Erano le 3:36 del 24 agosto 2016 quando una scossa di terremoto di magnitudo 6.0 sconvolse la popolazione del Centro Italia. Da Amatrice ad Accumoli fino a Visso, quasi 300 vittime e interi paesi furono spazzati via dalla furia della terra.
Ad un anno da quella notte, passando per il centro di Amatrice sembra che siano passate appena poche ore. L’intero paese è considerato zona rossa, per cui inaccessibile. Attraversando la via principale del paese accompagnati dai Vigili del fuoco, ci si trova in una strada dritta, senza vie d’uscita, né bivi. Tutto lo spazio è occupato dalle macerie di quello che un tempo era uno dei borghi più belli del centro Italia. Cumuli di macerie a formare delle vere e proprie montagne artificiali fatte di mattoni, legno e pezzi di vita qua e là. Se non fosse per il silenzio spettrale e le erbacce cresciute senza freni tra i sassi, potrebbe sembrare il 25 agosto 2016. Invece sono passati poco più di 365 giorni da quel momento, eppure le criticità sono ancora ben presenti.
Delle 3.830 casette provvisorie ordinate dal governo, solo 456 sono attualmente pronte, la rimozione delle macerie è lentissima e la ricostruzione non è ancora partita. Le popolazioni del centro Italia, messe alla prova dalle nuove scosse di ottobre 2016 e gennaio 2017, nonché dall’eccezionale nevicata dell’inverno scorso, sono stremate.
L’addio di Vasco Errani
Vasco Errani, commissario alla ricostruzione nominato dal governo Renzi ha fatto sapere che, alla scadenza del mandato – il prossimo 9 settembre – lascerà la sua carica. L’ex governatore dell’Emilia Romagna non ha dato grandi spiegazioni sul motivo della sua decisione, indiscrezioni dicono che egli voglia assumere un ruolo politico di rilievo in vista delle prossime elezioni nel 2018. Molto vicino a Pierluigi Bersani e alla vecchia minoranza Dem – ora MDP – Errani ha lasciato il Partito Democratico lo scorso febbraio.
La fase emergenziale dovrebbe concludersi il prossimo febbraio, ma il Premier Gentiloni non ha ancora annunciato chi prenderà il posto di Errani. Probabilmente non ci sarà nessun’altra nomina, verranno dati più poteri e più spazio di movimento ai Presidenti delle quattro regioni coinvolte, già impegnati nella gestione dell’emergenza. Circola anche il nome di Massimo Cialente, ex sindaco dell’Aquila, come possibile candidato alla successione. Avendo gestito l’emergenza aquilana fino al giugno scorso, nessuno più di lui conosce i meccanismi necessari a smuovere la ricostruzione. Potrebbe esportare il modello L’Aquila nei suoi tratti positivi: prendere quel che di buono è stato fatto nel terremoto del 2009, eliminare le cose sbagliate e migliorare il migliorabile.
L’addio di Errani, tra malcontento, indifferenza o soddisfazione, ha scatenato le reazioni dei sindaci del cratere. Il primo cittadino di Visso, Giuliano Pazzaglini, crede che una gestione della situazione affidata alle Regioni potrebbe essere un vantaggio operativo. Aleandro Petrucci, sindaco di Arquata del Tronto, ha invece minacciato lo sciopero della fame. Più moderata la reazione del sindaco di Amatrice Sergio Pirozzi: egli, nonostante i suoi precedenti scontri con Errani, si dice dispiaciuto.
Vasco Errani era stato scelto dal governo Renzi, sotto l’insistenza della minoranza del PD, per l’esperienza maturata come Commissario alla ricostruzione nel terremoto dell’Emilia del 2012. La situazione, in quel caso, fu ben diversa da quella presente nelle zone colpite dal nuovo sisma. In Emilia, l’emergenza fu soprattutto del settore industriale, con numerose fabbriche e stabilimenti crollati. Nel centro Italia, invece, l’emergenza è diversa. I centri colpiti sono molteplici e molto piccoli. Il cratere conta 131 comuni, solo Amatrice ha dietro di sé un mosaico di sessantanove frazioni. Soprattutto nella stagione invernale, questi centri sono difficilmente raggiungibili, abitati da poche anime: il pericolo di disgregazione e spopolamento è enorme. All’emergenza abitativa si somma, poi, quella non meno importante del settore primario, su cui si base tutta l’economia della zona. Le aziende agricole e gli allevatori sono in forte difficoltà: molti non hanno ancora ripreso del tutto la loro attività.
Il modello L’Aquila
Ad un anno dal sisma, quindi, appare chiaro il fallimento della gestione Errani. Ha funzionato per il terremoto del 2012 in Emilia, ma non per quello del centro Italia. Ogni situazione è diversa da un’altra, ogni terremoto ha le proprie conseguenze e ogni popolazione risponde alla tragedia con spirito ed esigenze diverse.
I paragoni tra questo disastro e il sisma dell’Aquila del 2009 sono nati con facilità. Amatrice dista da L’Aquila circa 50 km, il loro territorio è contiguo. Gli aquilani sono stati colpiti, almeno emotivamente, da quest’ennesima tragedia. Nei giorni appena successivi al sisma, la solidarietà del capoluogo abruzzese e dei suoi abitanti è stata esemplare: tutti volevano dare una mano, una parola di conforto. Dall’altro lato le porte erano sempre aperte, gli amatriciani hanno apprezzato molto la vicinanza del popolo aquilano, accettando i consigli e gli aiuti senza ribattere. Come un nipote che ascolta il nonno, sapevano quanto gli aquilani conoscessero bene la loro situazione. Non potevano mentire o dare false speranze perché c’erano passati appena 7 anni prima, potevano solo dire la verità. Dura e cruda verità: «ci vorrà tempo, forse troppo», «i riflettori presto se ne andranno». La popolazione ha accettato volentieri i consigli dei “cugini” aquilani, altrettanto non hanno fatto le amministrazioni e il governo centrale.
Per il Sisma Centro Italia è stata cambiata completamente la legislazione, sia quella emergenziale, sia quella del post (riguardante la ricostruzione). Non è stato né preso ciò che di buono era stato fatto all’Aquila, né è stato migliorato il migliorabile. Molti comuni del cratere 2016, parte anche del cratere 2009, si sono ritrovati a fronteggiare situazioni simili ma con regole completamente diverse. Stessa cosa per le imprese e gli artigiani, spesso operanti in entrambi i sismi. Il modello L’Aquila è stato buttato nel cestino perché messo su da un governo diverso da quello attuale. Eliminato come se non ci fosse stato nulla di buono, come se nella città capoluogo d’Abruzzo fosse stato fatto tutto nel modo sbagliato.
Bisogna ricordarsi che nel settembre 2009, a neanche sei mesi dal terremoto, molti aquilani avevano già ottenuto una sistemazione provvisoria nel Progetto C.A.S.E. o nei M.A.P. (moduli abitativi provvisori). Probabilmente a scapito della trasparenza nei meccanismi di aggiudicazione delle gare e con migliaia di sprechi economici, il governo di allora aveva assicurato un tetto sopra la testa a molti cittadini. Ad Amatrice non è così, la costruzione delle casette va a rilento e la popolazione è stremata dal freddo o dalla vita fuori dal comune. Forse qualcosa di buono era anche stato fatto, a L’Aquila.
Ritardi ingiustificabili
I paesi sono ancora sommersi da cumuli di macerie. Le procedure di smaltimento sono state messe a gara, non affidate al comune: questo ha creato ritardi e iter burocratici infiniti. Allo stato attuale, solo l’8,57% delle macerie è stato rimosso, l’inizio della ricostruzione sembra una favola molto lontana.
A 365 giorni dal sisma, 9.000 sfollati sono ancora ospitati in strutture di accoglienza fuori dai comuni, mentre il resto della popolazione ha dovuto affrontare il gelido inverno nelle tendopoli.
3.830 S.A.E (Soluzioni abitative d’emergenza) previste in 51 comuni. Dopo un anno solo 456 di esse sono state consegnate. Le procedure di richiesta delle abitazioni provvisorie sono lunghe e farraginose. In nome di una presunta trasparenza delle procedure, gli sfollati sono costretti ad entrare in una giungla burocratica senza fine per avere una casetta di legno. Diversi provvedimenti da parte di diverse amministrazioni sono necessari per il definitivo posizionamento di un’abitazione. La paralisi, in queste condizioni, si raggiunge facilmente.
Ad Amatrice le prime venticinque casette sono state assegnate solamente il 20 gennaio 2017, in ritardo rispetto ai tempi previsti. L’assegnazione è avvenuta tramite sorteggio. Una vera e propria riffa sulla pelle dei terremotati, con la dea bendata a decidere il destino di intere famiglie. Tale modalità è stata ritenuta dalle autorità come la più equa; l’unica priorità sono state le famiglie con invalidi a carico. Nessun altro criterio di scelta, né residenza, né necessità lavorative o familiari: tutti con gli stessi diritti e alle stesse condizioni. Sono stati poi gli stessi Amatriciani che hanno fatto sì che le prime domande presentate fossero quelle delle famiglie con la vera esigenza di tornare in paese con un tetto sopra le loro teste. La popolazione, stremata dalle continue scosse e dalle condizioni climatiche poco favorevoli in inverno, è stata sottoposta all’ennesima prova. Il sorteggio avrebbe potuto mettere i compaesani uno contro l’altro, la popolazione ha invece dimostrato un enorme senso di comunità di fronte a questa sorta di tombola di cattivo gusto.
Piccoli segni di rinascita
L’Area Food inaugurata il 29 luglio scorso ad Amatrice è il simbolo di una popolazione che pian piano sta tentando di ripartire. Otto ristoranti, una struttura di 2000 metri quadri con vista sui Monti della Laga, il comune tenta di ripartire da ciò che lo ha reso famoso in tutto il mondo: la cucina. Gli spaghetti all’Amatriciana diventeranno, probabilmente, il motore per far ripartire l’economia del comune.
Nei mesi estivi il paese continua ad essere frequentato da persone del posto, romani che tornano per fare un weekend fuori città, turisti. Turisti dell’orrore, anche. Quel tipo di turisti che gli abitanti del paese non vogliono. Su espressa volontà del sindaco Sergio Pirozzi, sono comparsi quattordici cartelli ad Amatrice e frazioni: recitano «No selfie. Luogo di rispetto».
Il centro commerciale, i ristoranti, la sagra dell’amatriciana, i concerti con nomi grandi della musica italiana sono sicuramente un ottimo modo per cominciare, ma la popolazione amatriciana ha esigenze più pratiche e quotidiane.
Tutti sono ancora psicologicamente provati dalle numerose perdite che ci sono state in paese. Dei 299 morti del sisma del 2016, 221 si trovavano ad Amatrice e dintorni. Nessuna famiglia è rimasta intatta, tutti hanno perso qualcuno: un fratello, un figlio, un genitore o un semplice conoscente. Il lutto non è un ricordo lontano, il dolore è ancora vivo nelle anime dei terremotati e resterà per molto altro tempo ancora.
Amatrice, e il Centro Italia con essa, tornerà ad essere il centro montano che era prima del 24 agosto 2016? Probabilmente sì, ma non potrà e non dovrà essere tutto uguale a prima. Questo sisma lascerà un dolore indelebile nel cuore dei terremotati, ma dovrà lasciare il segno anche sulla struttura vera e propria del paese. Amatrice non potrà essere ricostruita ad immagine e somiglianza della vecchia Amatrice.
Il borgo, secondo geologi e ingegneri che stanno studiando la zona, sorge su un terreno molto instabile che reagisce alle onde sismiche con forti accelerazioni. Il com’era e dov’era non dovrebbe esistere. Bisogna abbattere quel poco – molto poco – che è rimasto del vecchio paese e costruire con criteri moderni, adatti a quel tipo di sottosuolo; o forse cambiare posizione, struttura architettonica degli edifici. Ricostruire il paese così com’era sarebbe un suicidio comunitario, Amatrice non sarebbe pronta ad affrontare un evento come quello dell’agosto scorso. In una zona a così alto rischio c’è bisogno di costruzioni che sì, rispettino la linea paesaggistica del luogo, ma che siano anche in regola con i moderni criteri antisismici.
È passato poco più di un anno da quella terribile notte del 24 agosto scorso. Un anno di lavoro, polemiche, lacrime e dolore. Un anno in cui gli amatriciani e il resto dei cittadini terremotati si sono rimboccati le maniche per ripartire. Sono ancora lì, forse un po’ ammaccati, sicuramente scossi, ma pronti a darsi ancora da fare per far rinascere quei borghi tesoro del centro Italia.