Gli italiani sono da sempre un popolo di santi, poeti, navigatori e – aggiungiamo noi – scrittori di prosa. Nascosto in ognuno di noi c’è uno spirito narrativo che aspetta solo un’occasione per venire fuori. Noi di theWise abbiamo pensato di dare spazio e voce alle giovani penne che popolano il Paese. Questo è lo scopo della rubrica “theWise racconta”, sulla quale ogni mese ospiteremo un racconto breve inviatoci da un nostro lettore.
Oggi, dopo sei mesi dal suo ultimo racconto Indivia, torna con noi Bianca Giacalone. Stavolta la nostra lettrice ci regala Branchie, una delicata storia di amore e pesci rossi.
Vorresti comparire nel prossimo appuntamento? Inviaci il tuo racconto breve (massimo due cartelle word, argomento libero) a info@thewisemagazine.it, o contattaci sulla nostra pagina Facebook. Inviandoci il tuo scritto, acconsentirai implicitamente alla pubblicazione.
L’appartamento si trovava all’angolo con la caffetteria, al quarto piano. Il vecchio edificio non aveva l’ascensore, ma rampe infinite di scale ripide e strette: per i piani si potevano sentire i respiri affannati di chi stava per entrare in casa. Qualcuno la chiamava la piccola Babele dei respiri affannati. L’appartamento del quarto piano era appena stato liberato da una coppia di anziani che non sopportava più quel saliscendi infernale. Lo affittò una giovane coppia che si era appena sposata e che cercava la vita tra le mura sottili di quella casa.
Sara e Biagio entrarono nell’appartamento tenendosi per mano, con tutte le loro cose sul pianerottolo – cose che non erano poi così tante: pochi ricordi, tanto futuro. L’appartamento era piccolo e stretto: una stanza con divano e TV, una cucina a destra, una camera da letto a sinistra e un bagno più in fondo.
«Tutto qui?» chiese Sara, appoggiando la testa allo stipite della porta, poco convinta.
«Tutto qui» rispose Biagio, e con sicurezza le accarezzò piano il viso.
Non arredarono la casa, la lasciarono così com’era. Pensavano che con il mobilio sarebbe sembrata ancora più piccola, e poi volevano portare rispetto per quella vita degli altri che sarebbe potuta essere la loro. Ma la verità era che anche loro si sentivano di passaggio come il vento, senza una precisa destinazione.
Il letto era piccolo e ci stavano stretti, ma la notte si potevano stringere di più o fare a gara a chi sarebbe caduto per primo. Chi cadde la prima notte da quel letto fu Biagio. E Sara rise così tanto da non avere la forza di tirarlo su, e lui faceva finta di nuotare.
«Ho fatto solo un piccolo tuffo!» diceva, e batteva i piedi a pancia in su, e muoveva le mani, e si sentiva un’onda. Sara scese dal letto e si tuffò sopra di lui e gli baciò il petto. Quella notte non riuscirono più a tornare su, come se fossero naufraghi e la barca fosse ormai troppo lontana da raggiungere.
Il giorno dopo Sara ascoltava Lucio Dalla alla radio, mentre lavava i piatti dopo pranzo, e Biagio tornò da lavoro con due pesci rossi.
«Li ha vinti un mio collega alle giostre e non li voleva tenere» disse Biagio, e guardò dentro quel sacchetto di plastica pieno d’acqua facendo finta di essere in apnea.
«Come li chiamiamo?» chiese quando tornò su a prendere fiato.
Sara sorrise.
«Anna e Marco» disse soltanto, poi andò in camera e prese dal suo scatolone una boccia.
«Dove l’hai presa?» le chiese Biagio con i pesci ancora in mano.
«Era mia, quando ero piccola i miei genitori mi compravano sempre una coppia di pesci rossi» disse Sara lavando la boccia. «Ma puntualmente dopo un mese moriva uno e l’altro lo seguiva. Sembrava che nessuno potesse sopravvivere da solo» riprese porgendo la boccia a Biagio.
Lui non disse niente e svuotò il sacchetto nella boccia delicatamente.
«Forse non sopportavano di stare così soli dentro quel piccolo spazio. Impazzisci. Non sai come gestirlo e ti sbatti alle pareti e vedi il tuo riflesso disperato» replicò infine.
Sara lo fissò e annuì. La boccia era pronta e la misero sulla mensola sopra il tavolo della cucina.
«Ciao Anna, ciao Marco» disse Sara, e andò a riempire la vasca da bagno.
Fecero il bagno insieme, quel pomeriggio. Si misero uno davanti all’altro, incastrandosi. Sara era piccola e guardava Biagio con i suoi occhi marroncini che riflettevano l’acqua. Si bagnò i capelli biondi un po’ alla volta. Biagio non era molto grosso, ma riusciva a malapena ad incastrarsi in quel buco bianco. Rideva e giocava con l’acqua, faceva finta di fare il pesce facendo dei piccoli cerchi con la bocca. Il pomeriggio passò così, nell’acqua, nella poca luce della finestra, con le dite lessate.
Era un pomeriggio arancione, un pomeriggio vecchio, un pomeriggio preso in affitto che non volevano lasciare. La tenda della doccia era zuppa insieme al pavimento, ma loro non se ne curavano. Stavano fermi con la testa rovesciata all’indietro, immobili come coccodrilli sul filo dell’acqua. Biagio fu il primo che si alzò, si mise l’accappatoio e guardò Sara che si era messa a pancia in giù sotto l’acqua. Pensò che erano come Anna e Marco, stretti in quella piccola vasca, in quel piccolo letto, in quella piccola casa.
Quella sera Sara e Biagio inaugurarono la loro futura quotidianità. Si misero sul divano insieme, abbracciati a cucchiaio, e guardarono la televisione. Davano un programma di musica che a loro piaceva moltissimo, e ogni tanto abbassavano il volume per sentirsi meglio, per commentare insieme. Era un piccolo gesto per dirsi che si sarebbero ascoltati a vicenda. La TV era solo uno scenario qualunque e loro erano i protagonisti delle rispettive vite, per questo le voci erano alte e la TV passava in secondo piano.
Biagio verso mezzanotte si addormentò. Sara sgusciò via dalla sua presa, ormai lo sapeva fare molto bene, e andò in camera da letto. Aprì l’armadio dove c’erano i vestiti di Biagio e iniziò ad annusarli. Le piaceva fare questo gioco: annusava i suoi maglioni e le sue camicie e faceva finta che Biagio fosse partito lontano e che non lo vedesse da un po’. Respirava la sua assenza. Entrava nelle narici e passava per tutto il corpo come nostalgia profonda e sofferta. Il suo corpo credeva per quei pochi minuti che il compagno fosse veramente andato via. Questo provocava a Sara un nodo in gola e una sorta di brivido di felicità nello riscoprire che Biagio in realtà era in soggiorno, a pochi passi da lei.
Ma quella volta non andò così.
Nello spostare i maglioni Sara trovò tanti fogli di carta sparsi, alcuni erano stati appallottolati e poi riportati alla forma normale. Alcuni erano stracciati. Sara si stupì molto di scoprire che sotto quell’ordinata e precisa fila di maglioni si nascondesse tanto tormento.
L’acqua iniziava a piccoli fiotti ad entrare nella stanza.
Sara sentiva le voci lontane della TV, ma non capiva. Prese uno di quei fogli e nel farlo le sembrò di addentrarsi in un bosco. Le ci volle un tempo infinito per portare il foglio davanti ai suoi occhi. Era una lettera. Scritta da Biagio. Iniziava con «Carissima». Un’amica, magari.
No.
La stanza si riempiva d’acqua. Sara aveva le ginocchia bagnate. Ora non sentiva più la tv ma il fischio delle sue orecchie.
La lettera era d’amore. Non è facile mettere insieme i pezzi dopo aver scoperto una cosa del genere. I pezzi di Sara erano sparsi per la stanza e galleggiavano immobili. La lettera parlava di intimità e complicità. E così ce n’erano molte altre, ma non voleva leggerle.
Tornò in soggiorno nuotando. Si sedette a terra e poggiò la testa sul divano. Biagio dormiva ancora, sereno. Sara pensava che non aveva mai sospettato che suo marito la tradisse. Non c’era nulla di diverso in lui. Eppure nascondeva quell’enorme segreto. Non si spiegava però come mai non le avesse mai spedite e fossero lì, così impetuose.
Intanto intorno a Sara continuava tutto ad andare come prima: la lavatrice stava finendo il suo lavaggio, alla TV il programma era finito e davano un film comico, i pesci in cucina continuavano a non parlare e giravano in tondo nella boccia. Sara abbracciò Biagio trattenendo il respiro e Biagio sentì che nell’abbraccio c’era il mare. E allora restarono così, abbracciati ma separati dall’oceano. Lui aveva la testa poggiata sui suoi capelli, lei non sapeva che luogo fosse quello tra le sue braccia. E la notte il piccolo letto divenne un’isola, una spiaggia lunga chilometri che li separava e loro erano i naufraghi.
* * *
Il giorno dopo la casa era allagata.
La mattina Biagio andò a fare alcune commissioni e Sara rimase sola. Avrebbe voluto avere delle branchie per respirare come i suoi due pesciolini. Anna e Marco nuotavano piano nella boccia, tranquilli e sicuri. Sara li invidiava. Non ebbe il coraggio di aprire di nuovo quel cassetto. Del resto sapeva che Biagio si era accorto la mattina che lei aveva messo le mani nelle sue cose.
La cosa che le riempiva i polmoni d’acqua era quel test di gravidanza appena fatto che aveva poggiato sul lavandino nell’attesa del responso. Era andata in cucina a mangiare qualcosa e non aveva avuto più il coraggio di rientrare in bagno e stava lì a fissare i pesci.
Biagio era uscito presto, aveva delle commissioni importanti da fare, aveva aperto il suo cassetto e si era accorto che le cose non erano come le aveva lasciate il giorno prima. Aveva letto le lettere. Sara aveva letto le sue lettere e non gli aveva detto nulla. Si sentiva sollevato e inquieto. Quindi era uscito velocemente per schiarirsi meglio le idee. E magari avrebbe parlato con Sara, poi.
Al suo ritorno Sara era ancora lì davanti ai pesci. Ma appena sentì i passi di Biagio, si chiuse in bagno. Le linee erano indubbiamente due. Non c’era da sbagliarsi.
«Tutto bene?» le chiese Biagio. Sperava che lei avrebbe fatto il primo passo e gli avrebbe parlato delle lettere.
Sara invece non aveva voglia nemmeno di rispondergli. Aspettava un figlio da lui. Lui amava un’altra donna. Avrebbe dovuto aprire la porta e andargli incontro furibonda e lasciarlo così su due piedi, avrebbe cresciuto da sola il bambino. Invece dalla sua bocca uscì un gemito affermativo e nulla più. Buttò il test nella spazzatura.
Biagio sentiva piombargli addosso tutta la marea d’acqua che c’era in quella casa quando Sara non parlava. Non parlò a pranzo e nemmeno sul divano, prima di cena. Ad un tratto lei si alzò nel bel mezzo della trasmissione, andò in cucina, prese la boccia dei pesci e la svuotò nella vasca da bagno che aveva riempito la mattina.
Biagio la osservava appoggiato allo stipite della porta.
«Cosa fai?» le chiese, confuso.
«Hanno bisogno di spazio, non vedi? Non respirano» rispose Sara senza voltarsi.
«Forse diventeranno tre» sussurrò, ma Biagio non sentì.
Lui le mise una mano sulla spalla e le baciò la testa. Sapeva che c’era qualcosa che non andava, ma non parlò. Si inginocchiò con lei davanti alla vasca, prese la boccia e la affondò nella vasca acchiappando i pesci.
A cena Sara gli disse che sarebbe uscita con la sua amica Carla. Era la verità, ma Sara ne approfittò anche per vedere se lui avesse il coraggio di chiamare, scrivere un’altra lettere o addirittura invitare il suo grande amore. Il silenzio era scandito sempre dai piccoli movimenti dei pesci. Anna era per caso incinta come lei? Dunque dopo cena Sara uscì e Biagio scrisse un’altra lettera. Ma la stracciò dopo essere stato in bagno. Si era accorto del test di gravidanza. Stava lì in bella vista sopra la sua scatola. E c’erano le due linee. Biagio sarebbe diventato padre. Ma il primo pensiero che lo colpì e lo annegò fu quello del silenzio di Sara. Non gliel’aveva detto. Forse glielo aveva lasciato lì in bella vista perché non ne aveva avuto il coraggio, come lui con le sue lettere d’amore. Non aveva il coraggio di parlare, ancora. Così scrisse un’altra lettera col test davanti ai suoi occhi e la lasciò nel cassetto di Sara.
Sara nel mentre aveva raccontato tutto alla sua amica che più volte l’aveva spinta a tornare a casa e a dire tutto.
«Non puoi permetterti di stare così nelle tue condizioni» le aveva detto, «Metti le cose in chiaro».
Era un bel consiglio, ma difficile da attuare.
Dopo essersi vista con Carla decise di non tornare a casa quella notte. Vagabondò per le strade, sentendo che prima o poi sarebbe esplosa o sarebbe morta con tutte le parole non dette. Ma le parole non le venivano fuori naturalmente e non voleva fare alcuno sforzo, così continuò a camminare sotto le luci sempre più lievi dei lampioni.
Biagio non si dava pace a casa. Aveva chiamato Carla, ma lei gli aveva detto che aveva lasciato Sara da ore. Allora uscì a cercarla.
Entrambi rimasero tutta la notte in giro, Biagio a cercare Sara e Sara a cercare un perché lasciato chissà dove. La mattina presto tornarono a casa. Prima Sara e poi Biagio. Non si parlarono, erano esausti. Si misero a letto, in silenzio. Bastavano i loro corpi, che parlavano senza smettere: tremavano all’unisono.
* * *
Quella mattina la luce non si infilò tra i buchi della serranda. Il bagno era immerso nel blu. Sara era nella vasca e leggeva la lettera che gli aveva scritto Biagio.
Era per lei. Erano tutte per lei.
L’acqua si tinse di rosso. Si mise a gridare.
Tutto fu come prima.
I pesci, in cucina, galleggiavano a pancia in su nella boccia.
“Anna avrebbe voluto morire,
Marco voleva andarsene lontano
Qualcuno li ha visti tornare
Tenendosi per mano”
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