OTT, le egemoni del web
Che il liberismo economico abbia raggiunto l’apice della sua espansione proprio con l’era digitale è tutt’altro che una novità; e ancor meno stupisce il verificarsi di contrasti tra istanze statali ed extra-statali, di cui la più recente Webtax nostrana non è che la cima dell’iceberg.
Rimanendo appunto in tema di cime – o di tops per adoperare un anglicismo –, il principale oggetto d‘interesse della Commissione Bilancio della Camera, capeggiata dall’onorevole Francesco Boccia (PD), sono proprio quelle imprese oltreconfine, definibili dal tecnicismo Over-The-Top (OTT), le quali forniscono servizi e guadagnano agendo al di sopra delle reti e al di sopra dei confini. Ma andiamo per ordine.
2013, l’anno del contatto
La Webtax che oggi fa tanto discutere non è che una revisione dell’ormai respinta prima stesura risalente al 2013. L’ex emendamento alla legge di stabilità, di cui Boccia fu già allora fervente promotore, si poneva l’obiettivo di contrastare l’elusione fiscale tipica delle transazioni telematiche per mezzo di una pesante imposta: l’apertura obbligatoria di una partita Iva da parte dei giganti dell’internet (alias Google, Amazon, Apple, Facebook ecc…) avrebbe garantito al paese in cui operano un’entrata in grado di controbilanciare la spesa cittadina online, un gettito di diversi miliardi di euro altrimenti interamente destinato alle casse dei paesi “sede” delle grandi multinazionali.
Tutto era apparentemente pronto per l’entrata in vigore (fissata per il 1° gennaio 2014), ma il ritiro improvviso da parte dell’allora neo segretario del Partito Democratico, Matteo Renzi, rase al suolo i sogni di gloria di Boccia nel nome dell’Unione Europea e delle sorti della nazione; se la potenziale anticostituzionalità dell’atto o la relativa inefficienza dello stesso (aprire una partita Iva non significa dover versare imposte sul reddito) non erano motivi abbastanza validi alla cancellazione, la condivisibile analisi dell’allora futuro premier e della sua compagine parlamentare esponeva – e non con poca veemenza – il problema fondamentale posto in essere dall’emendamento: il rischio non trascurabile di isolare l’Italia in un recinto informatico, un risvolto a dir poco autolesionistico.
Certo, questo genere di risoluzioni, benché ponderate, non giova alla credibilità politica del bel paese che, palesemente, china il capo e cede le redini alle entità super-statali, lasciando che queste, indisturbate e ineffabili, dettino legge per esso: è il trionfo del mercato sulle nazioni.
G7, Eurogruppo e ECOFIN, i primi passi verso il recupero
Nell’assunta consapevolezza che il tema Webtax necessitasse di un’approvazione generalizzata tanto negli interni quanto all’estero, il ministro dell’economia Pier Carlo Padoan sfodera l’arma della diplomazia e, col sostegno del ministro delle finanze francese Mauro Le Maire, e dello stesso commissario europeo per gli affari Pierre Moscovici, espugna il pulpito del G7 Finanze, tenutosi a Bari tra l’11 e il 13 maggio 2017. Facendo leva sul tema della crescita inclusiva, l’Italia conquista una piccola, grande vittoria politica: i ministri, a summit concluso, danno mandato all’OCSE per elaborare delle proposte concrete entro il marzo dell’anno successivo, nell’auspicio dell’identificazione di un modello comune per la digital taxation.
Questo l’inizio di una lotta entusiasmante e intrisa di giustizialismo che, da lì a quattro mesi, durante l’Eurogruppo ed ECOFIN informali di Tallinn tenutisi entrambi il 15 settembre 2017, portò non solo alla promessa da parte della Commissione UE di stilare un elenco delle possibili scelte per la tassazione del settore digitale entro il ventinovesimo giorno dello stesso mese, a ridosso del Digital Summit, ma anche all’ottenimento, da parte dell’Italia, del via libera a una correzione di bilancio, sebbene minore del 50% rispetto a quella prevista dalle norme europee (dallo 0,6% allo 0,3%).
26 Termidoro, la rivincita della Commissione Bilancio
Nonostante un feedback tutto sommato positivo da parte di un’Europa condiscendente e partecipe alla lotta (basti pensare all’appoggio ricevuto anche dal vicepresidente della Commissione Ue, Valdis Dombrovskis, a Milano lo scorso 21 settembre), è proprio la promulgazione del rielaborato emendamento a firma del senator Mucchetti ciò che più fa storcere il naso all’Unione e alle organizzazioni parallele. L’approvazione della riesumata e rinnovata Webtax, avvenuta il 26 novembre, suscita la curiosità del commissario europeo per la concorrenza, Margrethe Vestager, che tuttavia, in ultima istanza, suggerisce all’Italia di rimettersi a future direttive internazionali e di non bruciare le tappe: benché il gettito atteso dalla nuova imposta al 6% sulle transazioni in rete (da riscuotersi per mezzo di intermediari finanziari quali le banche) ammonti all’allettante cifra di 114 milioni di euro annui (a partire dal 1° gennaio 2019), preoccupa non poco il riproporsi del rischio anticostituzionalità per una legge che, agli occhi dell’OCSE in particolar modo, discrimina le – mastodontiche – imprese estere su suolo nazionale.
Nonostante la cerchia dei “vessati” si sia ristretta alle sole imprese con fatturato annuo superiore al miliardo, nonostante l’imposta tenti di non intaccare le transazioni nei confronti dei consumatori finali (per quanto, ovviamente, sia palese che l’imposizione fiscale risulterà in una lievitazione dei prezzi di compensazione), limitandosi a scattare nei soli casi in cui l’oggetto di vendita sia immateriale (vedasi il commercio di spazi pubblicitari architettato da Google e Facebook), l’Italia è nuovamente sospesa nel limbo di un’arma a doppio taglio, ripetutamente preda della mano invisibile del mercato, perennemente incagliata nella palude dell’immobilismo per l’incapacità dei suoi nocchieri.
Per consultare il testo dell’Emendamento Boccia (nuova formulazione del 22/05/17), cliccare qui.