo e cercando di definire (con vari gradi di successo) le numerose dispute marittime internazionali. Tale testo entrerà in vigore solo nel 1994 solo dopo la ratifica del sessantesimo stato, la Guyana. All’interno del testo vi è anche la disciplina del come trattare i richiedenti asilo recuperati dal mare, che andrebbero portati al porto sicuro più vicino dove deve avvenire l’identificazione e la domanda d’asilo.

Quello che mette in difficoltà molti stati è il processo di identificazione e di disamina delle richieste d’asilo. L’identificazione deve essere effettuata nel paese di sbarco e la domanda esaminata nel più breve tempo possibile. A causa della scarsità delle risorse disponibili, tuttavia, non sempre questo processo viene effettuato nella più veloce delle tempistiche. I domandanti asilo, pertanto, vengono solitamente alloggiati presso dei centri presso i quali vengono identificati e restano in attesa dell’esito della loro domanda. L’Australia non consente l’ingresso sul proprio territorio nazionale di persone senza il visto, e a questo punto entra in gioco il piccolo stato insulare di Nauru.

Nauru è la più piccola repubblica del mondo, dato che il paese si estende su una superficie di appena 21 chilometri quadrati dove vivono poco più di 10.000 persone. Il parlamento monocamerale non vede la presenza partiti propriamente detti e conta 19 deputati. Non ha una vera e propria capitale perchè non sono presenti veri e propri nucleai abitati, ma l’isola è divisa in zone e il Parlamento insieme ad altri centri amministrativi è situato nella zona di Yaren, dove si trova anche l’aeroporto. Non ha risorse di acqua dolce e per questo dipende dai desalinizzatori, mentre per il cibo si rimedia in gran parte con le importazioni e in minima parte con l’agricoltura di sussistenza. Gran parte dell’economia dell’isola si basava sulla raccolta del guano che è ricco di fosfati, ma con l’andare del tempo tale risorsa mineraria è andata esaurendosi, e il governo, come nella storia della formica e della cicala, non ha progettato investimenti adeguati.

Nauru, la più piccola repubblica del mondo.

Senza più la propria principale risorsa (la cui estrazione ha sostanzialmente distrutto la superficie dell’isola rendendola poco appetibile a vasta parte del settore turistico), Nauru si è progressivamente indebitata per mantenere il proprio sostentamento: dopo aver cercato di diventare un paradiso fiscale negli anni ’90 e aver subito la reprimenda da parte della comunità economica internazionale, lo stato si trovava costantemente sull’orlo del default. Sull’onda di tale situazione, l’Australia propose nel 2001 al governo nauruano di porre un campo di identificazione sull’isola. Yaren accettò e il campo vide la luce.

Inizialmente destinato ad ospitare i richiedenti asilo in attesa che la loro domanda venga processata, il Nauru Regional Processing Centre nel corso del tempo è diventato sempre più un centro di detenzione per rifugiati che erano arrivati via mare e che, per tale motivo, non hanno diritto di risiedere in Australia. Il centro è diviso in due parti: da un lato il Meneng Stadium, dall’altro il sito dove sorgeva la vecchia casa presidenziale del paese. La capienza totale del complesso è di oltre 800 posti e i primissimi rifugiati ad entrarvi furono quelli che erano sulla nave norvegese MV Tampa, la quale aveva recuperato, nel mezzo dell’Oceano Pacifico, oltre 400 profughi di etnia Hazara provenienti dall’Afghanistan.

Nel 2007 il nuovo premier australiano Kevin Rudd decise di rispettare la sua promessa elettorale di chiudere l’NRPC, che venne però riaperto dal suo successore Turnbull. Negli ultimi anni, tuttavia, si sono progressivamente ampliate le segnalazioni che denunciavano alla comunità internazionale la gestione abbastanza approssimativa del campo: il campo è praticamente abbandonato a sé stesso, con gravi problemi per gli occupanti. Si sono infatti registrate molti abusi sessuali e aggressioni tra rifugiati, che sono costretti a vivere in condizioni indegne, dato che gli alloggi sono tende oppure case improvvisate fatte di lamiera e non in grado di riparare dal caldo in uno dei luoghi con le temperature più alte della terra. L’assoluta mancanza di opportunità educative ha portato diversi adolescenti verso patologie psicologiche e si sono registrati anche diversi tentativi di suicidio. La permanenza media di un rifugiato all’interno del campo supera l’anno. Amnesty ha paragonato la permanenza nel campo alle pratiche di tortura: a queste accuse Nauru ha risposto affermando che il rapporto è stato redatto a tavolino, mentre Canberra si fa forte della decisione della propria corte costituzionale che non ha ravvisato irregolarità.

Una degli intervistati, una donna di origine irachena, ha detto che la vita a Baghdad poteva finire in un momento con una bomba o con un proiettile, mentre a Nauru si muore lentamente. La situazione apre un grosso interrogativo su come l’occidente si stia facendo trovare impreparato di fronte alla gestione dei rifugiati e stia cercando di affrontare la situazione senza compiere eccessivi sforzi. L’instabilità di determinate aree, e le masse in fuga che tali circostanze generano, rischiano di generare una bomba demografica e sociale con conseguenze decisamente nefaste.

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