Il senso del dovere nei videogiochi non è una tematica affrontata molto spesso, perché difficile da inserire in un contesto accattivante. Ci sono, però, tre titoli indie che affrontano l’argomento e lo fanno davvero bene, commuovendo e mettendo in moto la nostra capacità di discernimento. Questi tre videogiochi sono The Stanley Parable, Virginia e Distraint. Il senso del dovere in questi tre titoli si scontra con la morale, con l’impossibilità di scegliere il nostro modo di agire e con la difficoltà di mantenere intatti i nostri valori.
Ogni giorno combattiamo con gli altri e con noi stessi perché ciò che vorremmo non coincide con ciò che gli altri vorrebbero da noi. Nel nostro piccolo cerchiamo di soddisfare le aspettative di coloro che conosciamo meglio, in taluni casi anche di persone che non hanno un filo diretto con noi, perché il nostro “senso del dovere” ce lo impone anche se non ne avremmo proprio voglia. Spesso però il dovere non ci sembra coincidere con la cosa giusta da fare.
Finché ciò accade in famiglia o tra amici ci si può sempre sottrarre, i problemi iniziano quando il senso del dovere proviene da un’imposizione dall’alto: sul posto di lavoro, ad esempio. È proprio il lavoro con le sue imposizioni e regole a volte cervellotiche a fare da trait d’union tra senso del dovere e videogiochi.
The Stanley Parable: scegliamo noi la nostra vita?
Un posto fisso è il sogno di chiunque. Riuscire a trovarlo in alcuni campi è diventato quasi una chimera e così spesso ci si ritrova impelagati in ambienti lavorativi alternativi, in seconde scelte che non avremmo mai fatto se non costretti dagli eventi. Ciò che toglie il respiro in casi come questi è la ripetitività delle azioni da compiere.
Un lavoro d’ufficio è senza dubbio tranquillo, ma poco stimolante nella sua ciclicità. The Stanley Parable, sviluppato da Galactic Cafe e pubblicato nel 2013 su PC, mette il punto proprio sulla ridondanza di un lavoro poco edificante, ma che il senso del dovere ti costringe a farti piacere. Il protagonista del videogioco è Stanley, un impiegato come tanti altri che un giorno, alzatosi dal proprio posto perché non riceve più alcun tipo di ordine, esce dalla stanza 427 e scopre che nell’ufficio non c’è più anima viva.
Dove sono finiti i colleghi? Perché è tutto così in ordine e sembra che nessuno abbia toccato nulla? Ma, soprattutto, perché è impossibile uscirne? Una voce narrante parlerà direttamente al giocatore e gli impartirà degli ordini, gli dirà dove andare, come interagire con l’ambiente e talvolta lo prenderà anche in giro. L’obiettivo è esplorare l’ufficio avvolto in un’atmosfera surreale.
Il senso del dovere nei videogiochi si mostra in The Stanley Parable, come abbiamo accennato, nella sua ridondanza nell’eseguire un comando anche se non sappiamo chi ce lo stia impartendo e perché. Il narratore sembra essere onnisciente ed è probabilmente un’entità (fisica o non) a noi superiore, quindi, ci mette fin da subito in soggezione, in uno stato di inferiorità. Il nostro primo pensiero, tastiera e mouse alla mano, sarà quello di assecondare le richieste di questa presenza. In una stanza ci sono due porte? Entreremo in quella che ci viene “consigliata”.
Perché non decidiamo di primo acchito di fare il contrario di ciò che ci viene detto nonostante ce ne sia la possibilità? Nel gioco, infatti, non siamo costretti a seguire le direttive del narratore, ma prima di contravvenire ad esse ci penseremo più di una volta. E se disobbedire portasse a un evento spiacevole? È questa la domanda che ci si pone perché siamo abituati a eseguire un’azione che proviene dall’alto anteponendo il senso del dovere alla nostra volontà. Senso del dovere, dunque, che si tramuta in rassegnazione e abnegazione cieca.
Virginia: potere ed etica del dovere
Secondo la filosofia kantiana, la domanda fondamentale per l’uomo, riguardo alla morale è: “che cosa devo fare”. Compito di una filosofia morale è individuare e dettare a priori le leggi del comportamento morale. Su questo concetto si basa il videogioco Virginia, sviluppato da Variable State e pubblicato nel 2016 da 505 Games.
Virginia si presenta come un thriller dal forte taglio cinematografico, con una trama molto spesso criptica e che non fornisce molte risposte. La vicenda si snoda intorno alla scomparsa di Lucas Fairfax nella tranquilla cittadina di Kingdom, in Virginia. Fin da subito, però, il gioco prende una piega molto più intima e personale riguardo alla figura della protagonista: Anne Tarver. La ragazza è da poco divenuta agente dell’FBI e comincia la sua avventura nel corpo di polizia seguendo proprio questo caso.
Ad affiancarla c’è la collega Maria Halperin, che stringerà con lei una forte amicizia. Purtroppo il senso del dovere farà vacillare anche questo legame, quando l’FBI sceglierà proprio Anne Tarver per portare avanti un’indagine interna sulla condotta della collega. Un rapporto di fiducia può essere messo in discussione dal senso del dovere? Abbiamo detto che la domanda fondamentale della morale è “che cosa devo fare?”, e nonostante nel gioco non siano presenti dialoghi di alcun tipo, la protagonista se la ripeterà in continuazione.
Non solo Halperin, ma anche tanti altri colleghi che instaureranno col giocatore un rapporto di fiducia attireranno l’attenzione dell’FBI. Sempre ad Anne Tarver il compito di indagare mandando in malora anni di grandi amicizie. Non indagare però porterebbe i piani alti a sospettare proprio di lei e, dunque, tradire per senso del dovere diventa cosa giusta e legittima. Anne Tarver comincerà a scalare le gerarchie dell’FBI diventando un pezzo grosso, colpendo alle spalle colleghi ignari.
La protagonista comincerà ad avere dubbi sulla propria integrità morale, mentre guardarsi allo specchio sarà ogni volta un colpo al cuore. Queste scene sono molto significative e tra le più importanti nell’analisi del senso del dovere nei videogiochi. Sembrano un omaggio o una rivisitazione de Il ritratto di Dorian Gray, in cui lo specchio era il ritratto di Dorian, pronto a ogni sguardo a colpevolizzarlo per la sua vita dissoluta. Il senso del dovere nei videogiochi trova in Virginia uno dei punti più alti della sua analisi etica e prettamente sociologica. Chiunque giochi a Virginia sarà portato a giudicare le azioni di Anne Tarver nel peggior modo possibile.
Siamo sicuri che l’indignazione non sia in realtà la consapevolezza che in fondo quelle azioni non sarebbero state tanto diverse se i protagonisti fossimo stati noi? Prendere decisioni che ci vengono imposte non è piacevole, ma se queste poi portano a un vantaggio, anche a discapito di altri, esse d’improvviso si tramutano in forza maggiore, in qualcosa di ineluttabile.
Distraint: pixel e senso del dovere
Il senso del dovere nei videogiochi è stato trattato nella maniera più cruda possibile in Distraint, videogioco del 2015 pubblicato su PC e Android. Distraint è un horror psicologico bidimensionale con grafica a 8 bit che ripercorre la vita e la carriera di un giovane ragazzo ambizioso che lavora presso un’azienda che si occupa di espropriare abitazioni e terreni a privati cittadini per renderli edificabili per altri progetti più proficui.
Il protagonista, Price, è a tutti gli effetti una brava persona, ma il suo lavoro gli impone di passare sopra i propri sentimenti e quelli altrui. Una delle missioni da compiere all’interno del gioco, ad esempio, ci porterà a sfrattare una signora anziana dalla propria casa. La coscienza del protagonista non vorrebbe commettere un atto così ignobile, ma per fare carriera quello è solo uno dei passi da fare.
Price non vive nel lusso, anzi, la sua casa è squallida e i soldi non bastano mai. Ha però la possibilità di diventare una persona di spicco dell’azienda se eseguirà tutti gli ordini che gli vengono impartiti dai gran capi. La loro figura è surreale. Si tratta di tre individui all’apparenza affabili e che si presentano sulla scena alla fine di ogni missione per complimentarsi degli spregevoli atti messi a segno da Price, anche se a malincuore. Il loro modo di fare è grottesco, inquietante, bizzarro e malvagio.
Price si ritroverà sempre più invischiato in questa atmosfera malsana che il giocatore vede attraverso i suoi occhi. Gli ambienti sono oscuri, indefiniti e irrespirabili. Questa oscurità è la stessa che si sta impadronendo della coscienza di Price. Il senso del dovere nei videogiochi in Distraint è raccontato senza filtri e senza cadere nel melenso e nel retorico. La bontà di Price si contrappone alle sue azioni crudeli e si mescolano tanto da far sorgere un dubbio nel giocatore: Price è il ragazzo buono che ha a cuore le sorti dei malcapitati che incontra sul suo cammino o è un ambizioso senza scrupoli come i suoi gran capi? Allo stesso protagonista verrà l’atroce dubbio non riuscendo più a riconoscersi.
Price diventa una sorta di avvocato del diavolo e scende a patti con la propria morale, perché il dovere che si lega all’etica non è fruttuoso e non porta a benefici materiali.
Senso del dovere nei videogiochi: lieto fine impossibile
Come abbiamo visto, il senso del dovere nei videogiochi è sempre stato trattato nelle sue pieghe più oscure. Nei tre giochi presi in esame, un lieto fine non è contemplato (anche se in The Stanley Parable ci sono vari finali visto che una possibilità di scelta viene data). Questo perché il senso del dovere viene avvertito molto spesso come una sopraffazione della propria volontà.
Quando si parla di senso del dovere, difficilmente si pensa a sensazioni positive. Ciò che ci viene in mente e prevaricazione, intimazione e tanto tempo rubato a ciò che vorremo fare davvero.