Tra i pregi da riconoscere alla lingua italiana, uno dei primi da tenere in considerazione è di certo quello dell’avere un vastissimo corpus linguistico tramite il quale anche la più vaga delle sensazioni umane può essere identificata e riconosciuta, quindi esposta e compresa. Possediamo un termine per indicare il bruciante rimpianto di un momento passato, e lì ci diciamo ‘nostalgici’, ci serviamo di ‘malinconia’ per dar corpo e identità a una tristezza indefinita e sottile, quasi vagheggiata; adoperiamo ‘speranza’, ‘trepidazione’, ‘desiderio’, rispetto a un futuro che attendiamo. Eppure, non abbiamo un termine che sia la risultante di tutti questi momenti. I portoghesi, in questo, sono stati certo più bravi di noi, superandoci nell’invenzione della ‘saudade‘.
La derivazione della parola rimane incerta: alcuni pensano derivi dall’arabo aswad, cioè nero, mentre altri lo riconducono a solitas latino, nel significato di solitudine. Nonostante, almeno per noi, il significato appaia piuttosto difficile e la sua origine sia ancora indefinita, molti sono gli studi a riguardo e i lasciti della saudade nell’arte, soprattutto in letteratura.
Pessoa, personaggio difficile ma tra i più influenti del XX secolo, è stato uno scrittore e poeta portoghese dalla personalità decisamente complessa. Basti pensare all’invenzione di una serie di eteronimi tutti ben costruiti, dotati di biografia e autonoma personalità, ognuno dei quali però ha avvertito la propria e intima forma di saudade. Pessoa, in una forma di finzione liberatoria, ha dotato ogni personaggio da lui creato non solo di una propria biografia ma anche di una caratterizzante personalità, di una propria fisionomia anche fisica. La vita simultanea di Ricardo Reis, Alvaro de Campos, Bernardo Soares e Alberto Caeiro gli hanno causato spesso una sorta di altalenanza tra una sorta di isteria e una sensazione di affrancamento rispetto a sé. Eppure la liberazione non si compie mai nella sua totalità, poiché ognuna di quelle vite è collegata alle altre anche tramite questo sentimento di indefinito malessere, questa corrente di quasi-melanconia contemporanea a ogni tempo. La motivazione è da ricercarsi nella biografia di Fernando, che all’età di sette anni è costretto a trasferirsi da Lisbona a causa della disgregazione della sua famiglia. Così sempre da lui saranno rivangati e desiderati più che i mondi perduti della sua infanzia, i sentimenti che appaiono dimenticati, quasi appartenuti ad un’altra persona.
«[…]non so perché, mi coglie un’angoscia mai provata,
una nebbia di sentimenti di tristezza
che brilla al sole delle mie angosce rifiorite
come la prima finestra sulla quale riverbera l’alba,
e mi avvolge come il ricordo di un’altra persona
che fosse misteriosamente mia.»
Conosciuto prevalentemente per Sostiene Pereira e Notturno Indiano, Tabucchi si è anche interessato di Pessoa e della saudade, della quale i suoi scritti (alcuni più di altri) sono intrisi. In particolare parla in modo esplicito del significato della parola portoghese nella raccolta di racconti Il gioco del rovescio, scrivendo proprio nel primo «La Saudade, diceva Maria do Carmo, non è una parola, è una categoria dello spirito, solo i portoghesi riescono a sentirla, perché hanno questa parola per dire che ce l’hanno, lo ha detto un grande poeta. E allora cominciava a parlare di Fernando Pessoa». Ma una definizione migliore ce la offre in Viaggi e altri viaggi, in cui dice «Se consultate un autorevole dizionario portoghese, come il Morais, dopo l’indicazione dell’etimo soidade o solitate, cioè ‘solitudine’, vi darà una definizione molto complessa: Malinconia causata dal ricordo di un bene perduto; dolore provocato dall’assenza di un oggetto amato; ricordo dolce e insieme triste di una persona cara[…] È dunque qualcosa di straziante, ma può anche intenerire, e non si rivolge esclusivamente al passato, ma anche al futuro, perché esprime un desiderio che vorreste si realizzasse. E qui le cose si complicano perché la nostalgia del futuro è un paradosso». Di fatto, poiché questo sentimento è contestualizzabile in ogni tempo, continua la sua analisi sostenendo che forse un primo barlume di saudade lo troviamo nel disìo dantesco, che differisce dal mero desiderio per una più importante carica patetica.
Ma la saudade non si esaurisce esclusivamente negli ambiti letterari. Pervasiva e simbolo della cultura portoghese, la si ritrova anche nel fado, il canto popolare tipico di Lisbona. E a testimonianza dell’insinuarsi di questo sentimento in entrambi gli ambiti artistici, Pessoa stesso, nel 1929, lo identifica come «stanchezza dell’anima forte che confida nel Destino, l’occhiata di disprezzo a Dio». In virtù del suo potere evocativo viene sottoposto a forte censura durante la dittatura di Salazar, sortendo però l’effetto contrario: vede infatti in quella stagione il suo periodo più fervente. A niente valse il tentativo di emarginazione delle figure più rappresentative del fado, delle quali ci ricordiamo ancora adesso, una tra tutte Amàlia Rodrigues.
Nel 2001 l’UNESCO stila la prima lista dei capolavori del patrimonio orale e immateriale dell’umanità. Tanta e tale è la portata del Fado nella cultura mondiale, da essere inserito all’interno della lista nel 2011.
Ad oggi, noialtri non-portoghesi possiamo ancora avvertire la saudade come un mistero: un sentimento contemporaneo a tutte le età, avvertito probabilmente ancora prima di avere un nome, anima di un canto rappresentativo di un popolo, eppure talmente esclusivo da non possedere alcun corrispettivo linguistico.
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