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La Guerra di Secessione, il blues dall’emancipazione alla segregazione

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Antonio Di Meglio

Le puntate precedenti:
1. Mama Africa – le origini africane del blues
2. Sinful Tunes: il blues afroamericano tra ribellione e rassegnazione


La Guerra di Secessione rappresenta un punto di svolta nella storia americana e mondiale, oltre a essere il conflitto anticipatore della Grande guerra per strategie e mezzi. Essendo causa di massicce migrazioni che coinvolsero gli afroamericani residenti nel deep south, fu determinante dal punto di vista culturale nella diffusione del blues a livello nazionale e per il suo ingresso nel patrimonio culturale americano, cosa che favorì anche l’integrazione degli afroamericani nella società americana pur se con grandi difficoltà e battaglie.

Il mito americano

Nella storia degli Stati Uniti ci sono molti miti, molte idealizzazioni che hanno contribuito a costruire un’identità nazionale per un paese nato in un’epoca e in un luogo in cui non era possibile fare appello a qualche forma di folklore comune. Questa idealizzazione ha investito violentemente anche gli avvenimenti legati alla guerra di Secessione ma anche quelli che costituiscono il prodromo del conflitto in sé. La guerra di Secessione viene spesso dipinta come lo scontro improvviso tra i nordisti “buoni”, a cui fanno da spalla gli afroamericani improvvisamente diventati autentici patrioti, e i sudisti “cattivi”. Niente è più lontano dalla verità: le tensioni tra Nord e Sud erano già presenti molto tempo prima della Secessione e gli schieramenti non furono solo Nord e Sud ma ci fu anche l’Ovest. Soprattutto gli afroamericani non andarono a morire cantando il loro blues insieme ai nordisti bianchi e non si trovarono accettati nella società al termine della Secessione con i loro diritti rispettati.

Tensioni accumulate

Le tensioni tra gli abolizionisti e i futuri artefici della Secessione risalgono a quando il Nord cominciò a diventare la culla dell’industrializzazione statunitense. In breve il Nord divenne molto più popoloso del Sud, riuscendo a ottenere una maggioranza schiacciante alla Camera dei rappresentanti, dove gli stati dell’Unione inviavano dei rappresentanti in base alla loro popolazione. Nell’altra camera del Congresso, cioè il Senato, la rappresentanza dei vari stati era paritetica, quindi ogni stato inviava lo stesso numero di rappresentanti al Congresso (due). Fino al 1819 la situazione era rimasta a favore degli stati nordisti, tuttavia l’ingresso dell’Arkansas proprio nel 1819 portò la situazione ad uno stallo, tanto che la prima proposta di legge abolizionista si arenò al Senato.

Compromesso storico

A preoccupare i nordisti e riaccendere le tensioni fu un’altra richiesta di annessione, stavolta da parte del territorio del Missouri. Lo schieramento nordista pose come condizione all’entrata del Missouri, stato schiavista, l’abolizione progressiva della schiavitù. Ovviamente per i rappresentanti degli stati schiavisti e futuri artefici della Secessione ciò era inammissibile. Il compromesso fu tuttavia trovato secondo le seguenti clausole: il Missouri veniva annesso come stato schiavista e come contropartita veniva creato lo stato del Maine (non schiavista), fino ad allora parte del Massachusetts. Inoltre il confine meridionale del Missouri fu adottato come limite al nord del quale non si potessero annettere stati in cui fosse presente la schiavitù, viceversa a sud della linea la schiavitù poteva prosperare.

Gli stati dell’Unione all’epoca del Compromesso, da notare il confine del Missouri, tracciato come limite tra Sud e Nord.

«Un allarme d’incendio a mezzanotte»

Era la prima volta che la questione della schiavitù si poneva dal punto di vista politico. Questo stava a significare che non era più solo un’opposizione tra due culture ancora in via di sviluppo, ma era un’opposizione tra due sistemi di vedere il mondo e di vivere completamente diversi. Fino ad allora gli attriti erano limitati (presumibilmente) a qualche pregiudizio reciprocamente scambiato.

Molti leader politici pensarono di aver messo a tacere la questione con quello che venne definito “compromesso del Missouri”, tuttavia i fatti degli anni seguenti dimostrarono che l’anziano Thomas Jefferson ebbe ragione a definire la questione «un allarme d’incendio a mezzanotte». L’anziano politico e molti altri avevano ormai capito che il modello sociale sudista era destinato a spegnersi lentamente o di colpo, a seconda delle future azioni degli stati nordisti, e c’erano segni sociali evidenti anche nel modo di comportarsi degli schiavi.

«Oh Pharaoh, let my people go»

Negli anni seguenti al compromesso gli schiavi cominciarono a sviluppare un’intera gamma di comportamenti volti a manomettere la produzione delle terre a cui erano assegnati, iniziarono a essere violenti con gli attrezzi e gli animali da campo che gli venivano dati, rubavano o distruggevano attrezzi e prodotti fuori dal loro posto di lavoro e diventavano sempre più esperti nelle fughe, tanto che ci restano testimonianze di una vera e propria rete di sentieri e percorsi di fuga noti solo agli schiavi denominata Underground Railroad, con la quale ha a che fare proprio il blues.

Il blues del periodo era sostanzialmente quello delle piantagioni ma con temi diversi, o meglio, con un modo di esprimersi diverso, mentre dal punto di vista stilistico restava praticamente immutato rispetto al precedente. La differenza era però abissale sul piano comunicativo per vari motivi: primo fra tutti l’uso molto più consapevole dell’inglese, che era ormai la lingua madre degli afroamericani. Di conseguenza ci fu l’integrazione di vari termini africani all’interno del vocabolario sudista, col risultato che anche il modo di parlare dei bianchi ne rimase influenzato. Il secondo motivo di questa abissale differenza è lo scopo nuovo e inedito che si prefigge questo blues: quello di essere il veicolo di un messaggio di speranza nella fuga, un messaggio pericoloso e difficile da diffondere altrimenti. I nuovi blues del periodo che va dal 1820 circa alla Guerra di Secessione sono comunque ricoperti di quella patina malinconica che caratterizza il blues ancora oggi e che riflette la condizione di chi sperava nella libertà senza comunque dimenticare la schiavitù del presente. L’aspirazione alla libertà si concretizzava musicalmente in frequenti rimandi a versetti biblici sulla liberazione degli Ebrei, tra questi è celebre «Oh Pharaoh, let my people go», un blues famoso ancora oggi nelle comunità afroamericane. Questo fu forse il primo di questo tipo, probabilmente risale a molto prima dell’epoca vicina alla Secessione e secondo alcuni potrebbe addirittura risalire alla fine del secolo precedente come risultato della predicazione dei missionari afroamericani nelle piantagioni. L’esempio di «Oh Pharaoh, let my people go» rappresenta comunque un esempio molto “blando”: in esso c’è l’aspirazione alla libertà di molti altri testi, ma manca un elemento distintivo che è un riferimento pratico a una ribellione da organizzare, mettere in atto o rimandare. Sfortunatamente sia per le difficoltà interpretative dei testi che ci restano, sia per la difficoltà nel datarli è difficile interpretare il double talk nel periodo in cui fu davvero la lingua parallela degli afroamericani: sembra addirittura paradossale che proprio quando alcuni termini di questo linguaggio entravano nel lessico comune, esso si fece più oscuro che mai.

Blues (de)criptato

Al di là di queste difficoltà oggettive nell’interpretazione, vale la pena spendere altre parole sulla funzione che assumevano in linea generale i blues del periodo immediatamente precedente alla Secessione. Se infatti è vero che ognuno di questi testi è difficile da interpretare nella sua singolarità, è tuttavia vero che la funzione di questi blues è una sola e possiamo esaminarla appoggiandoci alle fonti che descrivono le fughe degli schiavi.

Su questo versante abbiamo la fortuna di avere resoconti sia da fonti sudiste, sia da fonti nordiste: è infatti una certezza che i leader abolizionisti attivarono una rete di contatti per aiutare gli schiavi a fuggire, in modo da depauperare il Sud su tutti i fronti. Più o meno gli itinerari seguiti dai bluesman erano due: uno che conduceva a destinazione tramite il Mississippi, e una altro via terra. Di solito le fughe erano solitarie, pianificate e annunciate da appositi canti. Una volta fuggito dalla piantagione l’ex-schiavo poteva scegliere due tipi di destinazione. La prima era quella preferibile, ovvero riuscire ad arrivare in Canada, dove la schiavitù non era più presente da tempo, oppure arrivare in uno stato abolizionista, con la speranza di non essere rintracciato. Descritta così la fuga sembra molto semplice schematicamente, ma bisogna tenere conto che la Underground Railroad è l’ultimo gradino dell’esperienza maturata dagli schiavi nel corso dei decenni: non fu un exploit avvenuto da un giorno all’altro ma il punto d’arrivo di un percorso molto tormentato, così come fu per la Secessione.

In foto alcuni degli itinerari della Underground Railroad, come da ricostruzione odierna.

Lo scoppio della guerra

Le tensioni che avrebbero portato alla Secessione sembravano ormai sepolte, ma non erano sepolte nel senso che non sarebbero più tornate: erano sepolte sottopelle, avevano prodotto un cambiamento nella cultura americana di tutti giorni. Ora il Nord guardava il Sud come un peso inutile, l’Ovest lo considerava un luogo popolato da persone primitive e rozze che avevano tradito il sogno americano con il loro sistema basato sulla schiavitù. Dopo essersi insinuate nella vita di tutti i giorni queste tensioni tornarono, rafforzate, nello spazio politico, dopo circa quaranta anni di mal sopportata vicinanza gli attriti tra Nord e Sud esplosero durante le elezioni presidenziali del 1860, preludio della Secessione vera e propria.

Lincoln il pragmatico

Il risultato delle elezioni confermò le preoccupazioni dei sudisti: come sedicesimo Presidente degli Stati Uniti era stato eletto Abraham Lincoln, abolizionista fin dagli esordi in politica. Lincoln non era tuttavia il ritratto del classico freesoiler o abolizionista. Si era sempre dimostrato molto più pragmatico e mediatore rispetto ai suoi compagni di schieramento, soprattutto nei momenti in cui una cultura campanilista aveva polarizzato anche la discussione politica di alto profilo.

Le sue posizioni sulla schiavitù sono ancora oggetto di dibattito e ciò riflette le molte sfaccettature della politica di Lincoln, esse possono essere riassunte così: sull’opportunità di abolire la schiavitù con un’esposizione in prima persona ebbe a dire «Io salverei l’Unione.[…] Il mio obiettivo supremo in questa battaglia è di salvare l’Unione, e non se porre fine o salvare la schiavitù. Se potessi salvare l’Unione senza liberare nessuno schiavo, io lo farei; e se potessi salvarla liberando tutti gli schiavi, io lo farei; e se potessi salvarla liberando alcuni e lasciandone altri soli, io lo farei anche in questo caso», mentre ribadì che sul piano del credo personale, anche se non riteneva possibile un’uguaglianza di classe, sosteneva la causa abolizionista come aveva sempre fatto.

Dunque si può affermare, anche se non con certezza assoluta, che al contrario della sua personale visione politica l’operato di Lincoln fu improntato a un pragmatismo e una moderazioni inusuali per le circostanze, sia prima sia dopo la Secessione.

Una Secessione inaspettata

Poco dopo la sua elezione, Lincoln dichiarò che il suo obiettivo era abolire la schiavitù in tutta l’Unione. Tuttavia non specificò come intendeva arrivare al suo obiettivo e si attirò l’odio immediato dei sudisti più intransigenti, che sfociò in un primo attentato a cui il presidente, non ancora insediatosi, sfuggì. Una volta raggiunta Washington, Lincoln si mise all’opera per evitare la Secessione, che i sudisti ormai minacciavano di portare avanti seriamente. Lincoln propose diverse alternative di abolizione graduale della schiavitù e successiva riconversione dell’economia sudista, come degli indennizzi. I lavori per evitare la Secessione non ebbero l’effetto sperato, tuttavia essa prese alla sprovvista entrambi gli schieramenti: basti pensare che Jefferson Davis, futuro presidente della Confederazione, non sapeva della proclamazione ufficiale della Secessione, pur ritenendo che essa era ormai la volontà del popolo sudista e andava rispettata nonostante lo scenario disastroso a cui avrebbe portato.

La Secessione colse inaspettati anche alcuni leader sudisti, tanto che alcuni stati schiavisti decisero di restare nell’Unione, in foto sono rappresentati in arancione.

Il primo conflitto industriale

Sul piano politico la Secessione era stata una conseguenza tenuta in conto ma inaspettata per entrambi gli schieramenti, ma gli imprevisti non finirono: la guerra fu molto più dura da vincere per il Nord, sostanzialmente per due motivi. Il primo è rappresentato dall’inefficacia delle tattiche dei nordisti, problema risolto dal generale e futuro presidente Ulysses S. Grant. Dopo l’intervento di Grant la guerra prese ritmi molto più rapidi, grazie alla sua capacità di sfruttare le risorse militari e tattiche più moderne, tanto che si parla della Guerra di Secessione come “primo conflitto industriale”.

Il secondo problema era rappresentato dai cosiddetti copperhead, ovvero quei cittadini, per lo più residenti nell’Ovest, che erano contrari alla guerra se non proprio favorevoli alla sconfitta dell’Unione, dalla cui sconfitta speravano di ottenere più autonomia dal governo federale. I fatti andarono in tutt’altra direzione, con un governo federale molto più forte di prima e massicce migrazioni che coinvolsero gli afroamericani presenti nel Sud, i quali rappresentavano circa il 12% di tutta l’Unione (nel Sud essi erano pari al 50%).

Il blues  prima e dopo la Secessione

Il blues rimase sostanzialmente immutato durante la Guerra di Secessione continuando ad assolvere la funzione di canto di speranza per il popolo afroamericano. Le cose sarebbero cambiate in modo radicale dopo la fine della guerra. Ricucita la Secessione, milioni di afroamericani si trovarono in una situazione totalmente diversa, liberi giuridicamente ma con innumerevoli handicap dal punto di vista civile. Al Sud, finito un periodo di spartizioni e arricchimenti seguito alla morte di Lincoln, i Repubblicani divennero il partito che più si adoperò contro le libertà degli afroamericani. Alla fine della Secessione aveva esaurito la spinta rinnovatrice del loro partito, così le vecchie èlite sudiste approvarono leggi discriminatorie contro gli afroamericani approfittando delle falle presenti nel testo degli emendamenti, i quali proibivano la limitazione dei diritti federali solo se fatta su base razziale. Fu così che venne approvata ad esempio la cosiddetta “clausola del nonno”, per cui in una data elezione poteva votare solo chi avesse degli antenati che lo avevano già fatto.

Dall’emancipazione alla segregazione

La “clausola del nonno” è solo un esempio di quello che venne definito “Jim Crow System”, dal nome di un personaggio afroamericano di una famosa coon song. Le coon song (letteralmente “canzoni del procione”) erano un genere musicale che consisteva in piccole piece teatrali e musicali di natura satirica. All’inizio nacquero come modo di irridere i bianchi sudisti da parte dei neri appena dopo la fine della Guerra di Secessione. I sudisti se ne appropriarono rapidamente rendendolo un genere di presa in giro verso i neri, tanto che si arrivò ad avere una maggioranza di neri che interpretavano le coon song prendendosi in giro da soli. Il fatto che fece accettare ai neri questo destino beffardo fu probabilmente la ferma volontà di non tornare più al lavoro nei campi, cosa che all’epoca rappresentava l’unica opzione per chi non poteva permettersi di emigrare a Nord.

Jim Crow divenne presto il nome di tutto l’apparato di leggi contro i diritti degli afroamericani, una situazione che perdurerà a lungo.

Forever bluesman

Ancora una volta gli afroamericani si trovavano a sopravvivere (quasi o) solo della loro musica, sebbene in condizioni ben più miserabili dal punto di vista culturale di quanto subisse un nero libero prima della Guerra di Secessione. Ovviamente e nonostante tutto il bilancio restava positivo, come sarà dimostrato dalle ampie migrazioni di afroamericani nel corso dei primi cinquant’anni dopo la Secessione. Di queste migrazioni saranno protagonisti proprio i bluesman che troveranno un’opportunità di riscatto nella nascente industria musicale.

Bibliografia

La Guerra di Secessione è descritta in moltissimi testi con diversi punti di vista, e sarebbe difficile menzionare un solo testo che faccia anche solo da introduzione. Tuttavia è possibile appoggiarsi a un numero non eccessivo di testi per avere un primo approccio vario. Sulla Secessione come “conflitto industriale” ma anche come guerra per “l’indipendenza del sud” c’è Storia della guerra civile americana di Raimondo Luraghi, che affronta il conflitto da un punto di vista sociale. Per chi è interessato alla quotidianità del conflitto è ottimo il libro La Guerra civile americana nelle memorie di un soldato comune, scritto dal veterano nordista Leander Stillwell.

Sulla figura di Lincoln più che una biografia è utile l’antologia di suoi discorsi curata da Marco Sioli: Abraham Lincoln: le parole, le politiche e l’uso politico. Sul blues prima e dopo la Secessione sono presenti solo fonti da archivio, mentre si trovano dei capitoli a proposito e scritti benissimo in Blues: la musica del diavolo di Giles Oakley.

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