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Blade Runner 2049 e la consacrazione di Denis Villeneuve

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Claudio Agave

Visivamente quasi perfetto e notevole nel proseguire una storia mai interrotta, Blade Runner 2049 entra di prepotenza e diritto tra i migliori sequel di sempre

La moda di girare sequel di importantissimi film del passato sembra non trovare una fine. In questi anni è stato rilanciato un franchise storico come quello di Star Wars e spesso si trova una maniera per continuare anche le storie auto-conclusive o apparentemente tali (ad esempio quello che sta succedendo con Pacific Rim). In questo contesto che potremmo definire quasi vintage Blade Runner 2049, tra le polemiche sul riesumare vecchie idee per nuove pellicole, trova un senso nel suo elevarsi a un livello superiore. Questo soprattutto perché siamo di fronte a un film davvero bello, pensato e ragionato per piacere a molti ma non a tutti (non è un caso, infatti, che al botteghino sia stato per ora un mezzo flop), un ottimo sequel non solo a livello strettamente tecnico ma anche spirituale per quanto riguarda il film del 1982 che, di fatto, ha cambiato e modificato il mondo della fantascienza al cinema per sempre. Così come il rapporto che lo spettatore può avere nei confronti di film del genere.

Genio visivo al potere

Lo diciamo subito, a scanso di equivoci: Blade Runner 2049 è un film lontano dall’essere perfetto. Ma non così lontano come si possa immaginare. Anzitutto perché la regia è stata affidata a un talento ormai non più nascente ma riconosciuto a livello mondiale come Denis Villeneuve. Il regista canadese arrivava a guidare la pesantissima nave dopo i riuscitissimi Sicario, Prisoners e Arrival, peraltro dovendo raccogliere un’eredità gigantesca come quella di Ridley Scott (che in questa pellicola figura come produttore). Un compito non facile ma gestito in maniera perfetta da Villeneuve, che per l’ennesima volta ha messo in gioco tutto il suo talento cristallino con una regia incredibilmente intensa, coadiuvata da tanti elementi forti. Innanzitutto la sceneggiatura – firmata da Hampton Fancher e Michael Green – che ha il merito di riprendere ottimamente anche sprazzi del primo film, integrandoli nel contesto a cui si riferisce. Una scrittura senza particolari incongruenze o buchi, che peraltro ha la bella intuizione di restare ancorata anche al concetto di tecnologia del film. Molto spesso, infatti, tra un sequel e l’altro si notano abnormi differenze in tal senso nonostante nella linea temporale tra le due pellicole siano trascorsi pochi anni. In Blade Runner 2049 questo non accade, quasi come se in parte le cose si fossero cristallizzate pur essendosi evolute.

Un plauso va sicuramente fatto anche alla fotografia di Roger Deakins. Nominato per tredici volte agli Oscar, probabilmente stavolta potrebbe meritare una vittoria che sarebbe sacrosanta: il suo lavoro in questo film è semplicemente eccelso, con uno stile che riesce a far sembrare cupo e claustrofobico persino un open world come quello di Blade Runner 2049. Ogni ambiente ha la sua “composizione”, ogni dettaglio è curato nei minimi dettagli, nessun filtro è lasciato al caso. Forse Deakins ha prodotto il suo miglior lavoro di sempre. Sotto l’aspetto dei tecnicismi è bene sottolineare anche la solida colonna sonora dell’inedito duo Hans Zimmer-Benjamin Wallfisch, che ha sostituito in corso d’opera il fidato collaboratore di Villeneuve Johann Johansson non facendo rimpiangere l’OST di Vangelis per il primo film. Peraltro proprio alcune delle tracce più famose – tra le quali l’arcinota Tears in the rain – sono state rielaborate parzialmente e utilizzate anche per il sequel, con risultati nostalgici e quasi commoventi. Non è un caso dunque che la prova di Villenueve, considerati gli “accompagnamenti”, sia risultata così dinamica e impattante. Ogni sequenza sembra quasi essere prossima alla perfezione: magia del cinema allo stato puro.

Jared Leto. Foto: pagina ufficiale Facebook Blade Runner 2049.

Il “problema” Harrison Ford

Il cast rappresenta un’altra nota positiva del film, anche se degli appunti possono essere fatti. Ryan Gosling è molto abile nel comunicare il senso di difficoltà e frustrazione della sua posizione, d’altronde il suo personaggio è scritto in maniera tale da favorire l’empatia quasi totale dello spettatore. Pecca forse un po’ troppo nella resa delle reazioni umane più intense, ma paradossalmente questa mancanza potrebbe essere in linea con il suo ruolo all’interno del film. Lui e Ana de Armas peraltro sono protagonisti di un’intesa davvero splendida in scena. Il loro rapporto è forse una delle trovate migliori di tutta la sceneggiatura, che come nel primo film indaga (magari meno a fondo o diversamente) le tematiche dell’identità personale e delle emozioni nell’ambito di un rapporto. Paradossalmente la love story tra i due personaggi è una delle meglio attrezzate e più intriganti mai viste in un film di fantascienza, riuscendo nell’intento di non emergere come stereotipata anche dove sarebbe potuto accadere.

Benissimo anche Sylvia Hoeks e Robin Wright, personaggi femminili forti e dominatrici del film in ogni scena che le vede interagire con gli altri. Se vogliamo trovare delle parziali note dolenti certamente potremmo individuarle in Jared Leto: la sua prova, a metà tra il criptico e il messianico, non è negativa ma il suo personaggio probabilmente avrebbe potuto (e dovuto) ricevere maggiori motivazioni e spazio, cose che potrebbero essergli rese in un eventuale terzo capitolo attualmente molto in forse a causa degli incassi. Harrison Ford fa sostanzialmente Harrison Ford ma con un problema in più: da quando ha ripreso i suoi vecchi personaggi sembra li stia interpretando tutti nella stessa maniera. Rispetto al primo film però il suo agente Deckard appare leggermente diverso, forse più “molle” ma non per questo meno affascinante. Anche la scelta di non mostrarlo per tanto tempo può essere giusta, visto che la storia ha realmente bisogno di lui solo a un certo punto.

Tirare le somme

Come porsi, dunque, di fronte a questo nuovo Blade Runner? Sicuramente, come detto, siamo dinanzi a un film molto riuscito e incredibilmente pulito in termini tecnico-registici. Difficile però ammettere che questo film possa ottenere la stessa importanza del primo capitolo a livello di credibilità e innovazione. Il primo Blade Runner ha riscritto letteralmente i canoni di un’intera generazione, mentre il suo sequel è sì un film incredibilmente riuscito che finirà per consacrare finalmente il suo regista ma, al tempo stesso, non può competere con il suo predecessore sotto la sfera affettiva e storica. Questo perché nessun film di genere potrà scavalcare il significato che la pellicola di Ridley Scott porta con sé ormai da intere decadi, senza mai invecchiare minimamente ma anzi restando sempre attuale.

Resta ancora l’incognita degli incassi: potranno migliorare certamente, anche e soprattutto con il mercato home video. Non si tratterà però di un successo commerciale, poiché secondo importanti analisti il film non è riuscito a fare breccia soprattutto tra i millennials – ormai abituati a film di fantascienza decisamente più confusi e con maggiore azione – e il pubblico femminile. Blade Runner 2049 è però quasi considerabile come un film d’autore (peraltro incredibilmente lungo ma nonostante ciò mai pesante) in ambito commerciale, un prodotto che non ha mai avuto la pretesa di piacere per forza al pubblico generalista. E forse, nonostante tutto, è proprio questa la più grande vittoria di questo intenso sequel, un meraviglioso modo per proseguire una storia che potrebbe non aver ancora trovato la sua fine.

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Claudio Agave

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