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Nolan torna al cinema con Dunkirk: conferme e novità

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Anastasia Piperno

Pochi registi dividono i cinefili come Christopher Nolan. Dal successo internazionale della trilogia Il cavaliere oscuro (2005-2012), passando i due kolossal Inception (2010) e Interstellar (2014) l’autore britannico si è creato un fanbase a dir poco accalorato. In una reazione repulsiva, è nata allora una fazione opposta altrettanto implacabile. Così ogni suo film è un evento. Il suo seguito sembra gridare ogni volta al capolavoro, ma per Dunkirk (2017), ora nelle sale, sta accadendo qualcosa di diverso. Pur essendosi verificato l’ennesimo dibattito, questa volta i detrattori sembrano meno agguerriti. Infatti una parte nutrita di loro è stata persino conquistata dalla sua ultima fatica, giudicandolo il suo miglior film. La ragione addotta da molti è che il regista non dimentica la sua impronta autoriale, però i suoi tipici difetti qui non si presentano o soltanto in modo contenuto. Per poter capire se questo sia vero, è necessario individuare quali sono i punti ricorrenti del suo cinema. Di conseguenza si potrà vedere cosa cambia in Dunkirk e cosa rimane.

Da sinistra: Leonardo DiCaprio in Inception, Heath Ledger in The Dark Knight, Christian Bale in The Prestige e Guy Pearce in Memento.

I soggetti

Ciò che contraddistingue Nolan è una prospettiva materialista su storie ai limiti della realtà. I suoi primi tre film, Following (1998), Memento (2000), Insomnia (2002) erano thriller che ponevano l’attenzione sulla percezione alterata dei loro protagonisti. In essi lo spettatore era calato nella loro psicologia attraverso insolite soluzioni stilistiche, che lo inducevano a dare credito a soggetti invece inaffidabili. Ad esempio in Memento il conflitto drammatico era tra una condizione mentale critica, l’amnesia anterograda, e il bisogno di ancorarsi a un mondo esterno inconfutabile, popolato da deduzioni razionali, oggetti tangibili e fatti documentati.
L’attaccamento al dato reale poi si trasferì in un altro genere, che sembrava del tutto inadeguato: la storia supereroistica. Non sorprese però che Nolan avesse scelto proprio Batman per dare il suo contributo al filone: il personaggio non ha alcun potere paranormale. Rispetto ai suoi predecessori come Tim Burton per Batman Returns (1992), egli tolse il tratto fumettistico della fonte originale. Il suo intento era di garantire un coinvolgimento dello spettatore attraverso una pronunciata verosimiglianza estetica. Per via di questa prospettiva insolita si cominciò sempre più a parlare di «realismo nolaniano». Critica e pubblico si divisero su quanto esso fosse innovativo o inadeguato. Si introdusse comunque una novità nel genere, approfittando di un supereroe dal potere non caduto dall’alto, ma costruito in anni di allenamento fisico e di superamento di debolezze molto umane. Tornava quindi l’attenzione alla psicologia e la riconduzione razionalista di soggetti confinanti con il fantastico.
Ciò si riconfermò anche in The Prestige (2006), che raccontava della rivalità tra due illusionisti in età vittoriana. Entrambi i protagonisti sentivano il bisogno ossessivo di scovare i segreti del rivale, l’esatta meccanica della sua messa in scena.

Non furono da meno Inception e Interstellar, uno più ambizioso dell’altro. Per Inception si prese un soggetto tanto sfuggente come il mondo dei sogni e si cercò di inquadrarlo in un piano architettonico rigido, in cui procedere con piani d’azione precisi e dettagliati. Nolan qui sfondava le possibilità immaginative della fantascienza per costruire una complicata dimensione alternativa, dominata da leggi enunciate, ma con esiti imperfetti. Mai come in Inception il materialismo nolaniano fu respinto dai non entusiasti. Si fece notare una resa semplicistica dell’inconscio umano, nella volontà di non rinunciare a un intrattenimento commerciale. Inoltre si pensava che le ambizioni del regista risultassero in una struttura lacunosa. Tuttavia il film fu una conquista definitiva per i suoi fan, che cominciarono a vederlo come un nuovo genio del cinema da difendere con gli artigli. Ancora più dibattuto fu Interstellar, di nuovo di genere fantascientifico. Matthew McCounaghey si lanciava nello spazio, alla ricerca di un pianeta abitabile in cui trasferire la popolazione umana, prossima all’estinzione. I colpi di scena non si fondavano soltanto sulle relazioni tra i personaggi, ma anche su teorie sul tempo come dimensione spaziale, attraverso il Tesseract. Considerando l’omaggio a 2001: A Space Odyssey di Kubrick e Solaris di Tarkovskij, il confronto difficile con autori ormai consacrati nel tempo mise sotto una cattiva luce il bisogno di dare delle risposte, di incasellare grandi misteri che vanno oltre la razionalità umana. Si puntualizzò una resa banale e una struttura ancora più pericolante della precedente.

Schema riassuntivo dell’evacuazione di Dunkerque.

Dunkirk

Dunkirk allora si presenta come una scelta inedita: Nolan per la prima volta affronta un soggetto storico. L’episodio in questione è l’evacuazione di Dunkerque (Francia). Si svolse durante la seconda guerra mondiale, tra il 26 maggio e il 4 giugno 1940. Le forze armate tedesche, impegnate nella grande offensiva in Occidente, avevano sfondato il debole fronte francese sulla Mosa e stavano avanzando verso la Manica. Il Corpo di Spedizione Britannico e una parte delle forze franco-belghe si ritrovavano in una sacca sempre più stretta, isolati via terra. Oltre un milione di soldati erano intrappolati sulla costa e non restava che fuggire in Inghilterra via mare, con imbarcazioni navali di qualsiasi tipo. L’unico porto che aveva resistito ai bombardamenti tedeschi era a Dunkerque, dove i soldati si riunirono per essere portati in salvo.
Siamo lontani dalla fantascienza di Inception e Interstellar, dai trucchi magici di The Prestige e dalle maschere di Batman. In altre parole, non si è ai margini della realtà, ma dentro di essa senza alcun orpello, speculazione o scenario futuristico. Non c’è soltanto il confronto con la tradizione centenaria del genere bellico, ma il focus su una storia ancora vivida nella memoria inglese. Si tratta quindi di un materiale davvero delicato. Il suo fulcro drammatico è la pura sopravvivenza, momento per momento. Un’altra critica rivolta al regista è che si è mostrato spesso del tutto freddo e cerebrale, divertendosi nell’edificare i complicati universi di Inception e Interstellar. Ciò ha sacrificato una resa genuina dei sentimenti e dell’emotività umana. In Dunkirk c’è poco da costruire, perché domina il terrore degli aerei tedeschi, pronti a annientare cumuli indistinti di vite umane. Trionfa la totale precarietà dell’esistenza. Gli istinti sono l’unica bussola con cui orientarsi. Mai come prima si chiede il realismo a Nolan, che difatti porta la propria poetica al servizio del suo soggetto. Mostrandosi elastico e pieno di risorse, intende realizzare un’immersione totale nell’esperienza delle truppe intrappolate a Dunkerque. Gli espedienti utilizzati sono moltissimi. Alcuni di essi sono i seguenti.

  • Come si conviene a qualsiasi soggetto storico, è stata intrapresa una ricca documentazione sull’argomento. Sono stati organizzati anche numerosi incontri con i veterani sopravvissuti.
  • Dieci delle imbarcazioni utilizzate sono proprio quelle adoperate durante la battaglia.
  • Filmando perlopiù in loco, il mare mosso della baia è la principale condizione climatica in cui sono state fatte le riprese.
  • Come in Interstellar, si è scelto di limitare il più possibile il ricorso alla CGI. In questo caso sono state utilizzate sagome di cartone di soldati e veicoli per creare l’effetto di un grande esercito.
  • Nolan per la prima volta gira nei formati IMAX e pellicola 70 mm. Purtroppo le sale italiane che supportano questa tecnologia sono pochissime, e così altrettanto pochi sono gli spettatori italiani che hanno goduto della visione per come era stata pensata. La risoluzione IMAX grazie alle sue grandi proporzioni consente di esaltare le vedute panoramiche e restituire con fedeltà l’intensità dei colori (ripresi con luce naturale). The Hollywood Reporter rileva che si tratta della più grande distribuzione in formato 70mm dal 1992. Si persegue così l’obiettivo di calare il più possibile lo spettatore con i sensi.
Tre Spitfire in volo nel film. Warbids News documenta l’uso degli aerei sul set.

La gestione temporale

Nolan non rinuncia alla tematica del tempo. Partendo dall’innovazione formale, spesso privilegia uno sviluppo temporale non lineare. L’esempio più noto è Memento, dove ci sono due linee temporali. Una è in bianco e nero e segue in ordine cronologico il protagonista all’inizio della sua avventura, mentre l’altra è a colori e ha un ordine cronologico inverso, partendo dall’ultima scena della fabula. Le due linee temporali hanno un montaggio alternato, per cui si susseguono in modo cronologicamente opposto fino a incontrarsi come due binari incidenti. Nolan aveva già usato una linea temporale irregolare nel suo esordio Following, ma è con Memento che si è inciso nella memoria dei cinefili. Egli infatti intendeva rappresentare visivamente la percezione del protagonista, incapace di registrare nuovi ricordi e costretto ogni volta a mettere i pezzi insieme, come deve fare lo spettatore per ricostruire la storia.

Anche quando ha abbandonato una sequenzialità tanto elaborata, ha ricorso sempre al crosscutting. È una tecnica di montaggio usata per stabilire delle scene che avvengono nello stesso momento, talvolta in posti diversi. Un esempio è The Dark Knight, dove molti picchi di tensione sono stimolati da questa alternanza. Nolan è molto interessato al concetto di simultaneità e negli ultimi film lo ha elevato sempre più concettualmente. Infatti in Inception questa tecnica serviva per realizzare più livelli di coscienza compresenti.

Dunkirk non è esente da ciò. Senza essere troppo complicato, è abbastanza fluido e capace di garantire l’immersione sperata. Qui ci sono tre linee temporali, che sono messe subito in chiaro con una divisione letterale. Nelle prime scene vediamo tre zone diverse, intitolate secondo l’ambientazione e la durata. La prima è «Il molo – Una settimana». Si segue un collettivo di soldati che tentano di imbarcarsi sulle poche navi a disposizione, pur essendo bombardate continuamente. La seconda è «Il mare – Un giorno», che riguarda il percorso in barca di tre civili, diretti a Dunkirk per contribuire ai soccorsi. La terza è «Il cielo – Un’ora», in cui tre Sptifire britannici volano anch’essi verso Dunkirk per dare un supporto alle truppe.
I tre piani sono sviluppati parallelamente, ma secondo tre durate diverse. Nolan così aggiunge un altro tassello al suo discorso sulla variabilità della percezione temporale. Qui si oscilla tra un’immobilità logorante e la corsa contro il tempo. Da una parte una settimana sembra infinita: i soccorsi non arrivano mai, si teme di essere abbandonati al proprio destino e il nervosismo e l’angoscia rendono ogni minuto pesante come il piombo. Dall’altra ci sono quei momenti fatali in cui si è in apnea e non si riesce a risalire alla superficie, oppure il cielo è squarciato da una bomba area, fulmine mortale da cui ripararsi all’istante (se possibile). Ogni forza del proprio corpo è impiegata per scampare alla morte. È qui che il tempo si fa beffardo, perché all’improvviso non basta. Si riesce a mantenere centosei minuti di tensione ininterrotta grazie al continuo gioco tra stasi e dinamismo. La sensazione di intrappolamento infatti è declinata secondo molte variazioni. Le truppe si muovono come formiche impazzite entro pochi metri. La nave a cui si erano per mettersi in salvo nel giro di pochi minuti diventa un’altra trappola letale, affondando. Nella seconda linea narrativa un soldato (Cillian Murphy) viene recuperato dalla barca dei tre civili. Quando si rende conto che i tre non gli permetteranno di fuggire, perché stanno andando proprio a Dunkirk, il salvataggio non è più sinonimo di sollievo. Il trauma della guerra si manifesta tramite un tremore insopprimibile e uno sguardo basso, disperato. Anche la linea narrativa degli Spitfire mostra come lo stesso aereo possa rivelarsi una prigione soffocante.

Le inquadrature brusche di Nolan, per cui collabora abitualmente il montatore Lee Smith, contribuiscono al ritmo concitato. In media non durano più di due secondi. Altrove, ad esempio in Insomnia, era superfluo. Qui forse non è del tutto indispensabile, ma l’irrequietudine dell’autore trova il suo soggetto più fecondo. Si aggiunge poi il feroce movimento delle onde, in cui le telecamere IMAX si calano spesso. La natura e l’uomo sono in costante collisione: la prima è pronta a disfare qualsiasi appiglio del secondo, che imperterrito ci riprova.

La colonna sonora

L’uso della musica è l’elemento ritmico più evidente. Da Batman Begins (2005) in poi la collaborazione del compositore Hans Zimmer è stata costante. Si tratta di una parte poco osteggiata, perché le eccezionali abilità di Zimmer hanno sempre saputo creare un’atmosfera perfetta per il soggetto di turno. Il caso più popolare è la trilogia di Batman, dove la composizione grandiosa era in grado di esaltare l’epicità del mito alato. L’artista non è stato da meno con i ritmi più morbidi e malinconici di Interstellar, dimostrandosi poliedrico. Al momento attuale si contano ben dieci candidature agli Oscar per le sue colonne sonore, tra cui proprio quelle di Inception e di Interstellar. Tuttavia ha vinto soltanto per Il re leone. Qualcuno però si chiede se Dunkirk non possa fargli ottenere un’altra statuetta. Infatti privare quest’opera della sua colonna sonora equivarrebbe a mutilarla di almeno metà del suo fascino. Invece che librarsi nell’ampio respiro di altre opere, Zimmer lavora su toni bassi. Un’orchestra di ticchettii scandisce ogni palpito. Il senso di minaccia incombente è sollecitato da una progressione sonora che è sempre sul punto di sfociare in un’esplosione. Non è raro però che la tensione non sia affatto liberata, provocando una sospensione serrata. Questo espediente sonoro si chiama Shepard Tone. Zimmer lo usa in molti suoi film (un altro esempio è Sherlock Holmes di Guy Ritchie). Il canale YouTube Vox ha pubblicato un video in cui spiega nel dettaglio il meccanismo adoperato da Zimmer, in particolare per Dunkirk.
Così la musica riflette la continua vigilanza sensoriale dei soldati.

Uno degli attori principali del film, Fionn Whitehead.

I personaggi

Oltre a tutti i punti sopracitati, un altro elemento su cui hanno sempre fatto leva i non estimatori sono gli innumerevoli difetti di scrittura dei fratelli Nolan (Christopher e Jonathan). Addentrandosi in scatole cinesi, i personaggi sono spesso troppo occupati a spiegare fino all’eccesso didattico le proprie teorie o i propri piani. L’indicazione celebre «show, don’t tell» è messa completamente da parte. Il dialogo diventa una sorta di discussione intavolata con lo spettatore per aiutarlo a entrare dentro il proprio progetto. Si rischia però di sottrarre plausibilità al tutto, in quanto è molto difficile, come si vede in Interstellar, che un astronauta debba spiegare a un collega cos’è un buco nero. Inoltre aumenta la cerebralità già poco apprezzata. Tuttavia molti dei protagonisti di queste opere sono guidati da impulsi, passioni o covano segreti laceranti, per non parlare della ricorrenza dell’amore perduto che adombra il loro animo come una casa infestata. Allora si fa più problematica la macchinosità riscontrata non di rado, specialmente quando la resa dei sentimenti stenta in espressioni senza vita. Nell’opera meno riuscita, The Dark Knight Rises (2012), i soliti buchi di sceneggiatura coinvolgono anche la costruzione dei personaggi e le loro relazioni, abbozzate e depotenziate. Dunkirk è un’eccezione. Questa volta si inscena uno script dimezzato. I personaggi non hanno un nome, parlano poco e non hanno delle storie individuali da raccontare. Non c’è un passato da portare sulle spalle, perché molti di loro sono soltanto degli adolescenti catapultati in un contesto più grande di loro, schiacciati dall’orrore di ogni giorno. Cobb e Bruce Wayne celavano una malinconia che li allontanava dagli altri, pur operando con loro in vista di un obiettivo. Qui la desolazione è proposta in una chiave di inedita e grave profondità. Ognuno è solo con se stesso, ma l’umanità come tale è pulsante. Tornano gli spazi vasti e vuoti cari a Nolan e si fondono con i movimenti di massa. «Ho passato molto tempo a vedere e rivedere molti film muti» ha rivelato il regista «in particolare Rapacità, Intolerance e Aurora, per studiare le scene di massa, il modo in cui si muovono le comparse, come è sfruttato lo spazio, i punti di vista usati». Le fonti monumentali in questione sono state un’ispirazione efficace, perché qui si trasferiscono in lirici paesaggi di unione tra cielo e spiaggia. Non ci sono paladini della giustizia, ma un rinnovato senso epico nasce lentamente da questo collettivo disperato che si muove in quadri minimalisti, quasi primordiali.
Attraverso dei campi panoramici e con l’aiuto del cinema muto, inoltre, si rende la brutale facilità con cui una vita perisce inosservata. Dunkirk, in quanto film di guerra, è esemplare nel non versare sangue. Di contro allo splatter e le viscere di un Mel Gibson, ad esempio, qui si gioca di gran lunga sull’allusione. È nello sguardo pieno di sfumature di un Kenneth Branagh che si indovina un nuovo caduto in battaglia, oppure in un corpo appena lasciato indietro nella fuga e rimasto fuori campo, o ancora in un’inquietante macchia rossa nel mare.

Da sinistra: Harry Styles, Aneurin Barnard, Fionn Whitehead.

Un nemico invisibile

Le scene di combattimento frontale sono un altro bersaglio favorito dalle critiche. Nella trilogia di Batman, ad esempio, sono spesso considerate maldestre, non intelligibili. Una delle ragioni risiede nella media durata delle inquadrature. Jim Emerson di IndieWire ha offerto una dettagliata analisi delle scene d’azione in The Dark Knight. Con Dunkirk il nemico muta forma: non compare mai in carne e ossa, ma rimane dietro a un rilievo. È un’ombra psichica che attanaglia gli uomini. È una minaccia mortale che è sempre sul punto di invadere l’ultimo centimetro di terra rimasta. Non di rado i personaggi scrutano il cielo o un angolo al di là della camera. Persino gli aerei, unico segno di presenza dei tedeschi, sono inquadrati fulmineamente. Si preferisce zoomare i loro effetti sulle vittime.
Scegliendo di concentrarsi su un episodio di ritirata, la guerra non è più un’occasione di esaltazione patriottica. Nolan conquista un largo consenso proprio per la riduzione dell’esperienza bellica al tremore, al grido, allo scatto di autoconservazione. Persino quando il finale fa temere uno scivolone, si assesta un ultimo colpo silenzioso. Contro il discorso retorico di Churchill, che echeggia nella scena, l’ultima immagine è il volto di Fionn Whitehead. Il ragazzo realizza drammaticamente il succo della dichiarazione pubblica del Primo Ministro. Si tornerà in guerra. Si sarà riconsegnati alle braccia dell’abisso.

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