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No USE: a quando gli Stati Uniti d’Europa?

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Matteo Antiga

Jean-Claude Juncker è fiducioso sul futuro dell’unione. Il 13 settembre il presidente della commissione Europea ha tenuto l’annuale discorso sulla condizione dell’Unione, iniziando col richiamare alla mente dei presenti gli argomenti e le emozioni legate al discorso dell’anno precedente, che ha visto l’Unione tremare e dubitare delle proprie capacità e dei propri valori: la Brexit, il terrorismo islamico e la forte crescita dei partiti euroscettici mettevano in dubbio il progetto europeo. Juncker ha ricordato un periodo oscuro e provante della storia dell’Europa, quando fu necessario per ogni paese e ogni parlamentare capire da che parte stare: dentro, o fuori. Molti, afferma il presidente, hanno scelto di rimanere in Europa. I partiti euroscettici hanno ricevuto diverse sconfitte, come in Francia e Austria, e molti critici passati dell’Europa hanno evoluto o reinterpretato il loro pensiero, volendo cambiare l’Europa, non più cancellarla. Questo, secondo Juncker e molti altri parlamentari intervenuti dopo il discorso del presidente, è un segnale estremamente positivo, soprattutto in contrasto con la grande crisi d’identità che il continente ha dovuto affrontare. «Ora di nuovo il vento soffia per l’Europa», ha detto Juncker, «ma non c’è tempo da perdere». Sono molti i punti dell’agenda della commissione e di ogni organo dell’Unione, parlamento in primis, entro il 2025. Juncker ne cita alcuni, prestando particolare attenzione agli obiettivi dei prossimi sedici mesi, estremamente ambiziosi, ma che devono indicare una direzione ben precisa a ogni organo europeo: cambiamento climatico, regolamentazione delle ondate migratorie e della distribuzione delle quote di ogni paese (in merito a questo argomento il presidente della commissione afferma inoltre che «l’Italia sta salvando l’onore dell’Europa»), perseguire nel piano di creazione di posti di lavoro, sviluppo dell’industria, creazione di nuovi trattati di commercio intercontinentali. Juncker ha anche trattato di progetti e casi molto più specifici, come il fatto che la Turchia sia sempre più lontana dalla possibilità di unirsi all’Unione, forse perfino volontariamente (ovviamente non negando la possibilità che in futuro tutte le divergenze tra Turchia ed Europa possano essere risolte), o che venga cessato il finanziamento ai partiti euroscettici.

 

Dubbi e scetticismi sono attualmente elementi caratteristici dell’Unione Europea. Basti pensare che, ufficialmente, le indicazioni delle istituzioni europee dovrebbero superare quelle nazionali, ma spesso si è visto il contrario. I paesi membri rifiutano, non raramente, che possa essere un’istituzione “straniera” a controllare e determinare le vite dei propri cittadini. Si vede ancora, dopo tutti questi anni, una figura aliena in quella dell’Europa. Quando, per esempio, un qualsiasi leader politico nostrano tratta a un comizio di temi continentali lo si sentirà trattare l’Europa, indipendentemente dal suo schieramento, come di un supervisore che non sempre conosce cosa effettivamente sia meglio per il bel paese. L’europeismo appare, perfino nei suoi più profondi sostenitori, difficile, faticoso. «Sì all’Europa, ma bisogna cambiare verso», abbiamo sentito queste parole pronunciate da Matteo Renzi, da Luigi di Maio, da Angelino Alfano e Silvio Berlusconi. Tutti vogliono cambiare l’Europa perché, dopo tutti questi anni, coloro che si sentono europei prima che italiani sono veramente in minoranza. Juncker nel suo discorso, seppur non direttamente, ha trattato anche di questo: di un vuoto, della mancanza di un sentimento europeo. Spesso Juncker ha criticato fortemente l’operato del parlamento, ad esempio, perché spesso non lavora specificatamente nell’interesse dell’intera Unione, ignora gli stati più piccoli (ricordiamo, per esempio, quando qualche mese fa il presidente maltese visitò il parlamento europeo e Juncker, indignato per la misera presenza di una trentina di parlamentari, definì il parlamento europeo «ridicolo»), ignora le direttive della commissione. Si critica spesso e fortemente l’operato macchinoso e/o fallace del parlamento europeo, ma bisognerebbe ricordare che il parlamento non è composto di fantasmi: sono i cittadini che votano i propri rappresentanti, coloro che lavorano nell’interesse dell’Unione intera siamo noi.

(Foto di MMO-Champion)

Tralasciando la responsabilità di parlamentari ed elettori, viene da chiedersi se mai vedremo una vera e propria confederazione: gli Stati Uniti d’Europa, il sogno di ogni europeista. Il futuro dell’Unione è sempre stato incerto sin dai suoi albori, e come lo stesso Juncker ha affermato nella parte conclusiva del suo discorso, «dobbiamo riparare il tetto finché c’è il sole, perché non ci sono dubbi che arriveranno le nuvole». L’Unione Europea non nasce da casualità, ma da grandi rivoluzioni legali e sociali. Chi avrebbe mai potuto immaginare, negli anni quaranta, che avremmo avuto un trattato di libera circolazione tra i paesi membri, permettendoci di viaggiare liberi da qualsiasi frontiera? Sperare in una confederazione solida, unita non solo legislativamente, ma da un vero sentimento unitario non è da sciocchi sognatori. Per rendere questo sogno realtà, però, è necessario che nascano iniziative e proposte concrete che possano, progressivamente, realizzare la futura confederazione europea. In passato l’Unione ha già attivato iniziative di questo tipo di grande rilevanza, come il progetto Erasmus, focalizzato sugli scambi universitari, che ogni anno coinvolge più di mezzo milione di persone. Sono molti, tuttavia, i progetti e le proposte degli stessi parlamentari europei che attendono non solo di essere approvati, ma anche semplicemente discussi. Uno dei più significativi è quello dell’esercito unico, proposta e sostenuta dallo stesso Juncker e dai vertici militari tedeschi e francesi. L’idea di un’unica armata europea non è nuova, e anzi riappare periodicamente sulle bocche dei media e degli organi dell’unione, eppure, nonostante i vantaggi predicati, l’esercito europeo rimane tutt’oggi una coordinazione (piuttosto scoordinata) delle forze militari degli stati membri, che continuano a rispondere al proprio comando nazionale.

Immagine promozionale del progetto Erasmus+

Chi pensa che l’idea della confederazione sia nuova, e quindi ancora da studiare approfonditamente prima di essere realizzata, si sbaglia. Da Mazzini, fondatore della Giovine Europa, a Churchill: è una lista interminabile quella dei grandi protagonisti degli ultimi due secoli che sognavano una grande Europa, che potesse tornare a guidare il mondo. Si sono scritti volumi su volumi a riguardo, su quale direzione prendere e quali cambiamenti premono di essere realizzati prima di altri. Dopo tutto questo tempo, però, l’Europa ancora fatica a vivere pacificamente. E forse, finché davvero non vedremo un volto unico rappresentarci e davvero sentiremo l’autorità di Bruxells, parlare di Stati Uniti d’Europa rimane semplicemente un sogno.

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Matteo Antiga

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