Che in Italia ci sia ormai grande fermento per le prossime elezioni politiche è cosa nota. Negli ultimi sette anni il quadro politico ed economico italiano è cambiato radicalmente, iniziando nel 2011 con la cacciata di Berlusconi e continuando con l’insediamento di un governo tecnico molto simile ad una corte marziale, costretto a fare in pochi mesi riforme che erano oggetto di discussione da quasi un ventennio (una su tutte la odiatissima riforma Fornero, figlia di un impianto legislativo che si è iniziato a discutere nel 1994 e che – come da tradizione italiana – è stato calciato avanti come un barattolo in quanto legge assolutamente impopolare), per concludere con l’unto scivolio dei governi PD, in un quadriennio dominato per la quasi totalità da Matteo Renzi.
La “Quarta Gamba” e il futuro del Centro-Destra
Cosa è cambiato nella percezione della politica da parte degli italiani? E soprattutto, in che modo questa esigenza è diventata imperante nell’agenda politica? Quali sono le risposte che la politica sta mettendo in campo per far fronte alle richieste degli elettori? Pare in essere una laboriosa restaurazione del complesso sistema di potere della Prima Repubblica. Nota a margine: il problema della Prima Repubblica non erano gli equilibri, ma le tante zone grigie che hanno consentito l’arricchimento fraudolento di politici, imprenditori e banchieri; zone grigie che nel tempo si sono fortemente ridotte, grazie all’Unione Europea e alle sue regole e grazie alla diffusione e alla liberalizzazione dell’informazione, prima stretto oligopolio verticale e oggi – grazie a internet – frammentata e orizzontale, accessibile a chiunque.
Lo scacchiere italiano oggi rispecchia fedelmente il vecchio detto: “due francesi, una donna; due tedeschi, una guerra; due italiani, tre partiti”. Ma se nella parte sinistra dell’emiciclo la guerra infuria e le scissioni sono all’ordine del giorno, con vassalli, valvassini e valvassori tutti a tessere le fila pro o contro l’Imperatore Renzi, a destra i cari vecchi insegnamenti del manuale Cencelli vengono invece rispettati al microgrammo. Si sono riuniti infatti sabato 14 ottobre, presso il santuario Regina Montis Celis di Vicoforte di Mondovì, tutti i rappresentanti dell’interregno di destra, al fine di portare a frutto una complessa mediazione durata alcuni mesi, che vede schierati l’ex ministro Costa, berlusconiano di ferro prestato all’esecutivo renziano e ora in corsa per i collegi piemontesi, l’ex leghista Flavio Tosi, in rappresentanza del suo feudo veronese, il redivivo Fitto in rappresentanza della Puglia, Zanetti rimasto ormai pressoché solo in Scelta Civica, gli uomini di Parisi per i collegi lombardi, i repubblicani e persino Quagliariello con la sua Idea.
A fronte dello spiegamento di questo ventaglio di forze politiche che cinicamente si possono annoverare tra il trascurabile e l’irrilevante, appare chiaro fin da subito, sin dal messaggio di benedizione di Silvio Berlusconi in persona che invia una lettera di elogio in cui cita ognuno dei partecipanti, che questa non è solo una manovra aggregativa volta ad evitare la dispersione di voti nell’areale di centrodestra, quanto più un nuovo modo di concepire la gestione politica. Ma attenzione: è nuovo solamente nel contesto della Seconda Repubblica, mentre se lo leggiamo con il filtro della Prima Repubblica non si tratta altro che di una federazione di “campioni regionali”, come fu l’indimenticato Vittorio Sbardella della corrente andreottiana della D: realtà locali radicate sul territorio, capaci di interpretare le esigenze territoriali e di convogliarne i bisogni, rappresentanti realmente legati al territorio, come sarebbe stato il Senato delle Regioni se fosse passato il “Sì” al referendum costituzionale del 4 dicembre 2016.
Funzionerà? Non funzionerà? Questo starà agli elettori di centrodestra deciderlo. Starà agli elettori decidere se si sentono meglio rappresentati da sistemi centralisti come la Lega (ex “Lega Nord”) o il Movimento Cinque Stelle, in cui si stravolge l’identità e il valore delle richieste dei territori in virtù di un appiattimento programmatico volto alla standardizzazione del prodotto politico, o se invece preferiscono scommettere su una realtà che nei fatti è federalista, e profondamente legata ai territori di provenienza. Bisognerà vedere se le corna di Pontida, le ampolle delle sorgenti del Po, i RO-DO-TÀ PRESIDENTE e i vaffa day sono più o meno convincenti dei fatti concreti, o se ancora verranno preferiti il folklore di partiti come “Grande Nord”, retto da quel che rimane di Umberto Bossi, o il recarsi a passo dell’oca nei seggi per dare fiducia a residui belligeranti e nazionalisti come CasaPound o ForzaNuova.
Si tratta della soluzione perfetta? Ovviamente no. Ma se l’alternativa è calare le corna e scendere a patti col PD, col risultato di ritrovarsi D’Alema nel letto, forse può essere un’idea valutare quella che può essere la novità del centrodestra. Perché, e ricordiamolo, la Prima Repubblica non era perfetta, ma è altrettanto vero che sull’onda dei movimenti manettari ci siamo trovati a dare fiducia a Di Pietro. Il quale, casualmente, aveva assunto come consulente un certo Gianroberto Casaleggio.