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Abbiamo chiesto a una figlia di immigrati cosa ne pensa dello Ius Soli

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Claudio Agave

Lo Ius Soli viaggia in una sorta di purgatorio colmo di polemiche. Nel frattempo, abbiamo chiesto a una ragazza figlia di immigrati un parere sul provvedimento.

Il destino dello Ius Soli temperato, la parte di legge che – in maniera molto sintetica – consentirebbe agli stranieri nati in Italia di ottenere automaticamente la cittadinanza prima dei diciotto anni, sembra non essere esattamente cristallino come si pensava. Tra scioperi della fame un po’ raffazzonati e polemiche molto spossanti, il provvedimento in questo momento viaggia in una zona d’ombra: c’è chi si sta battendo strenuamente per metterlo in pratica e chi invece riesce a vederne solo il lato negativo. L’esperienza più importante, probabilmente, resta però quella delle persone che dall’estero si ritrovano nel nostro Paese per inseguire un sogno a forma di stivale. O, più semplicemente, per trovare strada verso lidi tedeschi o francesi. In tal senso, la storia che stiamo per raccontare oggi è molto indicativa di quanto l’Italia, a livello concreto e non solo ideale, possa aver bisogno di una riforma del genere.

Mima Amanfo è una ragazza di origine nigeriana, figlia di stranieri arrivati in Italia decadi fa e dunque, dopo lungaggini burocratiche, può considerarsi cittadina italiana ormai da anni al pari dei genitori. Nonostante sia nata in Italia ha dovuto aspettare il compimento della maggiore età per ottenere la cittadinanza, con tutti i problemi che questa situazione ha comportato nel percorso di adolescenza e crescita. La chiacchierata fatta con lei ci ha consentito di comprendere meglio il punto di vista di una persona maggiormente coinvolta riguardo lo Ius Soli, oltre che di inquadrare quali possono essere i problemi del Paese agli occhi di una famiglia “straniera”.

La guerra civile

«Mio padre mi ha raccontato che in Nigeria ci fu la guerra civile, conosciuta anche come guerra del Biafra: i nigeriani della zona nord combattevano contro le persone della zona sud. I secondi volevano l’indipendenza ma secondo mio padre i primi erano spalleggiati dagli inglesi, che avevano brama di appropriarsi del petrolio nelle zone meridionali. La sua famiglia è fuggita a causa della povertà, mio padre venne in Italia con un visto da studente fornitogli dalla Chiesa, poiché aveva frequentato l’Università a Roma». Ovviamente per la famiglia di Mima i primi tempi sono stati molto duri: «Per mantenersi mangiavano alla mensa dei poveri o alla Caritas, lavoravano nei campi per potersi pagare l’appartamento in cui vivere. Fu un periodo molto sofferto: nel 1979 mio papà era tra i primi migranti in Italia. Addirittura non c’era ancora la copertura sanitaria per gli immigrati, quindi per farsi curare dovevano anche pagare». Nonostante queste prime difficoltà tutt’altro che semplici, le cose sono poi andate bene: «Alla fine si è laureato in Legge all’Università Gregoriana di Roma. Ha però dovuto trovare un altro lavoro, poiché ha scoperto di non poter praticare in Italia come avvocato per via del fatto che non era cittadino nostrano. Fortunatamente ricevette la carta di soggiorno – l’anticamera di quello che sarà poi il permesso di soggiorno come lo conosciamo – che equivaleva a una cittadinanza ma senza la possibilità di viaggiare all’estero o votare. Poi nel 1994 è arrivata anche mia madre, che inizialmente era rimasta in Nigeria. Anche lei ha ricevuto la carta di soggiorno come papà».

Ipotizziamo dunque che anche Mima abbia dovuto affrontare molti scogli burocratici prima di poter essere considerata una cittadina dell’Italia. «Più che altro li ha dovuti superare mio padre», chiarisce subito. «Sono diventata italiana due giorni prima del mio compleanno: mio padre ha implorato per ottenere la cittadinanza prima dei miei diciotto anni. Con tutta la burocrazia ci ha messo quasi dieci anni per ottenerla. Adesso hanno accelerato i procedimenti ma prima era tutto più lento. Alcuni miei amici dopo il compimento del diciottesimo anno d’età hanno dovuto attendere la lettera e fare la richiesta. Ci vogliono un sacco di soldi e non è una cosa velocissima, servono almeno due anni. Mio padre ha dovuto prendere permessi in Nigeria, in Italia, al consolato. Infatti molte persone sbrigano questi procedimenti tramite avvocato». Ovviamente la situazione non è di certo tutta rose e fiori: «Ottenere la cittadinanza è una pratica molto costosa e lunga: una persona esterna alla cosa può pensare che sia tutto automatico ma in realtà non è così. Se una ragazza nasce qui e a sedici anni va via, se non torna ogni sei mesi perde l’opportunità di diventare cittadina italiana. Lo stesso vale per un uomo che magari resta in Italia per quindici anni, poi se va un anno fuori per assistere la madre malata non può più chiedere la cittadinanza. Questa secondo me è una cosa assurda».

Pregi e difetti

Entriamo nel dettaglio dello Ius Soli chiedendo a Mima un aspetto convincente e uno da migliorare del provvedimento. «Mi convince molto il fatto che chi apre un ciclo di studi in Italia può chiedere la cittadinanza italiana, quindi lo Ius Soli culturale. Apprezzo anche il fatto che sia necessario saper parlare italiano per fare domanda. Non mi piace invece la questione del requisito di reddito, anche perché è molto difficile capire cosa intenda dire il legislatore quando parla di reddito adatto per la richiesta. Se entrambi i genitori lavorano e riescono a mantenersi la casa bene, ma dipende in base alle zone: a Napoli si guadagna di meno e Milano di più, ad esempio. Anche se comunque di davvero negativo non c’è nulla. In molti vorrebbero lo Ius Soli puro ma ci dovrebbe essere comunque il requisito di automatismo. Vado contro il pensiero di molti stranieri ma sono convinta che le cose vadano fatte a gradi. Non riesco a capire perché tante persone si oppongano a questo provvedimento».

La Lega protesta contro lo Ius Soli. Foto: Roberto Monaldo / LaPresse.

Da sempre Mima vive in Italia, anche negli anni in cui non è stata considerata come cittadina del Bel Paese. E sicuramente avrà assistito – o quantomeno letto e sentito – a episodi di razzismo o discriminazione. Le chiediamo, quindi, se secondo lei l’Italia è davvero un paese razzista o meno: «Sì, almeno al 50%. Ma al tempo stesso posso dire che, a mio parere, tutti i Paesi sono razzisti, chi più e chi meno. Più che razzismo comunque la chiamerei xenofobia, perché esiste proprio una paura verso il diverso. Non se la prendono solo con lo straniero ma anche contro gli omosessuali. Io abito a Napoli e qui c’è un razzismo diverso da quello che ho visto in Veneto, dove ho vissuto prima: qui è una cosa ignorante basata sullo stereotipo, mentre al Nord è più difficile che si guardi una ragazza di colore pensando che sia una prostituta. Una volta mi capitò di scendere da un bus, vestita con un abito grigio topo e un maglione infeltrito: un signore sceso dal pullman dietro di me chiese quanto volessi. Una cosa che mi ha fatto stare molto male. Ma il più grande atto razzista che ho vissuto è stato quello di sentirmi dire, da ragazza che studia medicina e che parla bene l’italiano, di essere stata adottata. Secondo queste persone una ragazza educata, posata, con un minimo di cervello non può essere figlia di un africano. Non hanno nemmeno l’idea di base che in Africa si possa studiare. Il razzismo del Nord invece è più inteso come intolleranza: una volta mio padre al Pronto Soccorso fu costretto a uscire fuori dalla sala d’aspetto perché agli anziani che attendevano vicino a lui dava fastidio che fosse di colore».

Fiera di essere italiana

Nonostante questo, Mima afferma di sentirsi bene pensando di essere una cittadina italiana: «Mi ci sento davvero italiana. Sono nata qui, ho studiato qui e ho la stessa cultura degli altri. A me non interessa quello che pensano gli altri, io sono figlia della globalizzazione. Amo l’Italia e purtroppo mi fa soffrire il fatto che io debba essere reputata come una cittadina di serie B. Dovremmo essere tutti uguali ma per loro non sono una cittadina italiana perché ho la pelle scura. Se avessi la pelle chiara come una norvegese però sarebbe accettabile». Quando si va nel dettaglio del discorso riguardante la nostra politica, però, Mima si mostra molto disillusa e decisamente arrabbiata: «Il PD ormai è accozzaglia di centro-destra al pari di Forza Italia, il M5S è il peggiore di tutti perché è populismo allo stato puro. Quando andrò a votare darò il mio voto a un partito minore. Siamo una barzelletta politica all’estero: quando andai in scambio culturale in Germania, il padre della famiglia che mi ospitava mi chiese come avevamo fatto a votare Berlusconi per tutte quelle volte».

Infine, all’intervistata poniamo una domanda semplice quanto importante: se potesse tornare indietro, sceglierebbe di nuovo di diventare cittadina italiana? «Più che altro bisognerebbe chiedere ai miei se avrebbero voglia di fare questa scelta», spiega. «Il fratello di mio padre, per esempio, è andato in America e ha ottenuto subito la cittadinanza, potendo esercitare il suo mestiere di farmacista. Ma posso dirti che a tanti stranieri se facessi la stessa domanda ti risponderebbero che sarebbe un bene prendere la cittadinanza».
Il destino dello Ius Soli è ancora in alto mare. Da una parte c’è sicuramente l’esigenza di cambiare, dall’altra si avverte la necessità di farlo in maniera coerente. Altri ragazzi come Mima saranno in grado di vivere quello che – forse troppo ottimisticamente – potremmo definire The Italian Dream? Basteranno probabilmente pochi mesi (e tanta pazienza) per scoprirlo.

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