Secondo tutte le fonti d’analisi a livello internazionale, la Corea del Nord è ormai una potenza nucleare a tutti gli effetti, nonostante un arsenale che si ipotizza essere relativamente ridotto rispetto alle altre potenze e una capacità di utilizzo non immediata e che potrebbe dar luogo a difficoltà tecniche. Tale circostanza ha modificato prepotentemente lo scenario estremo orientale e ha generato nuove, pesantissime tensioni in tutta l’area pacifica. Il percorso che ha dovuto intraprendere la Corea del Nord per poter arrivare alla costruzione della bomba è stato lungo e piuttosto difficoltoso, ma alcuni suoi passaggi sono piuttosto interessanti e fanno sorgere elementi di riflessione.
Per essere considerati a tutti gli effetti potenza nucleare, saper produrre una bomba nucleare non è l’unico elemento necessario; in primo luogo è necessario un vettore che porti la bomba a destinazione, meglio noto come missile. I missili sono di diversi tipi, ma quelli in grado di portare un ordigno nucleare si dividono essenzialmente in tre tipi a seconda della distanza che sono progettati per percorrere: i c.d. missili di teatro, i missili intermedi e gli ICBM (Inter Continental Ballistic Missile). Per quanto riguarda i primi, la loro gittata è compresa tra i 400 e i 1000 km e la denominazione è dovuta al gergo militare (la regione in cui si svolge un evento bellico è detta teatro di operazione), i missili intermedi sono compresi tra i 1000 e i 5000 km. Per gettate superiori si entra nella classe ICBM, mentre per distanze inferiori ai 400 km, secondo le dottrine tattiche attualmente vigenti l’opzione nucleare non è semplicemente prevista in quanto i danni derivanti dal fallout ricadrebbero anche sul proprio territorio.
I missili si compongono di diverse parti e per costruirli è necessaria l’applicazione di principi fisici e una progettazione molto complessa. La componente più importante, oltre alla fusoliera, è il motore: dal momento che in un ICBM buona parte del viaggio si svolge fuori dall’atmosfera, il sistema di propulsione deve far vincere al missile la forza di gravità terrestre e la fusoliera deve essere in grado di mantenere stabile la traiettoria sia in entrata che in uscita dall’atmosfera. La Corea del Nord ha iniziato ad elaborare la tecnologia per produrre vettori già nel lontano 1976, prendendo a modello gli SCUD B russi (corto raggio) e le piattaforme di lancio egiziane. Questi studi, poi proseguiti con la disamina dei modelli degli SCUD C, portano alla realizzazione del primo missile interamente nordcoreano: il Rodong viene introdotto tra gli asset dell’esercito nordcoreano nel 1990 e, dopo la correzione di diversi difetti di progettazione, viene esportato anche all’estero (ne acquistano degli esemplari sia il regime siriano che il dittatore libico Gheddafi).
Nel 1993 arrivarono i primi miglioramenti al Rodong grazie al recupero dei progetti dei missili iraniani dovuto ad un accordo di ricerca comune: viene prodotto il Rodong-1, che ha una gittata lievemente più lunga del suo predecessore (intorno ai 1500 km rispetto ai quasi 1300 del Rodong). Le maggiori critiche a tale progetto riguardano la precisione, pertanto i nordcoreani iniziano a lavorare ad un secondo progetto completamente nuovo: il Taepodong viene testato per la prima volta verso la prima metà del 1998, con il regime che rassicura i vicini asserendo che il test riguardava solo un satellite per le comunicazioni. Nel 1999, tuttavia, la Corea del Nord sottoscrive una moratoria sui test missilistici fino al 2005, anno in cui i test riprendono con il lancio di missili a corto raggio nel mare del Giappone. L’anno successivo, il 5 Luglio, un nuovo test riguardante una nuova versione del Taepodong (Taepodong-2, con una gittata compresa tra i 4.000 e i 6.500 chilometri) fallisce: il lancio dal sito di Musudan-ri si conclude bruscamente con la perdita di traiettoria dopo 42 secondi e l’ammaraggio nel mar del Giappone.
Il fallimento è abbastanza pesante per il programma missilistico nordcoreano, che rintraccia nel motore la maggior parte dei suoi problemi: quello progettato per il Taepodong-2 è troppo pesante, è instabile e non garantisce una spinta uniforme al vettore. Il successivo test in campo missilistico avverrà solo tre anni dopo: il satellite Kwangmyongsong non riesce ad entrare in orbita a causa dei problemi legati al suo vettore, l’Unha-2, versione “civile” del Taepodong-2. A luglio dello stesso anno una nuova serie di test preoccupa il mondo intero: questi si ripeteranno, con vari gradi di successo, nel 2013 e nel 2014. Il programma missilistico nordcoreano, tuttavia, continua a non essere in grado di risolvere il problema dei motori, dove Pyongyang sembra ancora brancolare nel buio.
Tre anni dopo, il 23 giugno del 2017, il regime nordcoreano sorprende tutti con il test riuscito di un motore progettato per un ICBM. Alla fine dell’estate, mentre la crisi nordcoreana si intensificava con gli insulti e le minacce che volavano da un lato all’altro del Pacifico, Pyongyang effettua altri due test missilistici che vedono i propri vettori sorvolare il Giappone, suscitando apprensione e un certo sgomento in tutta la Comunità Internazionale.
Le domande più importanti riguardano il come la Corea del Nord sia arrivata nel giro di pochissimi mesi (l’ultimo test fallito fu di Ottobre 2016 e riguardava un razzo intermedio) ad avere un motore completamente funzionante. Una delle varie ipotesi è quella del reverse engineering, quindi dell’analisi di un motore recuperato da un qualche rottame o da un prototipo acquistato all’estero. Tale ipotesi è però stata stralciata nel momento in cui dalla Corea del Nord non si sono registrati acquisti di questo tipo (e anche l’eventualità di un acquisto “sottobanco” è abbastanza difficile da sostenere) e non sono stati testati missili da altre potenze a ridosso delle acque nordcoreane. L’unica ipotesi rimasta attiva è quella dell’arrivo di progetti in nord Corea, corroborata da diverse “scoperte” come quella del furto di alcuni dati avvenuto presso una fabbrica di missili situata a Dnipropetrovsk, tesi che sarebbe confermata dai rilievi di una parte della componentistica visibile nelle immagini del test diffuse dalla KCNA. Tale circostanza fa presupporre che il progetto del motore nordcoreano sia in realtà un collage di più progetti, in parte autoprodotti, in parte provenienti dai vari accordi di ricerca sottoscritti negli anni precedenti.
Il secondo degli elementi affinchè la bomba diventi un peso da far valere in politica internazionale è il fatto che l’ordigno sia abbastanza piccolo e leggero da poter essere montato su un missile balistico senza pregiudicarne le proprietà fisiche e l’assetto e che quindi garantisca “capacità di proiezione” anche a lunga distanza dalle coste nordcoreane. I test nucleari in tutto sono stati sei, ma rappresentano il culmine di un programma nucleare durato oltre vent’anni.
Le prime ricerche con materiale fissile vennero fatte sfruttando scorie di plutonio provenienti dalle centrali nucleari russe a partire dal 1996. Il primo test nucleare venne effettuato 10 anni dopo, presso il sito di Punggye-ri, in uno dei tunnel sotterranei. Secondo i rilevamenti dell’Istituto Nazionale di Geofisica statunitense, il terremoto generato si attestava intorno alla magnitudo 4.0 Richter. Ai tempi l’intelligence statunitense e quella russa tentarono separatamente un calcolo della potenza dell’ordigno: i primi giunsero ad un risultato inferiore al kilotone (quindi non un test nucleare), ma l’FSB restituì un risultato compreso tra i 5 e i 15 kilotoni (quindi pari alla bomba sganciata su Hiroshima e inferiore a quella sganciata su Nagasaki).
Nuovi test vennero messi in atto nel 2009, nel 2013 (questo con uranio arricchito), nel gennaio 2016 e nel settembre 2016, con ordigni di potenza sempre maggiore, sebbene i rilevamenti non fossero precisi e vi fosse sempre un certo delta tra il dato statunitense e quello russo. Il 3 settembre di quest’anno un ultimo test ha creato apprensione nella Comunità Internazionale: l’ordigno, finalmente miniaturizzato, dovrebbe essere dell’ordine dei 100-150 chilotoni, e ha dato luogo a due scosse, segno che probabilmente il test avrebbe causato il crollo della volta del tunnel all’interno del quale è stato fatto esplodere, causando una possibile fuga di radiazioni. Nelle ore successive al crollo della volta, i caccia giapponesi si sono alzati in volo per rilevare eventuali segni di radiazioni, senza però riscontrarne traccia.
Ultimo elemento è dato dalla piattaforma di lancio: a tale scopo la Corea del Nord ha allestito silos all’interno dei quali stipare i missili, i quali sono situati all’interno di bunker per proteggerli da eventuali attacchi aerei. Misura alternativa dalla quale lanciare missili di questo tipo sono i sottomarini, per i quali sono costruiti appositi vettori (detti (SLBM – Sub Launched Ballistic Missile) che ampliano ulteriormente la capacità di proiezione nordcoreana.
La Corea de Nord è una grande sconfitta per la non-proliferazione: da un lato l’aver lasciato che Pyongyang arrivasse all’atomica senza aver preso decisioni serie crea un attore le cui scelte non sono propriamente prevedibile a causa della natura di sultanato del paese. Dall’altro lato vi è il rischio che tutta una serie di paesi con minore peso politico cerchino di acquisirne altro producendo una propria versione della bomba atomica, dando così luogo ad una proliferazione di ordigni nucleari senza precedenti, con rischi decisamente molto attuali per la sopravvivenza dell’umanità stessa.