Chiedete ai più piccoli se conoscono le storie di Cenerentola, Biancanave o La Bella Addormentata. Quasi tutti vi diranno di sì. La figura della principessa in attesa di essere salvata si instilla ancora oggi nell’immaginario delle bambine già dalla tenera età. Forse però, pian pianino, le principesse potrebbero andare in pensione.
Lo dimostra il caso di un libro che, arrivato in Italia in primavera, ha scalato le classifiche delle vendite e ha fatto molto parlare di sé. Si tratta di Storie della buonanotte per bambine ribelli, 100 vite di donne straordinarie (Mondadori). Come possiamo intuire semplicemente leggendo la copertina, è una raccolta di cento storie per cento donne, con lo scopo di offrire modelli femminili diversi. Ad ogni donna sono dedicate due pagine. Al racconto della vita, scritta in modo semplice proprio come se fosse una favola ma allo stesso tempo in maniera accurata, è accompagnato un ritratto, mai banale, sempre diverso, per cercare di restituire al lettore (piccolo e grande) tutto il mondo del personaggio rappresentato.
L’inizio di ogni biografia ricorda molto una classica fiaba, il “C’era una volta” resta come incipit per ogni storia, ma, in questi casi, le principesse non ci sono e il finale è diverso.
Il messaggio è chiaro: basta aspettare il principe azzurro, le bambine possono diventare tutto quello che vogliono nella loro vita. Filosofe, piratesse, imperatrici, programmatrici, scienziate, alpiniste, scrittrici, partigiane, politiche, spie, modelle, inventrici… Insomma, non ci sono limiti a quello che le bambine potranno fare da grandi, e per convincersi occorre solo fare la conoscenza delle vicende che trovano posto tra le pagine del libro. Storie di donne che, in qualche modo, vengono così anche riconosciute da un mondo che spesso le ha dimenticate o completamente ignorate.
Il libro non costituisce l’unica operazione di questo tipo. Un altro bell’esempio ci arriva dall’Argentina dove è stata ideata una collezione che già nel titolo contiene una chiara dichiarazione di intenti contro la figura delle principesse, o almeno contro tutto quello che essa rappresenta. Si chiama proprio Le Antiprincipesse, edito nel nostro paese da Rapsodia. Il primo titolo della serie vede come protagonista la pittrice messicana Frida Kahlo, una donna assolutamente non convenzionale.
C’è anche chi, in Italia, ha fatto della lotta agli stereotipi di genere la missione della propria casa editrice. È il caso di Settenove che, con titoli come Selvaggia, C’è qualcosa di più noioso che essere una principessa rosa? o Mi piace Spiderman… e allora?, rivendica uno spazio di libertà e autonomia per la crescita e lo sviluppo della personalità dei bambini, tutti. Si cerca in questo modo di rompere quegli schemi e incasellamenti semplicistici e rigidi, che dividono in due metà nette e separate i bimbi: rosa contro azzurro, bambole contro macchinine, cucina contro costruzioni.
Non bisogna guardare solo al panorama dell’editoria contemporanea per trovare protagoniste femminili che potremmo definire fuori dagli schemi tradizionali, sicuramente non principesse. A ben vedere, anche alcuni classici del passato ci riservano delle sorprese.
Dalla penna di Lewis Carroll è nata una avventuriera Alice che si perde nel Paese delle Meraviglie, una sorta di anticonformista sui generis. Il libro è logicamente Le avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie.
Era il lontano 1865 e l’Inghilterra vittoriana dell’epoca imponeva l’adesione a norme e stili di comportamento rigidi, riconosciuti addirittura come valori fondanti della società. La piccola Alice va invece oltre ogni convenzione, oltre le qualità e le caratteristiche che si addicono a una bambina. Infatti è avventurosa, assolutamente non timida, sfida l’autorità ribellandosi alla regina, è coraggiosa, impaziente, molto critica verso l’ambiente e anche verso gli adulti che incontra.
C’è poi un libro a cui difficilmente penseremmo in questi termini, ma che potrebbe invece stupire se letto con attenzione: Piccole donne. Per essere più precisi, una delle piccole donne, Jo.
L’autrice, Louisa May Alcott, femminista e a favore del suffragio universale, desiderava sicuramente dipingere una ragazza ribelle per l’epoca. Sciatta, turbolenta, con un gergo un po’ spinto, com’è chiaro dalla sua ripetuta e preferita esclamazione «Cristoforo Colombo!». Jo racchiudeva l’irritazione della scrittrice per i modelli femminili dell’epoca e la sua passione e ambizione letteraria. Si tratta questo di un rimando diretto alla vita della Alcott stessa, che grazie alla scrittura riuscì a mantenersi in maniera indipendente. Essere indipendenti per le donne a quei tempi era infatti una circostanza niente affatto scontata.
Quando nel 1868 viene pubblicato in America, Piccole donne ha un potere che potremmo definire sovversivo. Oggi il tempo e l’evoluzione sociale, con tutti i cambiamenti che sono sopraggiunti e i diritti che le donne hanno conquistato, ne hanno sicuramente affievolito il potere, senza però cancellarlo tutto.
Jo resta una rivoluzionaria in un mondo che ancora pretende le buone maniere dalle bambine, accusate in caso contrario di comportarsi da maschiaccio. «Comportati per bene come una signorina» è una frase che spesso ricorre come avvertenza e monito per le bambine che non devono sporcarsi, correre e litigare. Ai maschi si dice invece «Non piangere come una femminuccia», come se piangere fosse poco virile e quindi appannaggio solo di quello che Simone de Beauvoir chiamerebbe il «secondo sesso».
Altro personaggio da ricordare, reso famoso anche dalla tv, è Pippi Calzelunghe, le cui avventure sono state lette in 37 paesi diversi. Scritto dalla svedese Astrid Lindgren nel 1944, nasce da una serie di storie raccontate dall’autrice alla figlia, che ne ha inventato il nome. Pippi è sicuramente fuori da qualsiasi schema: vive da sola, non va a scuola, non si pettina, non cura il suo aspetto e non ha proprio delle buone maniere. Così tanto anticonformista che, quando il libro venne pubblicato nel paese baltico, causò addirittura un profondo rivolgimento di costumi e grande scandalo fra i benpensanti. Alla fine degli anni ’60, ci furono molte ragazze tra quelle che parteciparono ai movimenti studenteschi che dichiararono di essersi ispirate proprio alla ragazzina con le trecce, a rimostranza del grande potere esercitato dai libri.
Pippi, Alice, Jo, e questo solo per citarne alcune, sono personaggi molto diversi, ma accomunati dall’insofferenza verso ciò che la società si aspetterebbe da loro in quanto donne. È come se condividessero lo stesso pensiero “che noia stare buone ed educate a non far altro che aspettare un buon matrimonio”. In fin dei conti, la morale delle fiabe era poi anche quella.
Pensiamo al classico dei classici: quando arriva il principe, Cenerentola si eleva socialmente, può finalmente smettere di fare la sguattera e fare la mantenuta. Ma quale messaggio più sbagliato per le bambine. Si dovrebbe invece insegnare loro che devono essere indipendenti, che possono decidere liberamente cosa diventare da grandi e realizzarsi come persone prima ancora che come mogli o madri. E questo non significa rinunciare all’amore ma essere consapevoli che in un rapporto si è su un piano di parità e mai di dipendenza. E se il principe non arriva, pazienza.
È questo il messaggio che bisognerebbe trasmettere, e proprio la letteratura per l’infanzia può essere un buon punto di partenza per farlo. I libri rappresentano un primo e importante sguardo sul mondo, veicolano determinati modelli. Ben vengano allora quelli che ci regalano personaggi alternativi, pieni di sfaccettature. Per fortuna, l’editoria si sta muovendo in questo senso come dimostrano le esperienze e i titoli citati inizialmente.
Insomma, non solo rosa e non solo principesse, ma spazio alla fantasia e alla libertà, perché essere intrappolati dalle convenzioni può essere proprio noioso, anche per le protagoniste delle storie.
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