Sono passati dieci lunghi anni dalla prima messa in onda di Boris: la fuoriserie italiana, e altri sei lunghi anni dall’ultima volta che abbiamo visto il folle cast intraprendere una nuova avventura, quella del cinema. Boris ha segnato la televisione nostrana, e nel suo piccolo, il cinema italiano. Il 16 Aprile 2017 la serie ha compiuto dieci anni e il cast intero, tranne un paio di assenti, si è riunito a Torino all’Iqos Embassy per celebrarne l’anniversario. Una serata emozionante per attori, regia e soprattutto per i fan di Boris. Si parla molto, da quella sera d’aprile, di un possibile ritorno della serie, che sia fan che cast desidererebbero, ma è attualmente solo un sogno lontano, dato che i produttori della serie hanno negato che si stia effettivamente lavorando a un seguito. Tuttavia l’intento di questo articolo non è speculare su di un eventuale ritorno e una nuova stagione, ma è celebrare ciò che Boris è stato e tutt’ora rappresenta per migliaia di persone: un assurdo, esilarante, ma amaro sguardo all’Italia e agli italiani.
Boris nacque, a dire degli autori, con un intento ben chiaro e che dichiarano, a dieci anni di distanza, raggiunto: rappresentare i dietro le quinte della televisione italiana, il lavoro, il sistema dei favoritismi e delle conoscenze, tutto ciò che c’è “di italiano” (come direbbe il caro Stanis La Rochelle) nel mondo dello spettacolo del nostro paese. Tutto questo non viene rappresentato in maniera inquisitoria o drammatica, nemmeno nei momenti più tesi della serie, ma quasi in maniera calorosa e familiare. Non è segreto all’Italia e agli italiani che nepotismo e agevolazioni siano all’ordine del giorno nel mondo dell’intrattenimento, nella politica, nell’amministrazione (un banale e recentissimo episodio è quello del capo-gabinetto del sindaco Appendino, che voleva far revocare una multa a un amico), e proprio per questa familiarità con il sistema gli sceneggiatori e la regia di Boris hanno creato satira, focalizzandosi su quegli ambienti e quei meccanismi della televisione italiana, ma approcciandoli come se fossero la realtà di tutti giorni a cui ormai siamo tranquillamente abituati. Come raccontato dal finale della terza (e per ora ultima) stagione, una piccola raccomandazione da un amico, o da un uomo potente ma misericordioso, può decidere il futuro di una carriera.
La prima stagione di Boris oggi appare, rispetto ai seguiti, un po’ timida, forse consapevole della delicatezza del mondo con cui andava a scontrarsi. Il centro indiscusso della prima stagione è l’impatto dello stagista, e protagonista, Alessandro (interpretato da Alessandro Tiberi) con il set di una fiction italiana di nome Gli Occhi del Cuore 2, seguito di una fallimentare prima stagione, sospesa dopo tre episodi. Appena arrivato Alessandro non potrebbe ricevere accoglienza più rappresentativa di tutto ciò che Boris racconter da lì in poi: avvicinandosi al delegato di produzione, Sergio, chiederà dove si trovi il regista. Sergio gli risponderà semplicemente «Ma vattene affanculo va’!». Per il resto della stagione Alessandro si adatterà lentamente a quel mondo, diventandone parte integrante. La prima stagione di Boris introduce personaggi clamorosi e geniali interpretati da attori altrettanto clamorosi e geniali, tra i quali si devono citare alcuni elementi fondamentali dell’intero arco narrativo di Boris: il regista René Ferretti (Francesco Pannofino), il direttore cocainomane alla fotografia Duccio Patanè (Ninni Bruschetta), l’assistente alla regia Arianna Dell’Arti (Caterina Guzzanti) e il divo, l’unico e inimitabile Stanis La Rochelle (Pietro Sermonti). La prima stagione è incentrata soprattutto sul valore singolare di ogni puntata, e si focalizza sul valore comico (e talvolta malinconico) dei personaggi, oltre a evidenziare il mondo della televisione all’italiana.
La seconda stagione di Boris si presenta immediatamente, fin dalle primissime scene, un degno sequel. Dai miglioramenti alla fotografia, a scene anche più irriverenti della stagione precedente, a una sigla ridisegnata, Boris 2 continua a dipingere l’Italia delle raccomandazioni e dei piaceri tra amici, incentrandosi molto di più sul peso della politica e dello scenario nazionale. Perfino l’ultima puntata e il finale dipendono dai giochi di poltrona e dal risultato delle elezioni che si svolgono durante le riprese. L’intreccio di Boris 2 è costruito molto più accuratamente della prima stagione: vediamo l’introduzione di nuove sotto-trame (o la revisione di alcune solamente accennate, come una particolare storia d’amore), nuovi personaggi (da cui nascono alcune delle sotto-trame più interessanti, come le folli cronache di Mariano Giusti), ma soprattutto prepara il finale di stagione con puntate d’anticipo, tessendo un collegamento solido tra episodi che mancava nella stagione precedente. Nella seconda metà di Boris 2 lo spettatore si renderà conto di non provare più solo simpatia per i personaggi, ma di vivere con loro il terrore che tutto possa finire. In questa stagione il ruolo di protagonista sembra scivolare via da Alessandro e passare invece a René e la sua lotta per rimanere a galla, diventando il personaggio forse più umano, perfino più degli stagisti una volta innocenti, dell’intero cast.
Boris 3 mantiene una grande qualità nella produzione, ma osa rispetto alle stagioni precedenti, introducendo elementi quasi drammatici a fianco di quelli più umoristici. Il focus della terza stagione è la ricerca della qualità, qualcosa di quasi sconosciuto ai personaggi; ma le speranze di cambiare regime e poter fare qualcosa di nuovo si spengono in fretta. Come in Boris 2, la paura che tutto possa finire da un momento all’altro è tangibile, e la presenza pressante e soffocante “della rete” (che in Boris 3 diventa una sorta di invisibile antagonista impossibile da sconfiggere) è in ogni puntata, dalla prima all’ultimo attimo dell’ultima. Oltre alla rete, però, un nemico perfino più potente è percepibile in Boris 3, ovvero l’inerte Italia intera, che preferisce che tutto funzioni «a cazzo di cane», piuttosto che puntare all’eccellenza. I personaggi stessi, René in primis, mutano e affrontano drammi personali e relazionali, apparendo occasionalmente molto diversi da come potevamo ricordarli. Non parliamo solamente del baffetto di Stanis, ma, per esempio, di come lo stesso La Rochelle diventi sempre più bambinesco e meschino e non più stupidamente innocuo. Questa terza stagione appare forse lenta ad iniziare e altrettanto lenta a concludersi, ma il finale di Boris 3 lascia senza parole e con gli occhi fissi sullo schermo, pronti per iniziare subito a guardare una quarta stagione, che però ancora non esiste, e forse mai esisterà.
Boris emette il suo ultimo respiro sul grande schermo, con Boris – il film, un lungometraggio che si pone fuori dalla narrazione della serie e quindi visibile, e apprezzabile, anche da chi non avesse mai visto le tre stagioni precedenti (anche se, ovviamente, chi ha già conosciuto e ama i personaggi potrà godere molto di più della pellicola). Il film è paragonabile a una puntata molto lunga di Boris, non supera le aspettative, ma rimane una visione piacevole, soprattutto perché ripropone il cast in un ambiente diverso dal solito. Tuttavia, non essendo il film allineato con la serie, non abbiamo potuto vedere gli sviluppi di alcune sotto-trame rimaste in sospeso dalla terza stagione, o ci siamo dovuti accontentare di nuove, modeste rielaborazioni di vicende che seguivamo fin dalla prima stagione. Riconosciamo però un grande merito al finale del film: tra tutti, è quello che più ha ricordato agli italiani come funzioni il nostro paese.
Boris, nel suo complesso, ha avuto un impatto sulla società italiana non degno di ciò che rappresenta. Rimane oggi un tesoro per pochi, forse perché inizialmente trasmesso su Fox. Un peccato, dato che la serie, nonostante gli autori affermino che i tempi sono cambiati (motivo per cui probabilmente non vedremo mai Boris 4), rimane attuale e sulla cresta dell’onda. Un destino decisamente italiano.