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Looped Love & Branding Love, commedie in rampa di lancio

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Francesco Stati

Spesso si dice che il mondo dell’arte filmica è un percorso irto di ostacoli per chi decide di inserirsi nelle sue strette maglie, impenetrabili e riservate solo ai grandi nomi; per provare a sfatare questo luogo comune, abbiamo voluto raccontarvi la storia di Alessandro Marzullo e Valerio Chicca, due giovani emergenti che con il loro cortometraggio Looped Love debutteranno alla Festa del Cinema di Roma la sera del 3 novembre, ore 22, all’interno della rassegna “Alice nella Città”. Un’intervista informale, piena però di spunti sulla nascita di due opere molto promettenti nella loro diversità e di riflessioni sul mondo del cinema e su come questo venga gestito da personaggi “fuori tempo”.


Diteci qualcosa del vostro percorso.

Alessandro: «Io sono un regista e sceneggiatore e non sono parente del più famoso Gigi, ci tengo a sottolinearlo [ride, N.d.R]; vengo da Modena, una città del Nord dove notoriamente si lavora, e siccome io non ne avevo nessuna voglia sono finito qui a Roma. Ho girato insieme al mio collega Looped Love, un corto che andrà alla festa del Cinema di Roma e che ha vinto un bando del MiBACt, e una Web Serie, Branding Love, in collaborazione con l’Università “La Sapienza”; per fare tutto questo siamo partiti dalla sceneggiatura di un film, in occasione della quale ci siamo conosciuti io e Valerio, con l’intento originale di scrivere una commedia romantica… solo che dopo averci riflettuto su abbiamo concluso che eravamo troppo giovani per imbarcarci in un’impresa simile, e nonostante fossi già inserito in un ambiente lavorativo idoneo alla causa con persone più esperte di me a mio avviso i miei obiettivi erano troppo divergenti dai loro anche a causa di una distanza generazionale, e così abbiamo deciso di partire dal piccolo, dal cortometraggio, ed è andata molto bene perché con Valerio poi ci siamo iniziati a conoscere meglio anche grazie al lavoro di scrittura congiunto, abbiamo vinto questo bando, realizzato il tutto e siamo addirittura sbarcati al Festival! Per ciò che concerne la serie, è sostanzialmente anch’essa una costola dell’idea originale del film: dovendo noi fare un lavoro di spinta sull’idea originale, abbiamo scoperto che tramite La Sapienza era possibile realizzare una serie per il web e quindi ci siamo inseriti anche in quel contesto, proponendo all’ateneo un progetto di una serie online che è stato approvato e infine realizzato! Una cosa interessante su di me è che, prima di fare tutto questo, mi sono trovato a fare il rapper: facendo le basi per i miei pezzi (ho anche prodotto due album) mi sono poi avvicinato al cinema tramite la musica; oltretutto il cinema è da sempre stato il mio sogno nel cassetto, ma nell’ambiente dove mi trovavo prima non sarebbe stato possibile produrre nemmeno il progetto più becero… essere stato in quel giro mi ha però fatto conoscere tantissime persone interessanti in giro per Roma».

 

Alessandro Marzullo, regista del corto

Di cosa parlano precisamente Looped Love e Branding Love? L’amore sembra il filo conduttore del progetto: sono legati l’uno all’altro? Come mai questa tematica: perché “tira” o perché vi interessa?

Alessandro: «Beh, perché mi interessa molto! Sono stato sempre molto sensibile rispetto a questa tematica, sin da piccolo, senza vergognarmene nonostante sappia bene come il parlare d’amore non sia esattamente un argomento da Maschio Alpha… è una cosa che ho dentro veramente, e creare cose di questo tipo è secondo me un modo molto vero per celebrare la vita in senso assoluto, anche perché le storie d’amore sono quelle che ci fanno più soffrire tout court. Va anche detto che costano poco! [ride, N.d.R

Valerio: «Sì! I due generi che costano meno sono l’horror e la commedia romantica, solo che dato che per fare l’horror bisogna essere bravi, mentre per fare le storie d’amore bisogna essere tristi, la scelta ci è parsa ovvia… Eravamo entrambi parecchio “intrippati” con i sentimenti durante la scrittura!»

Valerio Chicca, sceneggiatore del corto

La trama del corto è una semplice storia d’amore o sottintende qualcosa di più profondo?

Valerio: «Non è una classica storia d’amore: è più una love story verso il grande schermo che verso una persona reale, una sorta di metafora del cinema italiano che, vedendo passare varie volte il cinema americano, se ne innamora follemente».

Alessandro: «Una cosa che per noi è molto importante è l’happy ending: la maggior parte delle persone vive storie d’amore felici ma limitate nel tempo, mentre nel film quando si racconta una storia d’amore ci si lascia al termine della pellicola con i protagonisti che si sono appena messi insieme e ci si aspetta che duri per sempre, dando la prospettiva da fiaba classica “e vissero sempre felici e contenti”! Noi spettatori sappiamo benissimo che i veri problemi cominciano quando la storia inizia veramente e gli amanti iniziano a conoscersi davvero, mentre tutto questo nelle commedie romantiche non c’è e noi abbiamo voluto conservare questa idealizzazione nel nostro progetto.

Branding Love è invece rivolto a un pubblico più giovane, sia per una nostra scelta stilistica sia perché abbiamo dovuto lavorare in un regime di “censura” da parte dell’università, e non potendo noi inserire certe tematiche abbiamo dovuto abbassare il target di età».

Valerio: «Avevamo il divieto di mostrare alcolici, sigarette, droghe e di fare riferimenti sessuali, quindi giocoforza il prodotto è diventato più adolescenziale, più basato su sentimenti puri idealizzati e molto meno su emozioni “pesanti”. Nonostante questo, non pensiamo di aver perso in espressività, piuttosto si può dire che abbiamo fatto qualcosa di diverso! Non potendo utilizzare un linguaggio scurrile per far ridere, ci siamo messi ad analizzare meticolosamente il tutto trovando cose che, anche se meno divertenti, speriamo abbiano aiutato la sceneggiatura a essere godibile. Io personalmente ho riso molto! Questa censura è stata inoltre una vera sfida nell’analizzare nel dettaglio la comicità: quando si pensa al comico si fa subito riferimento al turpiloquio e all’assurdo, invece noi abbiamo lavorato a sottrazione cercando di andare alla radice della comicità. La risposta che abbiamo trovato sta nella ripetizione, cut di montaggio che mettono in parallelo le discrepanze fra ciò che viene detto e ciò che effettivamente succede, giocando molto sul contrasto e sulle contraddizioni».

Alessandro: «Si può dire che anche la serie parla d’amore, ma si preoccupa di più di raccontare gli aspetti riguardanti il fallimento, il rifiuto, il fraintendimento dei propri sentimenti: in particolare il fallimento è un elemento che non è molto presente nella cultura italiana, mentre in quelle anglosassoni ha un peso non indifferente; qui si ha paura di osare perché spesso si fallisce, mentre altrove si comprende come il provare a realizzarsi (con i rischi del caso) sia un mezzo importante per la propria crescita interiore. Ci è sembrato giusto, anche per l’argomento trattato, raccontare come questi personaggi falliscano per poi crescere e guardare le cose in modo diverso, più “adulto”».

Valerio: «Va però anche detto che di recente questo tema del fallimento sta tornando in auge anche qui da noi: mi è capitato di recente di guardare il documentario sul rapper Ghali (Il giorno dopo il fallimento, N.d.R.) e ho pensato che fosse un segnale molto positivo perché viene trattato in modo costruttivo».

La locandina di Branding Love

Alessandro: «In Italia poi ci abituano spesso al non farci fare le cose a causa della nostra inesperienza o del nostro non saper fare determinate mansioni al cento per cento; invece in Branding Love i ragazzi si impegnano a fare una campagna marketing per l’università pur non essendone totalmente in grado».

Passiamo dal piano contenutistico a quello “tecnico”: come giudicate i finanziamenti pubblici a piccolo e grande schermo, anche alla luce della recente “legge Cinema e Audiovisivo Franceschini”? Come avete scoperto del bando che vi ha permesso di realizzare il vostro progetto?

Alessandro: «Secondo me, il cinema italiano è campato sostanzialmente sempre sui fondi pubblici, senza i quali non ci sarebbe quasi nulla in Italia visto che le produzioni private serie interessate al finanziamento di una pellicola sono pochissime e non riescono comunque a coprire la domanda. È sempre un bene quando la cultura viene finanziata, specie se si vuole intraprendere questo mestiere, ma a mio avviso il problema è che tutta questa macchina viene gestita sempre dalle stesse persone, e se le teste che si dividono la torta sono sempre individui vissuti in un’altra epoca o che comunque vedono le cose in modo molto diverso dalle nuove generazioni, nate e cresciute nel mondo digitale e con nuove influenze, le esigenze di chi oggi si affaccia a questa professione non verranno mai comprese e soddisfatte nonostante i nuovi fondi. È anche questo il motivo per cui i giovani italiani preferiscono spendere i loro soldi per un abbonamento a Netflix piuttosto che andare nei cinema d’essai a vedere una produzione italiana che molte volte è anche fatta male, per giunta… nonostante la positività di questa riforma, il nodo della questione è culturale, anche se va visto più come un dato di fatto che come un problema da risolvere.

Per ciò che riguarda il bando, la storia è quantomeno particolare: era un caso unico di un bando a tema libero, destinato a giovani under 25 senza esperienze di progetti distribuiti da grandi circuiti e, cosa particolarmente interessante, il regista e lo sceneggiatore dovevano essere due persone diverse, cosa che in Italia solitamente non accade (e ciò molto spesso comporta dei problemi); abbiamo deciso di partecipare avendo già da mesi in testa il corto, e la cosa di rilievo è che il nostro progetto non aveva nessuna tematica “forte” al suo interno, cosa che è quasi sempre una costante nelle rassegne di corti (Valerio: “il classico disabile, il figlio con la madre malata, il malato di cancro…”): abbiamo fatto quello che avevamo voglia di fare senza condizionamenti, ci siamo pagati la traduzione integrale della sceneggiatura in inglese come da richiesta del bando investendo i nostri risparmi, stesso discorso per lo storyboard, e alla fine siamo stati gli unici vincitori! Per fare un progetto del genere servono molti soldi ma soprattutto persone che sappiano usarli bene, e onestamente speriamo di essere riusciti in questa impresa.»

Valerio: «Il corto è stato scritto in “economia di scrittura”: il progetto originale era addirittura di girarlo con mille euro, poi si è presentata l’occasione di questo bando e fortuna ha voluto che abbiamo vinto. In realtà, sarebbe ingeneroso parlare unicamente di fortuna: Alessandro aveva già partecipato a molti altri bandi senza successo, e due sue sceneggiature sono state acquistate da alcune imprese senza mai purtroppo vedere la luce».

Alessandro: «Prima di arrivare a una occasione così ho fatto molta fatica, lui magari un po’ se ne è risparmiata, ma l’esperienza passata ha aiutato molto, quindi non si può parlare unicamente di vittoria frutto del caso, anche se questo ha sempre il suo peso».

Valerio: «Alla fine tutto dipende anche da chi legge le sceneggiature, sempre che le legga; la commissione ci ha confidato tra le altre cose che una delle motivazioni della nostra vittoria era la fattibilità del progetto, perché comunque riteniamo che quando si scrive una sceneggiatura si debba stare sempre molto attenti a fare i conti e a progettare impianti il più possibile realistici; non facciamo letteratura, l’economia di scrittura è importante, non si può ipotizzare per esempio una love story a gravità zero nella Stazione Spaziale Internazionale perché qui in Italia difficilmente ne avremmo mai la possibilità, almeno non a questo livello. Bisogna fare meno dando di più, e secondo me Looped Love fa tanto meno, ma quel tanto meno dà tanto di più! Per esempio nel corto abbiamo deciso di non mettere dialoghi, perché ci avrebbe richiesto tempi lunghissimi e un impegno maggiore nel girato; oltre questo, la struttura del progetto è a specchio, con parte iniziale e finale simili e una sezione centrale ambientata in un ambiente esterno differente, è stato insomma scritto proprio per funzionare bene con strumenti limitati ed è proprio questo che secondo me ci ha fatto vincere. Oltre al fatto che è fichissimo, si intende!»

Una scena da Looped Love

Nonostante la vostra giovane età, siete già arrivati da qualche parte: cosa vi sentite di consigliare ai giovanissimi che vogliono intraprendere la vostra strada?

Valerio: «Io parlo come sceneggiatore: quando scrivi un film, non devi limitarti a restare nel calduccio della tua stanza ad arrovellarti su trame impossibili e poco aderenti al vero: devi uscire di casa e confrontarti con la gente, se vuoi scrivere per il cinema tutto il tuo lavoro deve essere finalizzato alla realizzazione del progetto e non al colmare le tue fantasie per poi lasciare tutto bloccato nella tua testa. Le sceneggiature sono brutte da leggere: la cosa bella è vedere la tua idea prendere forma sulla tela bianca del grande schermo!»

Alessandro: «Come regista io mi sento di dire un’altra cosa: se vuoi entrare in questo modo la base è avere dentro qualcosa in cui credi e cercare di fare squadra con delle persone che condividono i tuoi stessi ideali: non cercare di legarti a persone che sono troppo avanti e che sono cresciute in un altro periodo storico, molto spesso è questo che ti frega perché mentre ti vedi poco realisticamente già sullo schermo con DiCaprio in realtà tu non ci arrivi mai e continui a guardare il tutto da lontano. Poi ognuno ha la sua storia, c’è chi arriva subito senza troppa fatica e c’è anche chi, come noi, deve sudarsi ogni piccolo passo; non so dirti cosa sia meglio o peggio, per noi comunque è durissima e chi volesse seguirci sappia bene che bisogna rimboccarsi le maniche. Soprattutto il cinema non si fa da soli, ma in squadra: a nessuno frega nulla di chi sia tu come individuo, quindi devi lavorare in gruppo per far sì che la tua idea venga realizzata, poi c’è il pubblico e sta a questi decidere se tu puoi andare avanti oppure no. Noi non abbiamo ancora avuto una prova di questo tipo… quindi stai pur certo che, quando ci accadrà, non vorrai mai più intervistarci!»

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