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King Krule: l’enfant prodige del punk jazz

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Vittorio Comand

A poco più di vent’anni, King Krule è uno dei musicisti più promettenti del panorama internazionale: dopo aver iniziato a registrare musica quando era ancora adolescente, il giovane cantante londinese ha pubblicato il suo ultimo album, The Ooz, il 13 ottobre scorso, il cui tour lo sto portando in giro per il mondo (l’unica data italiana è stata a Milano il 28 novembre). Nonostante la giovanissima età, King Krule propone un repertorio che pare già maturo e raffinato: nella sua musica, il jazz e il punk trovano un inaspettato punto di incontro, in un legame impreziosito dalla presenza di elementi dell’hip-hop e del post punk. Un connubio tanto imprevedibile quanto vincente.

Archy Marshall aka King Krule. (Photo credits: Maxwell Conrad Granger/HYPEBEAST)

Da Zoo Kid a King Krule

Archy Ivan Marshall, questo il vero nome di King Krule, nasce il 24 agosto 1994 a Londra. Figlio di genitori separati, il giovane Archy passa un’infanzia difficile, fra forti problemi disciplinari e disturbi mentali che lo costringono a numerosi visite al Maudsley Hospital. Nei primi anni dell’adolescenza entra nella scuola di arte BRIT School, dove incontra il coetaneo Jamie Isaac con il quale stringe amicizia iniziando a suonarci insieme. Nel 2010 Archy, sotto lo pseudonimo di Zoo Kid, si autoproduce un EP intitolato U.F.O.W.A.V.E.. Nonostante la registrazione un po’ sporca e la giovanissima età, il precoce Archy Marshall mostra in questo suo primo progetto già di avere un altissimo potenziale: su raffinati arpeggi di chitarra, la grezza e aspra voce di Zoo Kid canta con rabbia, in una sorta di ossimoro musicale dall’effetto incredibile. Lo stile è ancora acerbo, ma il ragazzo fa già capire di avere la stoffa per fare strada.

L’anno successivo Archy Marshall decide di cambiare il proprio nome d’arte: prendendo ispirazione da un vecchio film di Elvis Presley, intitolato King Creole, Zoo Kid si trasforma in King Krule. Si esibisce per la prima volta sotto questo nuovo nome in un festival in Francia nel luglio del 2011, un mese prima di compiere diciassette anni, mentre a novembre esce un EP omonimo. A vederlo, non gli si darebbe un soldo: capelli rossi, occhi verdi e piccoli, corporatura esile e volto asciutto da teppistello con l’espressione perennemente incazzata. Quando però si mette a suonare si capisce immediatamente di non trovarsi di fronte a un ragazzino inglese qualsiasi, ma a un vero e proprio talento della musica.

Il boom di 6 Feet Beneath the Moon

Il primo album di King Krule, 6 Feet Beneath the Moon, esce il 24 agosto 2013, giorno del suo diciannovesimo compleanno: nel disco ritroviamo alcuni dei brani già registrati in precedenza, come Out Getting Ribs e Baby Blue, ma questa volta registrati in maniera più accurata ed elegante.

L’album racchiude tutte le diverse sfaccettature della musica di King Krule: partendo dal rabbioso post-punk chitarra e voce della traccia di apertura Easy Easy, fino alle tastiere jazz su base hip-hop della languida Bathed in Grey, King Krule va a pescare dai generi più disparati per creare una formula musicale originale, che sia sperimentale e allo stesso tempo immediatamente riconoscibile.

Gli elementi che più ricorrono sono il suono pulito e limpido di chitarra, con cui il giovane musicista londinese costruisce con la stessa facilità accordi jazzistici, arpeggi sontuosi e schitarrate funky, e la tanto sgraziata quanto ipnotica voce di King Krule, dal timbro greve e maleducato, caratterizzata dal forte accento britannico che spesso rende difficilmente comprensibile ciò che sta cantando. Eppure, questa voce così maleducata e adulta rispetto ai suoi diciannove anni è ciò che rende i brani di King Krule sinceri e diretti, dando un maggiore senso di concretezza alla sofferenza e alla rabbia giovanile che traspare dai testi. Fra le canzoni più riuscite del disco ci sono la dolce e disperata ballata Baby Blue, dove appare chiara l’influenza di Chet Baker, la trascinante A Lizard State, brano dall’arrangiamento tra il soul e lo ska, e il rap di Neptune Estate.

Certo, 6 Feet Beneath the Moon non è un disco perfetto, soprattutto per la vaga tendenza a ripetere alcune idee nonostante la varietà delle fonti di ispirazione, ma è un ottimo biglietto da visita per un ragazzo di non ancora vent’anni.

I mille volti di Archy Marshall

Dopo l’uscita di 6 Feet Beneath the Moon, il successo porta King Krule in tour in giro per il mondo, finendo anche a esibirsi sul noto programma di David Letterman. La fama non rallenta però la creatività e l’eclettismo di King Krule, anzi, lo spinge a crearsi numerosi alias diversi per portare avanti differenti progetti musicali, di modo che con ognuno possa concentrarsi su un particolare genere: dopo gli esordi come Zoo Kid e il progetto Edgar the Beatmaker, contemporaneo all’uscita del suo primo disco, Archy Marshall si reinventa nel corso degli anni come DJ JD Sports, Edgar the Breathtaker fino al più recente The Return of Pimp Shrimp.

Nel 2015, Archy Marshall decide di realizzare un progetto senza utilizzare pseudonimi, ma firmandolo con il proprio nome: esce così A New Place 2 Drown, realizzato assieme a suo fratello Jack. Il disco è accompagnato da un libro che contiene disegni e poesie dei due fratelli Marshall e da un cortometraggio. In questa sua opera, Archy toglie dall’equazione la chitarra, creando un sound dove a farla da padrone è l’elettronica: cupi sintetizzatori distorti, campionamenti e voci snaturate creano un conturbante tappeto musicale su cui il riconoscibilissimo timbro di Archy Marshall, unico elemento che si ricollega a 6 Feet Beneath the Moon, si stende in tutta la sua profondità.

The Ooz: il ritorno di King Krule

Nel corso degli anni, Archy Marshall, grazie anche alla grande quantità di musica realizzata nei suoi vari progetti, acquista rapidamente una maturità artistica e una versatilità invidiabili, specialmente per un ragazzo che ha appena superato i vent’anni: è così che allora, a distanza di quattro anni da 6 Feet Beneath the Moon, rispolvera il nome di King Krule per pubblicare The Ooz, uscito il 13 ottobre 2017. E in questo tempo si sente che più di qualcosa è cambiato: The Ooz è un disco complesso, ragionato, un coacervo di sonorità e di arrangiamenti complessi dove i confini che suddividono i vari generi musicali svaniscono. In The Ooz ci si trova nello stesso tempo ad ascoltare jazz, blues, rock, hip-hop, punk, perfino dub: King Krule crea un impressionante miscuglio di suoni differenti che si fondono senza però mai suonare cacofonici o fuori posto; la naturalezza con cui si dispiegano i passaggi musicali è anzi meravigliosamente spiazzante.

The Ooz si apre con Biscuit Town, criptica filastrocca trainata da una batteria sincopata e da poche note di tastiere, passando poi per l’inquietante The Locomotive, che dopo un disperato crescendo scivola nelle prime note di Dum Surfer, uno dei brani più riusciti del disco: mentre una fitta trama musicale composta da un basso sinuoso, batteria aggressiva, chitarre fra il funk e il jazz si dispiega, un sassofono entra all’improvviso lanciandosi in un delizioso assolo. Più si procede con l’ascolto dell’album, più sembrano non esserci limiti a cosa potrebbe tirare fuori dal cilindro King Krule, ormai pienamente consapevole delle proprie, straordinarie abilità musicali: King Krule riesce con disinvoltura a trasformarsi da crooner d’altri tempi a rapper incazzato, da raffinato chitarrista jazz al punk spicciolo e diretto, il tutto essendo un ragazzo di soli 23 anni.

In diciannove tracce, King Krule alza notevolmente la già elevata asticella con cui si era presentato agli esordi, dimostrando di essere un autore e un musicista completo, eclettico, fantasioso e originale, con una voce che è punto di incontro fra l’eleganza di Chet Baker e la asprezza di Tom Waits, nei vicoli di una Londra grigia e soffocante. Nei brani di King Krule si percepisce un profondo senso di solitudine e di tormento, dovuti a un’infanzia problematica e ad un’adolescenza passata forse troppo in fretta, trascorsa fra i banchi di scuola e gli studi di registrazione.

Ora, resta da capire una questione: un ragazzo che a una età così giovane possiede la maturità artistica e il talento di comporre della musica a questi livelli, cos’altro sarà in grado di creare negli anni a venire? Avrà un inevitabile calo o riuscirà nuovamente a superarsi? Dopo aver visto la notevole evoluzione passata in quattro, impegnatissimi anni, è più facile propendere per il secondo caso: King Krule è un artista che sembra avere ancora molto da dire e, ora più che mai, ha la capacità, la voglia e l’età giusta per farlo.

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