Lo scorso 27 novembre i paesi membri della UE si sono riuniti in appello per votare riguardo alla proroga per l’utilizzo del glifosato, il principio attivo più diffuso nell’agricoltura convenzionale. Venti paesi a favore e otto contro, questo l’esito del voto che dovrà essere confermato dalla Commissione Europea il 15 dicembre per un rinnovo di altri cinque anni. In parallelo, alcuni paesi contrari al rinnovo (tra cui Italia e Francia) hanno proclamato l’obiettivo “glifosato zero” entro il 2020 tramite l’utilizzo delle rimanenze dell’erbicida, ossia senza comprarne di nuovo.
Il dibattito sviluppatosi in seguito all’ultima proroga (2012) si è arricchito di studi che non rilevano nessun pericolo per la salute umana e ambientale, e studi che affermano il contrario. In termini molto generici, la seconda fazione accusa la prima di avere conflitti d’interesse con la Monsanto, e la prima accusa la seconda di utilizzare una metodologia errata. Questa è infatti stabilita dalla legge, e le aziende produttrici sono tenute a presentare i propri studi e ricerche sulla sostanza.
Intendiamoci: il glifosato è un principio attivo tossico nel senso chimico del termine, come lo può essere qualsiasi altro prodotto chimico, e se presente sugli alimenti nelle quantità consentite dalla legge l’impatto sulla salute risulta insignificante. Oltre alla bassa tossicità, il suo spettro d’azione universale (è un erbicida non selettivo: uccide qualsiasi vegetale con cui entra in contatto), la bassa persistenza nel terreno (non fa in tempo a percolare oltre i 20 cm in profondità che viene smaltito dalla carica batterica del suolo) e la diversità con la quale lo si può trovare in commercio hanno fatto sì che il glifosato diventasse una sostanza indispensabile per l’agricoltura, in quanto è il prodotto migliore del suo genere.
Ma se il glifosato è così sicuro ed efficace, se la maggior parte della comunità scientifica concorda sulla sicurezza del prodotto, come mai è tanto perseguitato dall’opinione pubblica?
Storia ed uso: pregi e difetti
Il glifosato fu inizialmente scoperto negli anni Cinquanta da una compagnia svizzera. Il lavoro non fu tuttavia pubblicato e la sua successiva riesumazione avvenne agli inizi degli anni Settanta negli Stati Uniti, proprio da uno studio della Monsanto, la quale scoprì un lieve potere erbicida in due su cento acidi aminometilfosfonici (AMPA) sintetizzati in quegli anni. Il chimico a cui fu commissionato il lavoro e che fu capace di amplificare il potere erbicida di queste sostanze è John E. Franz, chimico della Monsanto. Nel 1974 il glifosato entrò nel mercato sotto il nome commerciale di Roundup. Il brevetto della Monsanto scadde ormai sedici anni fa, e da allora ogni azienda operante nell’agrochimica ha iniziato a commercializzare prodotti a base di questo principio attivo.
Il maggior pregio del glifosato è quello di essere un erbicida efficace e sicuro per la salute umana e dell’ambiente. In poco tempo sostituì numerosi erbicidi allora utilizzati con rischi correlati più concreti. Quella che passò alla storia come “rivoluzione verde” fu un processo di modernizzazione delle pratiche e degli input di produzione agricola in modo da aumentare le rese dei campi: senza l’ingresso della chimica in agricoltura, e in particolare del glifosato, molto probabilmente il fenomeno della povertà e della fame nel mondo toccherebbe cifre di gran lunga più elevate rispetto a quelle che siamo abituati sentire, principalmente nei paesi in via di sviluppo.
Dando per scontato che bene e male assoluti non esistono, l’errore ai tempi fu quello di considerare il glifosato come la soluzione universale ai problemi delle rese agricole, considerazione che ne ha portato ad un uso costante e indiscriminato senza valutare i singoli casi delle singole aziende, e non solo.
Ha poco senso infatti utilizzare una sostanza tossica dal punto di vista chimico se le dimensioni aziendali facilitano l’uso di pratiche agronomiche e meccaniche per il contenimento delle malerbe, proprio per eliminare quella minima percentuale di rischio per l’operatore. Al contrario, ha senso utilizzare tale sostanza se le dimensioni aziendali sfavoriscono economicamente l’uso di tali pratiche agronomiche e meccaniche.
L’uso indiscriminato di cui sopra ha portato inevitabilmente all’insorgenza di resistenza da parte di alcune malerbe; si tratta del fenomeno della co-evoluzione, il motivo per il quale i vaccini antinfluenzali devono essere prodotti ogni anno. Un uso scorretto di un prodotto, per quanto utile possa essere, per forza di cose avrà qualche effetto indesiderato.
Viene inoltre indicato sull’etichetta che l’efficacia può essere compromessa da eventuali piogge entro sei ore dall’uso dell’erbicida, in quanto possono dilavarlo finendo per mischiarsi con le acque superficiali. Con ciò, sarebbe da irresponsabili non considerare come concreta la possibilità di un minimo impatto negativo sulla flora e la fauna. Il tempismo, una corretta previsione climatica (per quanto possibile, sia chiaro), uno studio sulle specie erbacee presenti (irrorare glifosato su malerbe ad esso naturalmente resistenti non ha senso), e la valutazione sulla possibilità di sfruttare pratiche agronomiche e meccaniche sono dunque essenziali per un corretto uso di erbicidi chimici.
La massima diffusione di questo erbicida si ha in seguito al lancio sul mercato di sementi ogm di grano – sempre da parte della Monsanto tra gli anni Ottanta e Novanta – ad esso resistenti. Altro non fu che una strategia imprenditoriale per impedire perdite di competitività e fette di mercato in seguito alla scadenza del brevetto che sarebbe occorsa un decennio più avanti, essendo l’erbicida venduto insieme alla semente. Un’ottima strategia imprenditoriale che ha consentito, oltre al mantenimento della posizione di leader mondiale sul mercato degli erbicidi, l’accesso al mercato degli erbicidi da parte di nuovi paesi che prima non potevano accedervi. Si tratta di paesi ex sovietici come Slovacchia, Moldavia, Estonia, Lituania e Lettonia, paesi che hanno votato a favore della proroga lo scorso 27 novembre.
L’erbicida viene assorbito principalmente dalle foglie, in piccolissime percentuali dalle radici, e agisce inibendo la biosintesi di aminoacidi aromatici essenziali per la crescita della pianta quali la fenialanina, la tirosina e il triptofano. Si tratta di un erbicida disseccante. Le famose polemiche riguardanti il grano canadese si concentrano proprio sul fatto che nel Nord America è di uso comune la pratica di irrorare l’erbicida sulla coltura – geneticamente modificata e ad esso resistente – prima della raccolta per ottenere una rapida perdita dell’umidità della cariosside (il frutto del grano), fino alle percentuali adatte a una corretta trasformazione e commercializzazione (generalmente si tende a raccogliere il grano quando questo raggiunge il 13% di umidità).
Tralasciando il fatto che se il grano canadese contenesse residui di glifosato superiori alla soglia stabilita dalla comunità europea non entrerebbe nel mercato europeo, i motivi di questa pratica non consentita in Italia sono molto intuibili e banali. Un paese caratterizzato da inverni molto rigidi e da stagioni calde abbastanza brevi, tali da non poter consentire la coltivazione di numerose specie erbacee, arboree ed orticole, e che non gode delle temperature sufficientemente elevate per un periodo abbastanza prolungato di tempo tale da consentire un disseccamento naturale, cercherà per forza di cose di ridurre i tempi del ciclo colturale ove possibile.
Un caso mediatico
Il glifosato raggiunse il suo apice di diffusione, come già accennato, con l’introduzione delle sementi geneticamente modificate a esso resistenti agli inizi degli anni Novanta. Questo genere di innovazione – Herbicide Tolerant GMO – entrò nell’uso civile in parallelo con internet e il web. Ogm ed erbicidi, due temi sui quali è facile ottenere visioni distorte o molto confuse della realtà, e internet, il principale strumento di diffusione di visioni distorte o molto confuse della realtà. Se in mezzo a questo calderone ci mettiamo una multinazionale secolare dal fatturato di decine di miliardi di dollari, otteniamo i presupposti perfetti per una critica a 360° sul sistema economico, politico e sociale. Lo stesso sistema economico che ha consentito l’ingresso di tali innovazioni in campo agricolo a nazioni che ne avevano un estremo bisogno.
Il 2001 è stato un anno molto importante, perché la fine di un monopolio significa la possibilità per tutti di sfruttare quel principio attivo tanto amato dagli agricoltori, e significa un abbassamento del suo prezzo, e ciò va in favore degli stessi agricoltori. Inoltre, che un abbattimento dei costi degli input produttivi si ripercuota sull’abbassamento del prezzo del prodotto alimentare finito e pronto al consumo è un dato di fatto, e molti ne hanno giovato.
In un momento dell’anno in cui è in corso l’indagine dell’antitrust europea sulle ripercussioni sulla concorrenza nel settore agrochimico derivante dalla fusione Bayer-Monsanto, c’è un particolare che dovrebbe saltare all’occhio se si immagina una situazione ipotetica. Un eventuale bando del glifosato non farebbe altro che sfavorire tutte le aziende del settore agrochimico non appartenenti all’universo dei Big Four.
Le vendite del glifosato consentono buone entrate a qualsiasi azienda che lo produca, proprio perché è il miglior prodotto del suo genere. I quattro colossi del settore sono compagnie oramai talmente estese su altri settori e talmente remunerative da poter compensare perdite nelle vendite di un settore semplicemente con un le vendite di un altro, e questa possibilità non è universale tra le imprese del settore. Basti pensare che la Bayer è ben affermata anche nella vendita di prodotti chimici per l’agricoltura biologica, come feromoni per la lotta integrata agli insetti nocivi. Si rischia pertanto con un bando di ottenere la situazione esattamente opposta a quella desiderata: riduzione della concorrenza intra-settoriale.
Mettere al bando un prodotto in una situazione di monopolio o in una situazione di libero mercato è una cosa diversa, ed è comprensibile come possa sfuggire ai tanti confusi attivisti che vent’anni fa si chiamavano no global, e ora si chiamano no borders. Basti sapere che solo in america ci sono in commercio 750 prodotti a base di questa sostanza, e il Roundup della Monsanto (con tutte le sue varianti platinum, plus, eccetera) rappresenta solo un ago in un pagliaio.
Impatto sulla salute e il rapporto IARC
Nel marzo del 2015 viene pubblicato dall’Agenzia Internazionale della Ricerca sul Cancro un rapporto sui rischi tossicologici del glifosato (IARC Monograph 112). Il principio attivo viene classificato come “probabilmente cancerogeno”, con ripercussioni rilevanti sulla legislazione nazionale e sul dibattito a riguardo. La legge italiana del 2016 restringe l’uso del glifosato, rendendone sostanzialmente illegale l’uso civile (il giardinaggio, ad esempio), per eliminare le malerbe in prossimità del parchi pubblici e sui cigli delle strade. In altre parole, si è istituzionalizzato il buon senso per dare un segnale di risposta politica sul tema.
È del mese scorso tuttavia un’inchiesta dell’agenzia tedesca Reuters su tale rapporto, la quale sostiene che nella sua versione definitiva siano stati omessi pareri scientifici che escludevano una correlazione tra il principio attivo e il linfoma non-hodgking nelle quantità residuali a cui si è esposti (la legge europea appunto stabilisce una determinata soglia sicurezza). D’altro canto, precedentemente a tale inchiesta, l’Agenzia Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA) è stata accusata di aver copiato nel suo studio (che escludeva la correlazione con il cancro) un centinaio di pagine provenienti da studi svolti dalla Monsanto.
Accuse tra agenzie a parte, il principale imputato per i rischi correlati sulla salute non risulta essere tanto il principio attivo quanto i suoi coaudivanti, sostanze che vengono diluite per aumentare l’efficacia del principio attivo o favorirne l’adesione e l’assorbimento fogliare.
Un dibattito fuorviante
Oggi come oggi, è in corso una nuova fase della modernizzazione agricola: la digitalizzazione e la robotizzazione dei mezzi di produzione avranno sicuramente un impatto molto forte sulla società, probabilmente più forte di quello che fu l’impatto della meccanizzazione e della chimica. Sono già in fase sperimentale bracci robotizzati per la raccolta di peperoni e fragole, per lo stoccaggio in post-raccolta, per il monitoraggio delle colture e tante altre.
È necessaria una stima precisa e dettagliata su questo fenomeno in modo da poter usufruire al meglio di queste nuove tecnologie e per poter regolamentare nel modo più corretto il loro uso. In caso contrario, tra una decina d’anni ci ritroveremo a dibattere sulle stesse questioni solo impiattate con salse diverse: la differenza nella dotazione aziendale di queste tecnologie sarà sicuramente il principale cavallo di battaglia per chi vorrebbe ridurre i volumi del libero commercio, come già d’altro canto sta avvenendo.
I limiti residuali di glifosato consentiti sugli alimenti stabiliti dall’Unione Europea e le restrizioni d’uso per le quali ci sono state proteste in Francia da parte degli agricoltori potranno sembrare, e lo sono, buoni strumenti legislativi di tutela della salute dei cittadini europei, ma di fatto rimangono barriere non tariffare sull’importazione di prodotti alimentari, altresì chiamati standard produttivi, che nella realtà dei fatti sfavoriscono gli agricoltori europei. Vale lo stesso discorso riguardante gli ogm: è lecito importare prodotti ogm, ma allo stesso tempo la coltivazione è impedita.
Il glifosato (e ciò che ci ruota attorno) pare essere dunque il problema più grande dell’agricoltura moderna, o almeno così ci dicono; dell’impreparazione con la quale stiamo per affrontare una nuova rivoluzione industriale e la sfiducia in chi studia e produce sul campo, cioè il problema più grande, non si sente mai parlare. Il valore dell’attenzione mediatica ha superato il valore dei benefici del progresso tecnologico tanto da poter influenzare le decisioni istituzionali a riguardo.
Nell’Università del Queensland in Australia è in fase di sperimentazione una macchina robotizzata dotata di sensori di riconoscimento delle malerbe. La sua particolarità è la capacità di decidere se utilizzare metodo meccanico, chimico o termico per liberarsi della malerba dopo aver perlustrato la zona. È chiaro che anche solo ipoteticamente una diffusione su larga scala di tale innovazione potrebbe ridurre di gran lunga l’impiego di prodotti chimici, a discrezione del robot si intende. Come si è arrivati a rendere obsoleto il DDT, si arriverà a rendere obsoleto il glifosato, senza tutto questo chiasso mediatico e con l’attenzione rivolta dalla parte giusta.