Camminando per le strade di una città o di un paesino può capitare di osservare qualcosa che colpisca l’attenzione, a livello artistico, culturale o architettonico. Sovente ciò che si guarda affonda le radici in un gusto estetico particolare, in una strana fisionomia o persino nella modernità di un palazzo, di una costruzione singolare. Spesso, però, ci si ritrova anche ad avere a che fare con case fatiscenti, luoghi abbandonati, posti un tempo meravigliosi e che ora racchiudono storie da raccontare, leggende, ma anche una spoglia e costante tristezza. Non è un caso che il fenomeno dell’esplorazione urbana sia arrivato al suo picco massimo proprio in questi anni, soprattutto dal momento in cui l’esperienza tecnologica e il suo avanzamento possono aver consentito il miglioramento e la godibilità di queste particolari avventure. Lady Decay ha fatto di questo contesto una vera e propria arte, provando a rendere spesso giustizia a posti dimenticati dal mondo e dal tempo.
La nuova protagonista di theWise incontra prova a raccontare – attraverso immagini e video – quanto possa essere intrigante, amabile e persino bello un luogo lasciato al suo destino, insieme alle miriadi di ricordi che invece lo abitano ancora e che ne costituiscono, in fondo, lo scheletro. Perché si può trovare amore persino nella distruzione, nel silenzio, nell’abbandono. Una volontà precisa che, se portata a termine, può riservare sorprese volte ad arricchire mente e cuore.
Innanzitutto: chi si “nasconde” dietro Lady Decay?
«Veronica, una ragazza bolognese di ventidue anni, che ama i marshmallows e i cani».
Il tuo obiettivo è quello di riportare alla luce, per così dire, luoghi abbandonati. Da cosa nasce la tua passione da urban explorer?
«Sono sempre stata una ragazza diversa dalle altre. Quando ero più piccola invece che le bambole amavo giocare con animali e dinosauri di plastica, poi crescendo la passione per il mistero, il macabro, il paranormale mi ha fatto avvicinare a questo particolare hobby che ho trovato subito incredibilmente eccitante!».
Nel corso del tempo avrai avuto modo di provare sensazioni particolari ogni volta che scoprivi un posto diverso. Qual è la scoperta che ti ha lasciato maggiormente un segno a livello interiore?
«Sicuramente quando ho fatto visita alla “casa che attende”, una vecchia magione abbandonata dai tempi della Seconda Guerra Mondiale ma con ancora fotografie e oggetti personali lasciati dalla famiglia che vi abitava. Potevo sentire ancora la loro presenza, come se in realtà fossero in procinto di tornare da un momento all’altro».
Hai avvertito altre volte la sensazione di poter entrare in contatto con il luogo della tua esplorazione o, paradossalmente, di “sentire” le persone che prima di te hanno vissuto quella struttura specifica?
«Io non credo molto ai cosiddetti fantasmi ma più a delle possibili presenze. Sono quelle sensazioni di freddo che a volte mi colgono all’interno di un luogo, orecchie che mi fischiano o altre cose del genere».
A volte gli esploratori urbani vengono confusi con acchiappa-fantasmi o ricercatori del paranormale. So che vuoi mettere in chiaro che le cose stanno molto diversamente.
«Ovviamente. L’esploratore urbano si occupa principalmente di testimoniare l’esistenza di un certo luogo e di documentare il tutto con fotografie o filmati. Un indagatore del paranormale invente punta molto sui luoghi che sono legati a storie sinistre, nei quali magari sono avvenuti crimini e omicidi. Io personalmente non mi trovo in suggestione quando varco la soglia di un luogo abbandonato, perché ricordiamoci sempre che abbandonato non è per forza sinonimo di infestato».
Secondo te c’è qualche posto visitato e ancora abbandonato che merita riqualificazione?
«Più di uno, sicuramente. Per esempio molti acquapark che un tempo erano alla portata di tutti: lo sarebbero sicuramente anche adesso, luoghi di divertimento non eccessivamente grandi che però in tempi di crisi permetterebbero anche alle famiglie più povere di svagarsi a due passi da casa, senza bisogno magari di prendere treni o aerei per una costosa vacanza altrove».
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